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Scenari

Ferrero sospende gli acquisti di nocciole turche: prezzi raddoppiati e tensioni nella filiera globale

01 Novembre 2025
Nocciole Nocciole

Dopo un’estate segnata da gelate e parassiti, la produzione turca di nocciole crolla e i prezzi volano. Il colosso italiano interrompe gli acquisti e si affida alle scorte, mentre il mercato mondiale cerca nuovi equilibri

Ferrero ha sospeso gli acquisti di nocciole turche. La decisione, riportata dal Financial Times, arriva dopo che il prezzo del prodotto è quasi raddoppiato dall’inizio dell’estate: da circa 9.000 a 18.000 dollari la tonnellata. Il gruppo italiano, che da solo consuma un quarto della produzione mondiale di nocciole, ha scelto di fermarsi, attingendo alle proprie scorte e orientando gli approvvigionamenti verso Stati Uniti e Cile. Un gesto che pesa, perché la Turchia fornisce abitualmente tra le 600.000 e le 700.000 tonnellate di nocciole all’anno — quasi due terzi dell’offerta mondiale — e Ferrero è di fatto il principale cliente del Paese.

All’origine dello stop c’è un’annata disastrosa. Una gelata primaverile ha bruciato parte delle fioriture lungo la costa del Mar Nero, cuore della nocciolicoltura turca. Poi è arrivata un’epidemia di parassiti, che ha compromesso ulteriormente i raccolti, riducendo la produzione stimata a 500.000 tonnellate o meno. In un mercato già concentrato, la scarsità ha innescato una corsa ai rialzi. I commercianti turchi, consapevoli della dipendenza di Ferrero, hanno cominciato ad acquistare nocciole in anticipo, scommettendo su un rapido ritorno del colosso italiano e su margini ancora più alti. Ferrero, dal canto suo, ha deciso di non cedere alla pressione, contando su una copertura sufficiente per i prossimi mesi e su forniture alternative.

Il caso ha messo in luce un equilibrio fragile. In Turchia, i piccoli coltivatori lamentano rese dimezzate, costi crescenti di manodopera e concimi, e una contrattazione dei prezzi dominata dagli intermediari. L’interruzione degli acquisti da parte di Ferrero, per quanto temporanea, lascia sospeso un intero comparto agricolo che vive in larga parte delle esportazioni verso l’Europa. Sullo sfondo, il timore che la Turchia possa perdere parte della sua centralità nella filiera globale, a vantaggio di nuovi produttori come il Cile o gli Stati Uniti, dove si stanno sperimentando varietà più resistenti e sistemi produttivi più meccanizzati.

Per l’industria dolciaria, la situazione apre interrogativi concreti. Se i prezzi resteranno elevati, le aziende potrebbero trovarsi costrette a rivedere i propri costi o a ripensare la composizione dei prodotti a base di nocciole, dalla crema spalmabile alle praline. Ferrero ha preferito congelare le trattative, segnalando di fatto un cambio di passo: meglio la prudenza che rincorrere un mercato impazzito. Ma il segnale va oltre il caso contingente. La concentrazione della produzione mondiale in un solo Paese espone l’intero comparto a shock improvvisi, legati al clima, ai parassiti o alle dinamiche speculative.

Anche per l’Italia, e per regioni come la Sicilia dove la nocciola rappresenta una coltura identitaria, la vicenda turca ha il valore di un campanello d’allarme e di un’occasione. Da un lato, conferma quanto sia vulnerabile una filiera globale fondata su pochi poli produttivi; dall’altro, apre spiragli per chi può offrire qualità, tracciabilità e continuità. Se la Turchia rallenta, l’Europa mediterranea, con le sue varietà locali, dalla Nebrodi alla Giffoni, potrebbe trovare spazio per un rilancio. Non basterà la congiuntura: serviranno politiche agricole più lungimiranti, investimenti nella resilienza climatica e filiere più eque. Ma in un momento in cui il prezzo della nocciola detta l’agenda di uno dei gruppi dolciari più influenti del mondo, la prospettiva di una produzione diversificata e sostenibile non è più solo una suggestione: è una necessità economica e strategica.