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Scenari

I sistemi consentiti oggi dal Mipaaf

13 Settembre 2013
riccio_pesca riccio_pesca

Il Paracentrotus lividus vive a profondità comprese tra 0 e 80 metri, nei fondali rocciosi o nelle praterie di Posidonia oceanica, essendo un animale che si nutre prevalentemente di alghe, epifiti e detriti.

La presenza di praterie di Posidonia, com’è noto, ci dice che il mare è in salute.  Se ne deve dedurre che i ricci vivono dove gli equilibri ecologici marini non sono compromessi. Solitamente il riccio è molto attivo di notte, periodo in cui compie la maggior parte degli spostamenti (circa 2 m al giorno).Il periodo riproduttivo si estende da aprile a

Classificazione:

PhylumEchinodermata
ClasseEchinoidea
SottoclasseRegularia
OrdineDiadematoida
SottordineCamerodonta
FamigliaEchinidae
SpecieParacentrotus lividus
Nome comune: riccio femmina
Nome dialettale sicilianorizza, rizzu

Nella tradizione popolare si confondono 2 specie di riccio di mare: il P. lividus e l’Arbacia lixula. Le gonadi del P. lividus sono molto abbondanti ed è per questo che viene considerato il riccio femmina. Mentre l’A. lixula si ritiene che sia il riccio maschio per l’esiguità delle gonadi. Quelle riccio di mare sono un cibo con un elevato contenuto energetico, essendo costituiti principalmente da grassi e proteine. La colorazione giallo-arancio è fornita dalla presenza di pigmenti carotenoidi. Altra caratteristica è la presenza di acido citrico, che determina un buon grado di conservazione delle gonadi.

Vediamo, adesso, come si pescano i ricci di mare. Fino a una trentina di anni fa era molto diffuso un attrezzo chiamato ‘Manuzza’. “Il pescatore – racconta Giovanni Basciano – si immergeva in acque poco profonde e camminava guardando il fondale con lo ‘specchio’; tale strumento poteva essere utilizzato anche dall’imbarcazione”.
Lo specchio chiudeva ermeticamente l’estremità di un cilindro. Questo cilindro, immerso in acqua da un’imbarcazione, ovviamente su fondali bassi – da 30-50 centimetri fino a un massimo di 3 metri – consentiva di guardare il fondale marino con una grande ‘maschera’.  “Una volta individuato il riccio – dice sempre Basciano – era prelevato con l’attrezzo, costituito da un’asta di legno terminante con un gancio di ferro. Questo sistema di pesca rimane il più ecocompatibile, poiché viene staccato un solo riccio per volta, senza intaccare l’area circostante e con la possibilità di lasciare gli esemplari più piccoli. Anticamente, inoltre, questa pesca non veniva effettuata nei mesi invernali, periodo in cui i ricci potevano accrescersi indisturbati”.

Oggi la ‘Manuzza’ non è più di moda. Perché richiede molte ore di lavoro per catturare un congruo numero di ricci di mare. “Per questo motivo – aggiunge Basciano – è stato accantonato e sostituito dal ‘gangamo’ o dal ‘gangamello’ che, con minore sforzo da parte dei pescatori e in minore tempo, riescono a catturare su molti più esemplari”.
“Il ‘gangamo’ – spiega la nostra ‘guida’ – viene inserito tra le reti a strascico a bocca fissa. E’ una rete trainata con un unico cavo da una barca che viene salpata lateralmente e non da poppa. La bocca del sacco è rettangolare; la parte superiore di quest’ultima funge da lima dei sugheri, mentre la parte inferiore è costituita da una lima di piombi che si collega alle ripiegature laterali che garantiscono che l’attrezzo rimanga diritto”.

Un altro sistema di pesca dei ricci di mare molto diffuso è quello della sorbona. “Questo strumento – ci dice sempre Basciano – consta di un tubo aspirante collegato ad una pompa, posta a bordo di una imbarcazione. La sorbona sfrutta la depressione generata da un flusso d'acqua o aria nel tubo, creato mediante la pompa.Gli operatori subacquei si immergono muniti di sorbona, aspirando i ricci di mare che incontrano, che vengono, poi, convogliati in un sacco posto alla fine del tubo aspirante”.

Il gangamo e la sorbona sono sicuramente dei metodi molto redditizi, ma anche altamente invasivi e distruttivi. Consentono la pesca di un gran numero di esemplari e alterano l’ambiente marino. “Questo perché l’azione di aspirazione – spiega Basciano – non è selettiva, ma coinvolge, oltre ai ricci, il substrato circostante, con l’effetto di intaccare organismi animali o vegetali che vi si trovano”.

Per porre rimedio a questo scempio ambientale il Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali ha emanato, il 12 gennaio 1995, un Decreto che disciplina la pesca dei ricci di mare. Il Decreto limita la pesca professionale a poche tipologie di attrezzo: asta e specchio; rastrello per ricci; pesca subacquea professionale in immersione e solo manualmente.

Il decreto distingue i pescatori professionisti (che vivono di pesca) e pescatori sportivi (che dovrebbero pescare i ricci per hobby). I prim – cioè i pescatori professionisti – possono prelevare un numero massimo di 1000 ricci al giorno; mentre i secondi – pescatori sportivi – possono catturare i ricci in apnea e manualmente pescando non più di 50 esemplari al giorno per persona.

“In questo Decreto – precisa Basciano – viene anche stabilito che il diametro minimo che un esemplare deve possedere, per esserne consentita la cattura, è di 7 cm compresi gli aculei. Infine, affinché sia garantito un reclutamento negli anni e quindi un ricambio generazionale all’interno delle popolazioni, la pesca di questi organismi è vietata nei mesi di maggio e giugno”. 

G.A.