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Scenari

Il territorio di Soave, case history di successo che punta sul parco enologico

19 Maggio 2014
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Il modello consortile e il posizionamento nei mercati raccontati dal presidente del Consorzio e dal direttore a pochi giorni dall'anteprima 2013

E’ stato uno dei primi, in tempi non sospetti quando  la sostenibilità non era ancora un tema cool, ad avere investito su una filiera attenta all’ambiente, l’unico ad avere lanciato la Green Label e uno dei pochi a promuovere come chiave di lettura e fruizione del territorio il parco enologico.

Il Consorzio del Soave, realtà vitata di 6900ettari, altamente parcellizzata e con 2700 soci, piccolissimi produttori, e un fatturato di 150 milioni di euro, è un modello di sistema che ha avuto le giuste intuizioni riuscendo a valorizzare il territorio, anticipando epoche e mode, resistendo anche alla crisi. Come direbbero gli inglesi, very focused su tutto ciò che concerne appartenenza, consapevolezza e qualificazione territoriale. Il Soave per anni è stato sinonimo di vino bianco italiano nel mondo, ha fatto da ambasciatore del Made in Italy accanto ai grandi rossi del Bel Paese. Altro primato che va riconosciuto all’areale/brand che, come pochi altri, ha saputo aprirsi mercati oltre confine prima della corsa alla conquista dei consumatori stranieri di oggi. Il risultato: una good reputation, costante, dentro e fuori il Paese. Un caso di successo che il presidente del Consorzio Arturo Stocchetti  e il direttore Aldo Lorenzoni ci raccontano a pochi giorni da Soave Preview 2013, evento clou di Volcanic Wines, il forum internazionale dedicato ai terroir vulcanici d’Italia che quest’anno si terrà dal 22 al 24 maggio nel borgo medievale di Soave.
 
Il mondo Soave può essere un modello da seguire, qual è la sua forza?
(Stocchetti) “Avere un Consorzio che è davvero e riconosciuto come proprio. Dopo il primo anno effettivo di funzioni erga omnes, il numero delle aziende che si sono associate è cresciuto. Hanno creduto nelle iniziative e nei servizi erogati. Il ruolo dell’ente consortile si è potenziato nella gestione del “marchio collettivo Soave”, si è trasformato in agenzia territoriale in grado di intercettare esigenze, di offrire servizi su misura attraverso analisi di mercato, dei trend di vendita, dei prezzi e dei consumi. In questo modo una realtà consortile può funzionare. Il Consorzio del Soave è la prova. detiene oggi una rappresentatività di oltre il 90% in termini di produzione d’uva e di relativa vinificazione, mentre per quanto riguarda l’imbottigliato la rappresentatività è salita per la prima volta oltre il 70%. Un livello senza precedenti. E ricordiamo che il Consorzio è il primo in Veneto e tra i primi in Italia ad operare nell’interesse di tutti coloro che utilizzano la Doc, soci o non soci. Il Sistema Soave si è affermato come valore assolutamente non de- localizzabile”.
 
Il vostro territorio si è ben piazzato nel mercato. Che  politica  avete adottato?
(Stocchetti) “Abbiamo fatto della gestione della denominazione e del corretto rapporto qualità/prezzo una costante del nostro marketing. Questo ci ha consentito di soffrire meno di altri vini e di procedere, anche se lentamente, verso un recupero sia del valore che della qualità percepita dal consumatore. Prudenza nei prezzi e nelle quantità, attenzione alla qualità dei vini, valorizzazione delle produzioni, penso siano i  passaggi chiave per essere presenti in un mercato più competitivo, anche in contingenze difficili. Un ruolo importante lo hanno avuto  le cantine sociali che hanno consentito di adottare un unico linguaggio commerciale, dopo aver sensibilmente migliorato produzioni e qualità”.

(Lorenzoni) “Non dimentichiamo che noi abbiamo investito e creduto nella varietà bianca quando tutti puntavano sui vini rossi. Era l’epoca in cui il vino bianco italiano sembrava spacciato. Invece abbiamo fatto ricerca, valorizzato l’origine vulcanica del nostro territorio e saputo fare massa critica”.

Il Soave come vive il periodo attuale?
(Lorenzoni) “Stiamo investendo in attività di promozione in Asia, fascia Corea, Taiwan e Cina. Per la Cina abbiamo investito 500mila euro. Si tratta di un mercato ancora mobile, non stabilizzato, ma che stiamo curando. Quello che facciamo è esportare il territorio. A giugno e luglio poi partirà un’iniziativa che vedrà protagonista il Soave in Giappone, in 200 locali tra Tokio e Osaka. Il Soave vive una fase di stabilità. E’ una delle poche realtà che riesce a redistribuire il reddito, che riesce ad sostentarsi totalmente dai proventi che vengono dalla viticoltura e dalla produzione vinicola, tanti conti correnti rimangono nel territorio. Molti giovani poi stanno rientrando, c’è fermento”.  
 
Le prossime scommesse. A cosa punterete?
(Arturo Stochetti)“Al Parco Soave. Puntiamo alla distintività e all’accoglienza. Il Soave per sua natura non può essere una meta per un turismo di massa ma è un luogo esclusivo che deve crescere in termini di originalità personalizzando proposte ed idee. Per questo stiamo lavorano al parco enologico o vitivinicolo. Una sorta di parco tematico con funzioni di attrattività turistica , di riqualificazione sociale, di nuova qualità della vita e di comunicazione. E poi abbiamo avviato il progetto Green label per tutta la doc. Da maggio tutti i produttori aderenti alla denominazione potranno richiedere l’etichetta al Consorzio che segue il sistema LCA (Lyfe Cycle Assessment),  indica l’incidenza sull’ambiente di tutte le fasi lavorative all’interno della filiera vinicola, si basa su un processo di calcolo che prende come riferimento 18 parametri, dal cambiamento climatico all’utilizzo di risorse naturali, e attraverso un algoritmo fornisce il grado di sostenibilità del sistema produttivo. 
 
Di cosa ha bisogno l’Italia del Vino oggi? 
(Stocchetti) “L’Italia del Vino oggi sicuramente si trova in una fase in cui la tutela dei marchi diventa fondamentale. I Consorzi di Tutela  sono le figure che si occupano di questo tipo di valorizzazione a livello territoriale ma anche internazionale, per cui è sempre importante riconoscerne la figura e valorizzarne il lavoro. In secondo luogo, serve più flessibilità delle norme e più sostegno alle produzioni in zone disagiate come la collina: è proprio dalla collina che nell’area del Soave nascono alcuni dei vini più interessanti e da cui è partito il grande vino bianco Italiano nel mondo. A volte eroica, questa viticoltura è composta da famiglie che da sempre valorizzano un lavoro eccezionale e che, anche grazie al lavoro del Consorzio, non è mai stato abbandonato nonostante le difficoltà non solo legate alla pendenza ed al territorio.

(Lorenzoni). L'Europa dovebbe darci strumenti in più per sostenere la viticoltura storica, quei piccoli produttori che sono i custodi di territori straordinari dal punto di vista paesaggistico ed estremi. Le risorse dovrebbero essere impiegate per rivalutare e costruire muretti a secco, per esempio, o in opere utili a portare acqua in alta collina”. 

L'annata 2013 si degusterà in anteprima fra qualche giorno. Che vino dovranno aspettarsi i consumatori?
(Lorenzoni) “L'annata 2013 la definirei una grande annata. Siamo sempre stati contro le anteprime ma questa una sua vetrina la meritava. Diciamo che la ricordiamo bene. Eravamo all'inizio tutti sul disperato andante. Il freddo e l'acqua che abbiamo avuto nella prima parte dell'anno avevano allungato di molto il periodo vegetativo. La vendemmia l'abbiamo fatta a fine settembre, inizio ottobre. C'è stato un ritorno al passato in termini di calendario. Settembre è stato un mese meraviglioso. Sole di giorno, basse temperature di notte. Insomma, un piccolo miracolo che ci ha regalato un grande vino”. 

Manuela Laiacona