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Scenari

L’olio di oliva italiano piace agli inglesi. Toscani, pugliesi, umbri e liguri i preferiti

23 Giugno 2015
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Il valore degli oli e grassi vegetali in Gran Bretagna è stimato in oltre 420 milioni di sterline. L’olio di oliva rappresenta il segmento con maggiore crescita e il 16,30% dell’intero settore degli oli e grassi in volume. 

La categoria non è però al primo posto perché preceduta dagli oli vegetali e di girasole che rappresentano i 2/3 del settore. Nonostante ciò l’olio di oliva riscontra il maggior gradimento nelle persone dai 55 anni in su grazie ai suoi benefici per la salute che consumano in volume il 33,60% del prodotto: il doppio rispetto agli altri gruppi di età.

Sono i dati che emergono dal seminario sull’olio extra vergine di oliva promosso da Agenzia Ice ed Unaprol a Londra nel corso di una lunga collaborazione tra i due enti. Collaborazione che ha avuto origine con la firma della prima intesa operativa per l’olio di oliva nel nostro Paese siglata anni fa, tra il Ministero dello Sviluppo Economico e l’Unaprol, che oggi continua a produrre effetti positivi sui mercati dove sono state realizzate in passato azioni di sensibilizzazione del consumatore.

“Per le imprese olivicole italiane che vogliono fare fortuna sul mercato inglese c’è una strada obbligata” afferma Fortunato Celi Zullo, direttore dell’Agenzia Ice ufficio di Londra che aggiunge: “Le aziende devono coniugare tradizione e innovazione, puntando esclusivamente sull’alta qualità, rispetto per l’ambiente e consumo etico”.  Gli inglesi apprezzano questo tipo di approccio e una certa fascia di consumatori con elevato potere di acquisto è disposta a riconoscere a determinati prodotti un prezzo maggiore in cambio di una qualità superiore certificata e garantita. Nella Gdo britannica le private label “rappresentano il 60% delle vendite in quantità e 55% delle vendite in valore”; il 40% del mercato, invece, è appannaggio di altri marchi. Sul fronte dei prezzi, per la bottiglia da un litro, la forbice oscilla dalle 3 e le 8/9 sterline nella Gdo, ma può arrivare fino a 30 sterline, in vendita nelle boutique specializzate di enograstronomia, che i consumatori inglesi sono disposti a pagare per ottimi oli extra vergine di oliva italiani che garantiscano origine e tracciabilità.

In questo quadro si inserisce la collaborazione tra Agenzia Ice e Unaprol orientata a far cogliere alle imprese olivicole italiane le opportunità sul mercato britannico ed ai cittadini di sua maestà le differenze tra i mille sapori dell’olio extra vergine di oliva di qualità italiano.  

I punti di forza del nostro made in Italy sono rappresentati da diversità dei sapori, stile, packaging e origine considerata prestigiosa. Da una recente indagine a campione sviluppata da Unaprol tra i consumatori inglesi sulla loro conoscenza dell’olio extra vergine di oliva emergono interessanti risultati. Nel Regno Unito il 46% degli intervistati acquista consapevolmente olio extravergine di oliva prodotto in Europa; il 43% acquista invece olio ma non conosce se abbia o meno origine europea, mentre l’11% del campione non usa oli di oliva prodotti nella UE. Solo il 39% del campione riconosce l’olio extra vergine di oliva attraverso la lettura delle etichette; altri si lasciano suggestionare dal colore (31%), dal sapore (20%), mentre un buon 10% ammette candidamente di non saper scegliere quale olio extra vergine acquistare. Di fronte ad una etichetta che contempla l’origine obbligatoria UE, il 48% del campione intervistato ha riconosciuto che l’etichetta era corretta. Il 42% ha dichiarato di non sapere e un restante 10% ha riferito che l’etichetta era sbagliata.

“I dati ci dicono che nel Regno Unito il consumo di olio extra vergine di oliva è in aumento”. Riferisce il presidente di Unaprol, David Granieri, che aggiunge: “Ciò significa che le abitudini alimentari dei consumatori britannici stanno cambiando orientandosi verso prodotti di alta qualità come quelli prodotti e offerti dalle filiere tracciate di Unaprol”. Nel Regno Unito l’uso del prodotto varia fortemente a seconda delle regioni. Londra e il Sud sono le aree dove si concentra gran parte dei consumi; percentuali più basse invece si registrano in Scozia e in Galles. Una curiosità: Le regioni che vendono di più nel Regno Unito sono Toscana, Puglia, Umbria, e Liguria. “Un segnale che va interpretato ha concluso Granieri che dimostra maturità del mercato britannico che ora va sostenuto anche con azioni di incoming nel nostro Paese”.

C.d.G.