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Scenari

Mangeremo arancine con riso cambogiano?

09 Dicembre 2025
Riso Carnaroli Riso Carnaroli

Può sembrare una provocazione – e oggi quasi certamente lo è – ma non si può escludere che in un futuro possa arrivare riso prodotto nel Sud-est asiatico, come conferma il grido di allarme lanciato dalla filiera

Mangeremo arancine preparate con il riso cambogiano? Anche se non siete siciliani, conoscete tutti le palle di riso prodotte nell’Isola e che a Palermo si declinano al femminile: bene, questo tema potrebbe riguardare tutta l’Italia. Può sembrare una provocazione – e oggi quasi certamente lo è – ma non si può escludere che in un futuro, neanche troppo lontano, sulle nostre tavole possa arrivare riso prodotto nel Sud-est asiatico. L’Italia al momento si conferma di gran lunga il primo Paese produttore di riso in Europa con oltre il 50% dell’intera produzione comunitaria, ben 216mila ettari di superfici seminate e circa 1,6 milioni di tonnellate prodotte nel 2024. Lo scenario, tuttavia, potrebbe cambiare rapidamente, come rivela l’allarme lanciato dalla Cia-Agricoltori Italiani e dall’Associazione Industrie Risiere Italiane. Il nodo centrale riguarda l’intesa raggiunta sulla revisione del Sistema di Preferenze Generalizzate (Spg), il programma dell’Unione Europea che concede l’abbattimento dei dazi a Paesi in via di sviluppo per favorirne la crescita economica.

Pietro Milani direttore Airi

Nel tempo, grazie anche agli accordi Epa (Economic Partnership Agreements), l’Ue ha aperto l’accesso a numerose merci a dazio zero, tra cui il riso grezzo e lavorato proveniente da Cambogia e Myanmar. Ma, negli ultimi anni, il settore risicolo europeo – e in particolare quello italiano – si è trovato fronteggiare una pressione crescente dalle importazioni a dazio zero. Una situazione che per le associazioni di categoria rischierebbe di indebolire strutturalmente la filiera europea e di ridurre la competitività dei produttori Ue. “Questi due Paesi sono tra i principali produttori mondiali di riso e – spiega Pietro Milani direttore dell’Associazione Industrie Risiere Italiane (Airi) – i flussi verso l’Europa sono aumentati a dismisura, creando effetti molto negativi sul nostro mercato”. Il problema non riguarda tanto i consumatori, ma piuttosto “la concorrenza con sistemi produttivi – evidenzia ancora Milani – dove gli standard qualitativi, ambientali e soprattutto le tutele del lavoro non sono comparabili a quelli europei”.

Il presidente di Cia Cristiano Fini

Anche per Cristiano Fini, presidente di Cia-Agricoltori Italiani, “l’accordo raggiunto a Bruxelles è inaccettabile e metterebbe in ginocchio il comparto italiano del riso”. Le clausole di salvaguardia scatterebbero a una soglia troppo alta, perdendo così di efficacia “e determinando l’invasione di prodotto asiatico a dazio zero sul mercato”. Infatti, se applicato nelle modalità che sono state proposte le clausole di salvaguardia a difesa del riso europeo diventerebbero effettive a partire da 560mila tonnellate di riso su base annua, mentre l’intera filiera aveva fissato come limite massimo il quantitativo di 200mila.

Ma cosa prevede esattamente l’intesa raggiunta a livello europeo sulle clausole di salvaguardia? In passato, proprio a causa dell’impatto delle importazioni a dazio zero, la filiera europea aveva ottenuto dalla Commissione l’attivazione della salvaguardia generale, un meccanismo complesso che consente la reintroduzione dei dazi in presenza di un danno economico. È una procedura lunga e onerosa: nella storia del Spg è stata applicata una sola volta, e proprio al riso. Da allora l’intero settore – agricoltori e industria – chiede l’introduzione di una clausola automatica, che faccia scattare il ripristino dei dazi al superamento di una soglia di volume prestabilita.

Secondo le organizzazioni del settore, la soglia massima sopportabile è di 200 mila tonnellate annue di importazioni a dazio zero da Cambogia e Myanmar. Oltre questo limite, gli effetti sul mercato europeo – secondo gli operatori – diventerebbero destabilizzanti. Nel percorso di revisione del regolamento Spg, la Commissione europea ha proposto un automatismo diverso: la soglia verrebbe fissata a 560mila tonnellate, in linea con i volumi importati negli anni recenti. Per Bruxelles, infatti, fissare un limite inferiore significherebbe far scattare l’automatismo immediatamente, poiché le importazioni attuali sono già molto elevate.

La Cia ha più volte manifestato in passato le proprie preoccupazioni, ma “questo accordo raggiunto in sede comunitaria – commenta Fini -, sotto presidenza danese, segna quanto di peggio il settore potesse aspettarsi”. Un import eccessivo di riso a tariffe agevolate “da Paesi come Cambogia e Myanmar, molto lontani dai nostri standard di produzion, potrebbe avere conseguenze nefaste per una coltura che è un’eccellenza del Made in Italy – ricora il numero uno di Cia -. L’Italia, infatti, è il primo produttore europeo di riso, con oltre 230mila ettari di superficie coltivata,  e un export che supera le 700mila tonnellate”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Milani: “Una soglia così alta non risponde all’obiettivo di regolare il mercato. L’automatismo perderebbe efficacia, perché il dazio verrebbe introdotto troppo tardi. È una decisione che non tiene conto dell’impatto reale sul settore”.

L’Italia, insomma, sarebbe particolarmente esposta da questa posizione in quanto primo produttore europeo di riso. La competitività dei produttori italiani sarebbe minacciata soprattutto dall’arrivo di riso lavorato e confezionato a dazio zero, pronto per il consumo. Cambogia e Myanmar, infatti, sono oggi in grado non solo di esportare riso indica aromatico, ma anche – potenzialmente – varietà japonica, quelle impiegate nei risotti italiani, entrando così in competizione diretta con le produzioni nazionali. Tirando le somme, quindi, se oggi in Italia si consuma quasi esclusivamente riso italiano, non è detto che un domani questo equilibrio possa cambiare: “Non si può escludere che in futuro, se la produzione europea dovesse calare e quella asiatica aumentare senza limiti, potremmo ritrovarci con riso estero sempre più presente anche nella nostra cucina – aggiunge Milani -. Ed è ciò che vogliamo scongiurare”.

Timori che, al momento, non sembrano impensierire gli chef italiani che invece confermano il ruolo centrale del riso italiano di qualità. Come Nicola Portinari chef del ristorante La Peca a Lonigo nel Vicentino: “Io non uso risi a chicco lungo aromatici – assicura -, la revisione del regolamento può rappresentare piuttosto un problema per i ristoranti etnici. Alla Peca entrano solo Carnaroli e Vialone Nano, raccolti il più possibile vicino a noi, attualmente nel Mantovano”. Il prezzo minimo per un prodotto di qualità è di 4,5 euro, fino a 7. Si tratta di risi che rimangono un anno in casa a invecchiare. “Attualmente sto usando un dodici mesi e sono molto contento – prosegue Portinari – l’amido si distribuisce in modo migliore e la cottura risulta più omogenea, il chicco non si spezza e resta intero”. Qualche problema, invece, potrebbe esserci “nella gdo – riconosce Portinari -, visto che anche in Italia abbiamo cominciato a diversificare le varietà e la concorrenza può diventare difficile da sostenere”.

Davide Oldani

“Non ho seguito questo argomento: io uso il riso prodotto a dieci chilometri da qui, solo Carnaroli del Novarese – ammette lo chef stellato Davide Oldani – . Ce n’è in abbondanza e la qualità è indiscutibile. Quando compro, vado dal mio produttore, senza neppure pensarci. Un riso poi può costare dai 2 ai 6 euro ed essere confezionato nelle scatole o nei sacchetti; il mio è sottovuoto, la soluzione che preferisco, perché è asettico, senza contatto con l’aria. Ma non uso parboiled o aromatici, quindi per me e per tanti altri non cambia nulla”.

(ha collaborato Alessandra Meldolesi)