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Scenari

Così coltivo le mie verdure. A Palermo è “ortomania”

09 Gennaio 2015
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di Clara Minissale

Da un paio di mesi la pioggia che cade su Palermo, quando cade, mi pare una benedizione. Non sto più a disperarmi perché i palermitani alla guida di un’automobile, quando piove, impazziscono. Penso piuttosto alle mie piantine ed al fatto che cresceranno rigogliose. 

Quando vado al mercato a fare la spesa, valuto con maggiore consapevolezza la frutta o gli ortaggi che compro e penso a quante ore il contadino avrà passato nel campo a spaccarsi la schiena perché qualcuno possa mangiare roba buona. No, non sono stata colpita da chissà quale fulmine ambientalista o umanitario. Ho solo cominciato a coltivare un orticello piccolo piccolo: una pratica che sta cambiando la mia visione di alcune cose.

Innanzitutto la palestra non serve più. Vi assicuro che zappare cinquanta metri quadrati di terreno, per chi, come me, non è abituato, è una bella sfida. Stare chinati per ore a tirare via le erbe infestanti, irrobustisce le gambe e spezza la schiena. O almeno spezza la mia che, fino a qualche mese fa, era abituata solo ad un lavoro di tastiera e scrivania. Ma sono dolori che portano soddisfazioni, soprattutto se e quando le piante crescono in buona salute.
Io ho cominciato tutto da zero. Da quando ho visto un manifesto che annunciava, nei pressi di Villa Spina, a pochi passi dalla Palazzina Cinese, a Pallavicino, la creazione di orti condivisi, alla telefonata che ne è seguita per avere informazioni sul progetto, alla lista d’attesa di cui ho fatto parte per un paio di mesi perché, nel frattempo, i primi orti erano andati a ruba. E poi, un giorno di novembre è toccato anche a me. “Può venire domani a scegliere il suo orto?”. “Certo che posso”, dico a Fausto Terranova, l’uomo che, grazie alla sua passione e alla sua lungimiranza, ha creato Gli orti delle Fate (http://www.gliortidellefate.it/), l’associazione di cui oggi faccio parte e che conta già centinaia di iscritti in città. Tutti contagiati da questa passione travolgente per un pezzetto di terreno da coltivare a proprio piacimento.

Poi naturalmente ho iniziato a studiare: libri, siti internet specializzati, i preziosi consigli dell’agronomo dell’associazione. E piano piano il mio orticello ha preso forma. Coltivo broccoli, finocchi, spinaci, radicchio, fave, piselli, scarola, porri, cipolle di Giarratana, cime di rapa. Alcune crescono rigogliose, altre – come i porri, ad esempio – mi danno parecchio pensiero. Ho commesso degli errori. In alcuni casi ho voluto piantare i semi quando sarebbe stato meglio mettere a dimora le piantine. Ma sto imparando. Con i vicini di orto ci si scambia consigli, si danno o cercano delle dritte. Si fa una comune lotta ai piccioni a che sembrano ghiottissimi delle nostre verdure, a suon di reti e quasi anacronistici spaventapasseri per scoraggiarli dalle invasioni.
Ci sono papà che vengono a zappare il loro orto in compagnia dei figli ogni fine settimana. Vedo coppiette di anziani dedicare il loro tempo libero all’orticello con movimenti lenti e ben assestati. Ci sono giovani mamme che spiegano ai figlioletti l’importanza di quello che stanno coltivando e bimbi che riconoscono una pianta di fave a metri di distanza.

Anche se c’è da lavorare sodo, stare nell’orto è – come dire – riconciliante. Si annulla il tempo, si annullano le distanze, si annulla il ceto sociale, non ci sono telefonini o social media che tengano. Chi mi cerca nel fine settimana, sa che deve avere un po’ di pazienza.
E quando, come è successo a me subito dopo Natale, puoi già raccogliere qualche frutto del tuo lavoro, la soddisfazione è immensa. Nessun piatto di orecchiette con le cime di rapa è stato mai così buono come quello che ho mangiato con le cime di rapa piantate, coltivate e raccolte da me.