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Scenari

Più ulivi in Sicilia, (molto) meno in Puglia e Campania: così cambia la geografia dell’olio in Italia

07 Agosto 2025
Tiziano Caruso – Ulivi Tiziano Caruso – Ulivi

I dati dell'ISMEA fotografano lo stato dell'ulivocoltura del nostro Paese. Il professore Caruso: c'è un nuovo interesse, ma bisogna ripensare ai sistemi di coltivazione

L’olivicoltura italiana ridefinisce la sua geografia. I numeri 2024 del comparto, presentati da ISMEA nella recente Scheda di settore, raccontano un’Italia agricola in trasformazione: la Sicilia cresce, la Puglia e la Campania si ritirano, il Nord sperimenta. Dietro ai dati, un settore che continua ad avere un peso economico e culturale rilevante, ma che deve affrontare nuove sfide ambientali, commerciali e produttive.

Superfici stabili, ma gli equilibri cambiano
La superficie olivicola nazionale rimane sostanzialmente invariata rispetto al triennio precedente: 1.140.225 ettari contro una media 2020–2023 di 1.140.827 ettari. Ma il dato statico nasconde dinamiche profonde. La Sicilia è la regione che cresce di più in termini assoluti: +10%, passando da 161.048 a 176.974 ettari, un incremento di quasi 16 mila ettari che la avvicina alla Calabria (184.682 ha). Al contrario, la Puglia, che resta leader nazionale, registra un calo del 5%, con una riduzione di oltre 17 mila ettari (da 364.785 a 347.470 ha). La Campania perde addirittura il 6% della sua superficie olivicola. Anche il Nord Italia mostra segni di fermento: il Piemonte cresce del 40% (da 157 a 220 ettari), il Friuli-Venezia Giulia del 16%, la Liguria del 10%, mentre Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna aumentano tra il 2% e il 5%.

Produzione in calo: -15% rispetto alla media 2020–2023
Il 2024 si è rivelato un anno di “scarica” per la produzione di olio d’oliva, con 248.394 tonnellate, in calo del 24% rispetto al 2023 (328.131 t) e del 15% rispetto alla media quadriennale. Le cause sono sia climatiche che fisiologiche: alternanza naturale, caldo e siccità in fasi cruciali, ma anche una struttura produttiva ancora frammentata. A subire i cali maggiori sono regioni chiave come la Puglia (-25%, da 149.008 a 111.999 t), la Calabria (-27%) e la Sicilia (-24%, da 35.171 a 26.622 t). Segnali positivi arrivano dal Centro-Nord: +63% in Liguria, +44% nelle Marche, +40% in Emilia-Romagna, +39% in Toscana.

L’olivicoltura biologica: un quarto della superficie, ma solo il 15% della produzione
Gli oliveti biologici coprono ormai il 24% della superficie totale, con 279.000 ettari su 1,12 milioni. Tuttavia, la produzione bio rappresenta ancora solo il 15% del totale nazionale: un divario che riflette in parte la giovane età di molti impianti e le difficoltà operative nella gestione biologica dell’olivo. Le regioni con la maggiore quota bio sono la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Toscana, che insieme concentrano oltre l’80% della superficie certificata. La tendenza è comunque in espansione, con incrementi costanti negli ultimi dieci anni.

Aziende e frantoi: un tessuto produttivo frammentato
L’Italia conta 619.378 aziende olivicole, con una superficie media di appena 1,8 ettari per azienda. Il 58% delle imprese ha meno di 3 ettari: una polverizzazione che ostacola l’efficienza e l’innovazione. I frantoi attivi sono 4.240, ma il 40% di questi lavora meno di 2.000 quintali di olive all’anno. Solo il 7% gestisce volumi superiori a 10.000 quintali. Se da un lato questo garantisce una forte capillarità e prossimità al raccolto (a vantaggio della qualità), dall’altro limita le economie di scala.

Consumi, export e fatturato: il paradosso italiano
Nel 2024, il consumo apparente nazionale è stato di 440.804 tonnellate, mentre la produzione si è fermata a 248.394 t: l’Italia non è autosufficiente e deve ricorrere massicciamente alle importazioni. Infatti, l’import supera l’export sia in volume (446mila t contro 344mila t) che in valore (3,13 miliardi € contro 3,08 miliardi euro). Ciononostante, il saldo commerciale si riduce drasticamente: -43 milioni di euro, contro i -278 milioni del 2023. Il fatturato industriale del settore ha raggiunto un picco storico: 5,85 miliardi di euro, pari al 3% dell’agroalimentare italiano, in netta crescita rispetto ai 4,18 miliardi del 2023. In parallelo, il prezzo medio di produzione dell’olio extravergine (EVO) è salito del 26%, trainato dalla scarsità di prodotto e dall’inflazione agroalimentare.

Il peso degli oli DOP e IGP
In Italia si contano 42 DOP e 8 IGP nel settore oleario. Tuttavia, la produzione certificata rappresenta ancora una quota ridotta: solo il 5% della produzione nazionale. Le denominazioni principali (“Terra di Bari”, “Toscano”, “Sicilia”) coprono oltre il 70% dei volumi IG. Gli oli certificati, tuttavia, spuntano prezzi alla produzione sensibilmente più alti: fino a 20 €/kg per il Brisighella, 16 €/kg per il Chianti Classico, 14 €/kg per il Monte Etna e il Riviera Ligure.

Caruso “nuovo interesse per l’olivo”
“La Puglia cala per effetto della Xylella mentre la Campania probabilmente per gli impianti tradizionali di difficile redditività”, commenta Tiziano Caruso, docente di Olivicoltura all’Università di Palermo, “per quanto riguarda la Sicilia c’è una attenzione particolare vista la crisi di altri settori penso anche per ragioni di mercato e demografiche e l’olivo sta vivendo un nuovo interesse”. Ma per il docente è necessario ripensare l’olivicoltura in chiave moderna, prima di tutto con la necessità di meccanizzare potatura e raccolta “i nuovi impianti devono tenere conto di questo”, ma anche creare degli oliveti che siano “pedonali”, ovvero che le operazioni in campo possano essere fatte “stando con i piedi per terra”, quindi piante alte massimo 4 metri. “Per la Sicilia ci sono grandi prospettive”, aggiunge il docente, “ma a patto di nuovi impianti moderni secondo una olivicoltura meccanizzata”.

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