Stevie Kim, alla guida di Vinitaly International, è un buon termometro per tastare lo stato di salute del vino italiano all’estero.
A lei abbiamo posto qualche domanda per sapere quali sono le tendenze del momento e le strategie del futuro.
Come si sta muovendo Veronafiere, attraverso il Vinitaly, per migliorare l’export?
“Innanzitutto siamo pronti per la quinta edizione dell’Hong Kong Wine and Spirits Fair, dove saremo presenti dal 7 al 9 novembre con 134 produttori e gli amici del vino, top brand italiani come Negroni, Fabbri, Lavazza e Agriform”.
Secondo lei, rispetto a un anno fa, com'è cambiata la percezione del vino italiano all'estero.
“Rimanendo all’esempio di Hong Kong, posso dire che fino a qualche anno fa, le domande dei visitatori erano del tipo ‘ma gli italiani fanno vino?’. Insomma c’era pochissima conoscenza, adesso vedo più interesse. E nonostante il mercato cinese sia dominato dai francesi adesso l’atteggiamento sul vino italiano è cambiato, anche se è una realtà enologica difficile da comunicare”.
In che senso?
“Già è complicato per me capire qual è la differenza fra Chianti e Chianti Classico o fra Prosecco Doc e Prosecco Docg, figuriamoci per loro…”.
C'è un modo per semplificare?
“Noi stiamo cercando di fare proprio questa operazione. A Hong Kong, in Cina dobbiamo usare come leva lo stile di vita italiano, la cucina per esempio, che loro adorano. Per questo a Hong Kong ci sarà un’area Vinitaly Lounge. Ogni pomeriggio alle 17 proporremo l’aperitivo, un rito per chiacchierare, scambiarsi opinioni sul vino, degustare cibo ed etichette italiane. Qualcosa di diverso rispetto all’happy hour di stampo anglosassone che loro conoscono. Lasciamo, invece, a mercati più maturi come può essere quello americano le differenze fra denominazioni e vitigni…”.
Oltre a quello statunitense quali sono i mercati dove il vino italiano è piazzato meglio?
“Quello canadese, ma siamo sempre in Nord America. In Europa si va bene in Svezia grazie ai veneti. L’Asia è difficile da conquistare, ma non si può sfondare da un giorno all’altro. Ci vogliono investimenti economici e umani. E poi piani di 3-5 anni. A breve noi presenteremo in Cina, dove sono già avanti con gli acquisti on line, il Vinitaly Wine Club, una piattaforma e-commerce lanciata in modo soft durante il Vinitaly 2013”.
Si vocifera che a Pechino l’Italia del vino abbia perso parecchie posizioni. È un dato che corrisponde alla realtà?
“C'è stata un po' di confusione con la regolamentazione del vino registrato, ci sono tanti mercati paralleli che riescono a esportate prodotti senza essere conteggiati. Difficile avere cifre precise. In generale si può dire che c’è ancora molto da fare per migliorare i numeri italiani in Cina”.
Ci sono vini italiani che sono più avanti nella percezione all'estero. Vengono in mente Chianti, Amarone, Super Tuscan…
“Sì, i piemontesi con il Barolo come capostipite e i Super Tuscan con il portabandiera Sassicaia vengono percepiti come etichette di fascia alta. I cinesi hanno invece un modo tutto loro per conoscere l’Italia del vino. Hanno scoperto il Barolo e da lì hanno cominciato a chiedere tutti i vini che cominciano per 'B' come Barbaresco, Brunello. Adesso dopo aver conosciuto l’Amarone, chiedono l’Aglianico”.
Per concludere, lei si è adoperata per portare una delegazione cinese al Vinitaly 2013. Ci può anticipare qualche mossa per la prossima edizione della fiera di Verona?
“Avremo un padiglione internazionale e un'area bio, e poi c’è qualche sorpresa in più che al momento non voglio svelare”.
Francesco Sicilia