Pubblichiamo un’ampia sintesi del discorso di Oscar Farinetti, imprenditore, produttore di vini e scrittore dal titolo “Il lusso di un viaggio: dal bisogno al desiderio” tenuto al 45º “Forum della Cultura del Vino” che si è svolto sabato 5 luglio all’Hotel Rome Cavalieri a Roma organizzato dalla Fondazione Italiana Sommelier e dal Vinitaly
Definiamo “lusso”
Abbiamo accezioni negative e positive. E le due visioni partono, come quasi sempre avviene quando si tratta di definire i sentimenti e i comportamenti umani, dai soliti due “fenomeni”, il maestro e l’allievo che non andavano d’accordo: Platone e Aristotele. Il primo lo identificava nell’ostentazione di ricchezza, la quale poteva corrompere l’anima…portando alla perdita di virtù civiche. Aristotele invece – e conosciamo bene la differenza tra Platone che partiva dall’iperuranio, cioè il mondo delle idee (infatti Raffaello nella Scuola di Atene lo raffigura mentre indica il cielo) e il suo allievo che invece si occupava dell’uomo in Terra (nello stesso quadro si trova accanto a Platone, insieme protagonisti assoluti del pensiero antico che segna il futuro, ma lui tiene il braccio in avanti indicando i valori terreni, quali la logica e la politica)…Aristotele, dicevo, riconosce il valore del lusso come espressione di eccellenza, magnificenza e invita a viverlo in modo misurato, soprattutto finalizzato al bene comune.

Suggerisco di tenere ben presenti entrambe le visioni: possono essere tutte e due corrette: dipende da noi, da come ci poniamo di fronte ai beni, ai servizi e agli stati d’animo che consideriamo “di lusso”. Parlo anche di stati d’animo perché, secondo me, è un lusso possedere un buon rapporto con il tempo, anche la leggerezza è lusso. Ma, in ogni caso vi è una certezza: questi prodotti, oppure servizi, oppure sentimenti, cioè moti del cuore, considerati “beni di lusso” non sono bisogni; si tratta di desideri.
Ora definiamo “vino”
Su questo vi risparmio le tiritere suggestive dei novemila anni di storia, non sto a parlarvi di Noè e della centralità del vino nei vangeli, della meraviglia del mondo contadino, delle fatiche e dei sacrifici che si trasformano in liquido orgasmico, tralascio Plinio il vecchio che, riprendendo Zenobio, ci ricorda che nel vino sta la verità… sono tutte cose che conoscete meglio di me. Forse conviene solo ricordare che il maestro dei maestri, cioè dei due fenomeni sopra citati e cioè Socrate, era il più ambito nei simposi dell’antica Grecia, luoghi dove si disputava di filosofia cioè del senso della vita. Una star praticamente, e il motivo stava nel fatto che reggeva il vino più di ogni altro. Infatti, tutti bevevano come spugne durante i simposi, passando così dal dire verità a proferire bufale pazzesche, mentre Socrate riempiva e svuotava per ore il suo bicchiere senza perdere mai lucidità e, alla fine, conduceva ogni partecipante alle sue ragioni. E che ragioni!
Lasciamo perdere, dicevo, la parte seducente del tema “vino”, diamola per risaputa. Limitiamoci a porci una domanda: Il vino è un bisogno oppure un desiderio?
Con l’affermazione del modello sociale che regola oggi l’organizzazione umana, cioè la società dei consumi – e ricordo che si tratta di un modello recente, nato circa due secoli or sono, che mette al centro i prodotti e i servizi che consumiamo e si fonda su di un triangolo i cui tre punti di snodo sono “posto di lavoro”, “salario” e “consumo”- ebbene, con la nascita di questo modo di vivere, dicevo, è iniziato un percorso su cui viaggiano i beni si consumo: dall’area del desiderio a quella del bisogno. Un prodotto viene sempre più consumato, cioè è sempre più protagonista del mercato, quanto più velocemente riesce a passare dalla sfera dei desideri a quella dei bisogni. Questi viaggi hanno assunto velocità rilevanti soprattutto dal dopoguerra a oggi: ottanta anni di accelerazioni incalzanti. Prendete la lavatrice, il frigorifero, il televisore: un tempo (e non così tanti decenni or sono) si lavava nei fiumi, si refrigerava in ghiacciaia, la sera si portava fuori la sedia e si chiacchierava con i vicini; questi prodotti erano puri desideri, oggi non se ne può fare a meno. Anche l’acqua minerale ha compiuto questo percorso, perfino il telefono cellulare…e potrei andare avanti per righe e righe sui beni “desiderio” che diventano commodity.
Il vino, invece (e appassionatamente), ha viaggiato al contrario e, dal mio punto di vista, è il prodotto più iconico tra i pochissimi che, da bisogni, son diventati desideri. Ai tempi di mio padre il vino era un bisogno, non era immaginabile sedersi a tavola senza vino e non si stava certo lì a discutere sulla qualità, si beveva e basta. Ora il vino appartiene completamente all’area dei desideri: se ne beve molto di meno, aspettiamo che si ossigeni nel bicchiere, lo rigiriamo ruotando il gambo del calice sapientemente trattenuto tra le dita, lo portiamo ripetutamente al naso, se ne discute…se ne disputa, eccetera.
Il vino è diventato a tutti gli effetti un desiderio, lo si beve decisamente in minor quantità e lo si paga in misura nettamente maggiore. Dunque, come tale, possiamo tranquillamente considerarlo un lusso.
È un bene o un male? Ma non vi è che una risposta, secondo me: non solo è un bene, è una meraviglia. Ma, attenzione, lo è nella misura in cui mettiamo in atto l’interpretazione aristotelica del lusso. Ce la ricordiamo? Il valore del lusso come espressione di eccellenza, magnificenza e vivendolo in modo misurato, soprattutto finalizzato al bene comune. Nel senso che, dal lato opposto, chi ordina bottiglie solo perché sono costose e poi se ne vanta… è un platonico.
Ora, non sto a spiegare a voi il concetto di eccellenza e magnificenza del vino, ne sapete infinitamente più di me. Tralascio anche commenti sul tema della misura: è ovvio che dobbiamo bere senza ubriacarci, conoscere il confine tra il piacere e la libidine (ahimè il punto debole di tutti gli orgasmi). Mi limito a spiegare cosa vuol dire, a mio parere, “finalizzato al bene comune”.
Il primo bene comune è la salute di chi consuma il vino e, non di meno, lo stato di salute della terra che coltiviamo per produrlo. Per questo motivo, ormai da diversi anni, sono passato al metodo del biologico, certificato sia in campagna che in cantina. E mi fermo qui. Lo so che esistono idee diverse dalle mie, le rispetto, e non vi nascondo le difficoltà che riscontriamo a causa del cambiamento climatico e delle nuove malattie, ma teniamo duro e, per ora, i dati ci danno ragione: sia sul livello di percezione del valore da parte dei clienti, sia sui conti. Continueremo a combattere e a cercare di convincere il mondo del vino che questa è la strada giusta: se fosse per me dichiarerei “Bio” tutta l’agricoltura italiana.
L’altro bene comune è la giusta ripartizione della ricchezza tra tutti gli attori che concorrono alla creazione e alla percezione di valore di questo meraviglioso prodotto che è il vino: contadini, persone di cantina, di amministrazione e vendita, servizi collaterali, fornitori, proprietari, clienti e consumatori. Si, ci metto anche chi il vino lo compra per berselo: fornire loro un prodotto eccellente, identitario e sano (e dunque non può costare poco) ad un prezzo sostenibile…o, insomma, almeno percepito come raggiungibile, magari con qualche sacrificio su altri beni di consumo. Questo per me è lusso vero!
Ora, per chiudere in bellezza vi leggo parole non mie, anche se le ho scritte io. Le trovate nel mio ultimo libro di racconti che si intitola “Hai mangiato?” e che si occupa parecchio di vino; sono parole pronunciate da due miei amici.

Incomincio da Beppe Rinaldi, detto Citrico. Un mio grande amico che sapeva fare il vino buono… e parlare di vino in modo buono. Oggi purtroppo non c’è più ma le sue figlie lo fanno ancora il vino buono. Ho passato tanto tempo a chiacchierare con lui, ho imparato molto. A volte non ero d’accordo con lui, ma questo non conta. Tutto ciò che diceva aveva senso. C’è un racconto nel mio libro che si intitola “Di palo in frasca”, sono le cose che mi diceva… e lui parlava proprio così, saltando di palo in frasca.
Di palo in frasca
“Negli anni 1995-2000 c’è stato il boom del Barolo. Una popolazione che, fino a quel momento, aveva sempre vissuto ai limiti dell’indigenza si è trovata per le mani una fortuna immensa all’improvviso. E ha perso il senso della misura. Mi spiego, nel 1932 è nato il Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco che riuscì̀ con i suoi grandi produttori a spingere il legislatore ottenendo attenzione dal senatore Desana che pose le basi per la legge sulle Doc (del 1966) e poi per il marchio Docg. Il Consorzio ha avuto un ruolo fondamentale nel governo e nella gestione della denominazione. Il termine “tutela”, che è molto ampio, significa curare il bene delle colline, delle cantine, del territorio e non solo il benessere economico dei produttori. Investe anche la genuinità̀, la qualità̀, la bontà̀ dei vini… Ecco! Le bottiglie avrebbero dovuto essere contingentate. Alla base della qualità̀ di un prodotto c’è la scarsità̀. Quando sconfini nell’abbondanza e cominci a piantare vigneti al posto dei noccioleti, dei peschi, dei prati e poi dei boschi, finisci male.
Siamo passati da poco più̀di 5 milioni di bottiglie a 12- 13 e presto saranno di più̀, quando cominceranno a produrre le ultime vigne piantate.
Non scrivo “bio” sulle mie bottiglie, anche se sono biologico da una vita. A me le mode danno fastidio. E adesso è una moda: essere biologico, biodinamico, naturale. Quando è moda è moda, dice Gaber, ma a me dà fastidio. La moda omologa, appiattisce, crea stereotipi. Però io dico: viva il biologico, viva il biodinamico, viva l’etica naturale. Mi auguro porti una svolta, una spinta al rispetto del terreno e dei prodotti. Questa zona potrebbe essere la prima a lanciare, attraverso il Consorzio, un disciplinare che preveda l’abbandono degli insetticidi e dei diserbanti, per poi ragionare anche su disseccanti e concimi chimici. Allo stesso tempo bisogna curare i prezzi delle uve, affinché́ una famiglia contadina possa ottenere, attraverso la viticoltura, condizioni di vita dignitose. Teniamo presente che, se si aboliscono diserbanti e disseccanti, aumenta considerevolmente il costo di gestione del vigneto.
I francesi ne hanno ancora di vantaggio su di noi…e parecchio. Loro nascono con Giovanna d’Arco e le prime leggi di tutela dello Champagne sono del Settecento. Noi nasciamo nel 1861 e forse non siamo ancora nati del tutto. Loro hanno una dignità̀ e un orgoglio che noi italiani non riusciamo ancora ad afferrare. Coscienza e forte convinzione del valore reale dei propri territori e dei propri vini.
E vuoi sapere cosa penso della politica, dei consorzi? Gli uomini migliori si ritraggono. Ma forse anche perché́ le aziende sono cariche di oneri burocratici eccessivi che costringono l’imprenditore a un impegno notevole, a incombenze insulse e dannate, che non lasciano libertà per la cura degli interessi comuni, del territorio. In più̀ nei consorzi si affrontano sempre due anime: la lobby dei negozianti e l’individualismo dei produttori. I negozianti puntano ai grandi numeri e alla globalizzazione. I produttori artigianali, oltre a vivere di invidie e di pochezze, hanno anche la grandissima pecca di isolarsi socialmente, nonostante siano lo scheletro sano della zona. Sono le piccole aziende che hanno valorizzato questo territorio. Purtroppo, però, i piccoli hanno agito individualmente e questo non è bene. Questa nostra incapacità̀di fare cose insieme è atavica. È un antico retaggio dei feudi. Infatti, nei consorzi manca la circolazione delle informazioni, la rete, la democrazia. Quelli che se ne vanno lo fanno per questa ragione. È più̀facile dominare se tieni le persone nell’ignoranza. La storia ce lo insegna”.