RACCONTI DI BIRRE E PIZZE:
LA BIANCA ALLA CONTADINA
Una versione relativamente recente della ricetta classica:
leggera e insieme golosa, con la pinta rivela grande feeling
D’accordo, non la troveremo negli almanacchi classici della pizza. Né nella genealogia delle varianti con pedigree: ovvero le discendenti più dirette delle ricette primigenie. Eppure, nonostante la sua entrata in scena piuttosto recente, la versione bianca alla contadina non solo si è imposta velocemente nelle consuetudini dei consumatori, ma con altrettanta rapidità ha saputo farsi apprezzare dalla platea della critica e degli appassionati più esigenti. Le sue armi? Facilità di preparazione, leggerezza, gusto decisamente goloso e, aspetto che davvero non guasta, un notevole eclettismo in termini di abbinabilità: anche con la birra, nei confronti della quale rivela davvero un gran feeling.
PIÙ CHE UN NOME… UN MANIFESTO
Nel suo caso, il nome – bianca alla contadina – contiene in effetti come una dichiarazione d’identità. Perché rende esplicita sia la rinuncia alla salsa di pomodoro in condimento sia la scelta degli ingredienti da cui pescare appunto per la guarnitura: ovvero gli ortaggi. Certo, si tratta di un perimetro sconfinato, ma nondimeno contrassegnato da alcune caratteristiche comuni: ad esempio un contenuto in grassi decisamente modesto e una trama proteica altrettanto leggera. A dettare legge, qui, sono le fibre alimentari (il Dna stesso della verdura); le cui prerogative si declinano poi in temperamenti gustativi ovviamente diversi per ciascuno dei singoli prodotti che la terra e la campagna, con la loro generosità, ci regalano. Nella fattispecie, il compito di imprimere il proprio temperamento alla nostra pizza spetta, in particolare, a un binomio decisamente interessante: quello composto da zucchine e peperoni; con, a sostegno, la quasi immancabile mozzarella di latte vaccino.
UN BOCCONE DOLCE E VERSATILE
Premesso che, preparato e fatto lievitare l’impasto, anche zucchine e peperoni (tagliati a rondelle i primi a fettucce i secondi) dovranno essere brevemente pretrattati (facendoli brillare pochi minuti in padella con olio d’oliva), per il resto la preparazione è veramente semplice. Si tratta infatti di decorare la base con le verdure e con qualche straccetto di mozzarella, infornare e lasciar cuocere un quarto d’ora al massimo: quel che serve per conseguire il giusto grado di croccantezza. Quindi si regola di sale (se serve: nel nostro caso, giusto due granelli) e poi si lascia che il palato… canti. Eh già, perché il risultato è sfizioso, ma parecchio: il boccone rivela, al naso, accattivanti note tostate ed erbacee, il cui timbro odoroso colora di sé una tendenza gustativa dalla tendenza sostanzialmente dolce, senza chiaramente presentare veri e propri residui zuccherini. Una dolcezza, insomma, da intendere in senso lato: come sostanziale assenza di sapidità e piccantezza, lasciando spazio giusto a un tocco di lieve acidità apportata dall’extravergine. E dunque un profilo che, pensando alla birra, apre le porte anche a tipologie orientate a una certa vena d’amaro. Qualche esempio? Ne proponiamo tre, tutte di stampo nuovomondista…
CON LA SESSION IPA
Si parte volando bassi, con le latitudini alcoliche: i 3.9 gradi della LSD, una Session IPA tutta freschezze firmata, ad Albano Laziale (Roma) dalle officine Radiocraft. Colore paglierino e trama leggermente velata, la sua corporatura e la sua spinta etilica (decisamente leggere, ma sostenute da una vivace bollicina) non trovano difficoltà nel gestire la giudiziosa sostanza lipidica del boccone; il quale, con la sua già sottolineata dolcezza, non tende inciampi alla lama amaricante della bevuta, ma al contrario ne ammansisce le eventuali intemperanze. Quanto all’olfatto, la sorsata – contrassegnata dagli apporti di luppoli quali Citra, Eclipse e Superdelic – sfodera note fruttato-esotiche (mango, pompelmo) che, intrecciandosi al peperone della pizza, generano un effetto combinativo da Sauvignon Blanc tanto sorprendente quanto gradevole.
CON L’AMERICAN AMBER ALE
Si sale di taglia alcolica: scalando il dislivello fino ai 5.7 gradi della Life on Mars, equilibrata American Amber Ale della scuderia Poggio Rosso (a Peccioli, nel Pisano). Velata a sua volta, ma tinteggiata di un caldo colore ramato, la birra – recante, in aroma, le tonalità agrumate dei luppoli Cascade e Centennial – stabilisce, con il piatto, un nuovo e diverso ponte olfattivo: quello garantito dalle proprie tostature, come detto ben presenti anche nella nostra pizza. Quanto alle interazioni palatali, la bevuta, di amaro, ne ha ancor meno: il che garantisce, anzi ottimizza, quegli effetti armonizzanti già apprezzati nel precedente abbinamento. E allo stesso modo migliora, nel complesso, la gestione della materia grassa in dote al boccone: prevedibile risultato di una sorsata sospinta da una maggiore verve etilica…
CON LA PACIFIC IPA
Ulteriore piccolo salto in alto sulla scala dei valori alcolici: quello che serve per arrivare ai 6.2 gradi della Tago Mago, ventilata Pacific IPA targata Aimara, marchio artigianale di Subiaco (di nuovo in provincia di Roma). Senza perdersi in ripetizioni, anche la terza bevuta conferma, con il piatto, le positive collimazioni registrate a consuntivo delle due prove precedenti: sia sul piano gustativo (nel contrasto armonico tra dolce e amaro) sia su quello palatale (fluidificando in agilità la contenuta materia grassa del boccone). Il bello arriva poi sul piano delle relazioni olfattive: dove i luppoli oceanici in gioco (Nelson Sauvin,
Galaxy e Topaz) introducono sensazioni da pompelmo e ananas che, intercettando il peperone della pizza, perfezionano quell’evocazione da Sauvignon già raccolta sorseggiando la LSD…
BIRRIFICIO RADIOCRAFT
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