Nei campi di riso italiani, quest’anno, si respira preoccupazione. Le importazioni di prodotto straniero sono aumentate del 10% nei primi sette mesi del 2025 e, di pari passo, i prezzi riconosciuti ai produttori nazionali si sono quasi dimezzati. È l’allarme lanciato da Coldiretti, che denuncia una crisi sempre più profonda per una filiera simbolo dell’agricoltura italiana.
Le quotazioni all’origine per varietà come Carnaroli e Arborio sono crollate da oltre un euro al chilo a 60-70 centesimi, ben al di sotto dei costi di produzione. Eppure, i raccolti non sono inferiori a quelli dello scorso anno: a cambiare è la pressione esercitata dal riso importato, che oggi sfiora i 208 milioni di chili, secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat.
Il problema non è solo quantitativo. Circa il 60% del riso che arriva in Italia gode di tariffe agevolate e, in metà dei casi, è già confezionato. Dal 2009, con l’iniziativa europea “Everything but Arms”, le importazioni dai Paesi meno sviluppati sono cresciute da 9 a quasi 50 milioni di chili. Un fenomeno che, oltre a minacciare la tenuta economica delle aziende italiane, solleva interrogativi su sicurezza alimentare e diritti dei lavoratori, poiché in molti Paesi d’origine vengono impiegati pesticidi vietati in Europa e manodopera a basso costo.
A complicare il quadro, la revisione del Regolamento europeo sul Sistema delle Preferenze Generalizzate. La nuova clausola di salvaguardia, se applicata come proposta, si attiverebbe solo oltre la soglia di 600mila tonnellate di riso importato: un limite giudicato da Coldiretti “inefficace” per difendere la produzione europea. Non mancano timori anche sul fronte del trattato tra Unione Europea e Mercosur. Già quest’anno sono arrivati oltre 5 milioni di chili di riso dal Sud America e l’accordo prevede la possibilità di importarne fino a 60 milioni senza dazi. «Un rischio enorme per il comparto – spiega Coldiretti – perché i produttori sudamericani operano con regole e costi incomparabili ai nostri, utilizzando fitofarmaci vietati e godendo di controlli meno stringenti». Per la principale organizzazione agricola italiana, servono reciprocità e trasparenza: «Occorre l’obbligo dell’origine in etichetta su tutti i prodotti alimentari – sostiene Coldiretti – per consentire ai consumatori di scegliere consapevolmente e difendere il lavoro dei nostri produttori».
Oltre alla concorrenza estera, pesano anche i rincari dei costi di produzione. Energia, fertilizzanti e carburanti restano su livelli molto superiori rispetto al periodo pre-pandemico, aggravati dalle tensioni geopolitiche. A rischio è il futuro di un comparto che rappresenta il cuore della risicoltura europea, con oltre 1,4 miliardi di chili di risone all’anno. Le province di Pavia, Vercelli e Novara coprono da sole circa il 90% della produzione nazionale, coinvolgendo più di diecimila famiglie tra imprenditori e lavoratori. Un patrimonio economico e culturale che oggi chiede tutele concrete per non essere sommerso da un’ondata di importazioni incontrollate. Perché dietro ogni chicco di riso italiano c’è una storia di territorio, fatica e identità che rischia di andare perduta.