A Belém, nel cuore pulsante dell’Amazzonia, si apre la Cop30, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Un luogo simbolico, culla di biodiversità e specchio fragile di un pianeta che chiede respiro. Da qui Slow Food lancia un appello: basta promesse, servono azioni.
“È una follia continuare a perdere tempo”, dichiara Serena Milano, direttrice dell’associazione, ricordando come molti degli impegni presi nelle precedenti Cop siano rimasti lettera morta: dall’Accordo di Parigi sul limite di +1,5 °C, al fondo per i Paesi in via di sviluppo, fino alla riduzione dei combustibili fossili. “La crisi climatica non ha confini politici né ideologici”, prosegue Milano. “È una questione di sopravvivenza: servono scelte concrete per ridurre le emissioni e promuovere modelli di vita e di consumo più sobri, rispettosi della natura, del suolo e delle foreste”.
L’indifferenza del mondo che brucia
Mentre la crisi ambientale avanza, il dibattito globale si sposta su guerre e riarmi. Capi di Stato liquidano il cambiamento climatico come “ideologia ambientalista”, dimenticando che i numeri raccontano una realtà diversa. Secondo la Banca Mondiale, entro il 2030 la povertà globale potrebbe colpire altri 122 milioni di persone. E l’Europa, dicono le stime dell’Imperial College di Londra, ha già pagato un prezzo alto: quasi 16.500 morti in più a causa delle ondate di calore, con Roma in testa.
“Da una parte si condannano i fossili, dall’altra si continuano a finanziare le compagnie petrolifere”, denuncia Slow Food. Per invertire la rotta servono risorse reali: 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, destinati ai Paesi del Sud del mondo, le prime vittime di una crisi che non hanno causato.
I sistemi alimentari al centro del cambiamento
Slow Food chiede che la transizione climatica passi anche dai sistemi alimentari. L’agricoltura industriale, oggi, è responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di gas serra. Non solo: distrugge foreste, impoverisce i suoli e mette a rischio la salute delle persone. Gli allevamenti intensivi, denuncia l’associazione, tra il 2022 e il 2024 hanno generato più di un miliardo di tonnellate di CO₂. In Brasile, le monocolture di soia destinate ai mangimi animali occupano ormai un territorio grande quanto la Germania. Per Francesco Sottile, vicepresidente di Slow Food Italia: “Dobbiamo costruire un modello agricolo che nutra le persone senza affamare il pianeta. Serve rigenerare gli ecosistemi, difendere la biodiversità, i paesaggi, le culture legate al cibo”.
Il cibo come chiave del futuro
L’associazione invita i governi a ridurre la dipendenza dell’agricoltura dai combustibili fossili: fertilizzanti chimici, pesticidi e diserbanti sono figli del petrolio tanto quanto le auto o le industrie pesanti. La transizione, spiegano da Slow Food, deve passare per filiere corte, economie locali, diversità alimentare e tutela delle comunità. “Se solo le risorse destinate alle armi fossero impiegate per la vita e per il creato”, conclude il comunicato, “avremmo già vinto la battaglia contro la fame e iniziato quella per il clima”.