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Scenari

La Cucina Italiana patrimonio Unesco? Grandi: non serve a nulla. Langone: macché, serve eccome…

24 Novembre 2025
gli intervistati; da sinistra Alberto Grandi e Camillo Langone gli intervistati; da sinistra Alberto Grandi e Camillo Langone

Il primo è docente universitario, l’altro è uno scrittore amante di cucina e vini. Intervistati da noi in vista della decisione sulla candidatura del nostro Paese prevista a dicembre a Nuova Delhi

È ormai in dirittura d’arrivo la candidatura della cucina italiana a Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco, ufficialmente partita nel 2023.

Dopo il superamento del primo parere tecnico, cresce l’attesa per la decisione finale del Comitato Intergovernativo, che si riunirà a New Delhi dal 9 al 13 dicembre.

A seguire da vicino il dossier, i cui autori sono il costituzionalista Pier Luigi Petrillo e lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari, è stata fin dal principio Maddalena Fossati, direttrice di un mensile che non a caso porta il titolo La Cucina Italiana. Ma c’è anche chi storce il naso, per esempio il solito Alberto Grandi, docente di Economia e Management presso l’Università di Parma e autore di L’Invenzione del Cuoco, che rompe le uova nel paniere di un’omelette indigesta.

– Prof. Grandi, che cosa pensa di questa candidatura?
Se lo scopo è far parlare della cucina, insomma fare marketing, non è un problema. Ma credo che l’Unesco serva ad altro. Mi sembra, nella migliore delle ipotesi, un’operazione zoppa; nella peggiore, un errore, perché non rientra nello spirito dell’organizzazione. Quantomeno si presta a strumentalizzazioni, perché la politica cavalca questo orgoglio gastronazionalista e chiede al mondo l’ennesimo riconoscimento, come se servisse un bollino. Uno dei motivi per cui l’Unesco ha istituito la categoria dei beni immateriali è il rischio di scomparsa, ma la nostra cucina è piuttosto minacciata dalla riduzione a caricatura e macchietta, non certo dalla scomparsa, visto che dilaga in ogni angolo del mondo. Sono appena stato a New York, dove in qualsiasi ristorante ho trovato la nostra bandiera. Poi si può discutere su che cosa sia la cucina italiana e che cosa si stia realmente candidando. Il mio timore è che si tratti proprio della caricatura, ossia della rappresentazione turistica, di un prodotto standardizzato con pochissimi piatti a uso e consumo dello straniero. Si sta candidando un’immagine dell’italiano vista dall’esterno: la dolce vita, la tavola imbandita sotto la pergola di una villa toscana, l’idea idilliaca che preparare da mangiare significhi prendersi cura degli altri. Quando la dolce vita in Italia non esiste più, visto che lavoriamo il doppio degli altri per guadagnare la metà.

– Nessuna cucina è mai stata dichiarata patrimonio Unesco, ma esiste un precedente: il Pasto Gastronomico Francese, laureato nel 2010. Quali differenze intravvede?
Storicamente l’italiano ha sempre patito un senso di inferiorità verso i francesi e si è sempre sentito in dovere di rimarcare una precedenza nei loro confronti. Ma c’è una differenza: la Francia ha candidato l’idea di una cucina che esce dalle corti nobiliari; è vero che anche in quel caso non sussiste alcun rischio di scomparsa, però c’è l’idea di promuovere la conoscenza di un processo storico. Noi invece stiamo candidando un’identità. La destra è la parte politica che insiste di più, ma la sinistra fatica a smarcarsi da ciò che viene percepito come un sentimento nazionale; non riesce ad assumere un atteggiamento serio e laico, considerando che la cucina è diventata una religione. Io poi già anni fa chiedevo l’abolizione dell’Unesco.

– Che impatto prevede in caso di successo sul turismo e sull’italian sounding? Di fatto la cucina italiana è già la più esportata del mondo
Da storico faccio un pronostico: non ci sarà alcun impatto, se non vedere esultare Lollobrigida con Casa Artusi, La Cucina Italiana e compagnia cantante. Al massimo uscirà qualche articolo per solleticare l’orgoglio nazionale. Ma di certo nessun turista verrà qui perché ha scoperto qualcosa che ignorava, né nessun italiano andrà più spesso al ristorante. La cucina italiana non è a rischio se non di standardizzazione, che è l’opposto della sua storia.

– C’è chi sostiene che l’era dei ristoranti stia volgendo al termine e che viviamo tempi di eat at home economy
A me sembra che i ristoranti continuino a moltiplicarsi, anche se con il Covid c’è stata un’esplosione di video casalinghi. Ma è una ciclicità. Non vedo nulla di strutturale, a parte la crisi economica. Anche prima del boom gli italiani mangiavano a casa perché non avevano alternative.

La pensa diversamente Langone, intellettuale orgogliosamente conservatore nonché penna de Il Foglio.

– Langone, il Pasto Gastronomico Francese è già patrimonio Unesco. Qual è la Sua posizione sulla candidatura della cucina italiana?
Io sono contrario a titoli, timbri, targhe, trofei, ma tutto il mondo crede a queste cose e dunque sì, da patriota mi auguro che la candidatura abbia successo.

– Secondo Lei che cosa rende speciale la cucina italiana, che è già la più esportata al mondo?
Innanzitutto la sua grande varietà, derivante dalla grande diversità geoclimatica e culturale della nazione. La cucina italiana vive delle venti cucine regionali, delle cento cucine provinciali, delle mille cucine comunali. E credo sia decisiva anche l’emigrazione: da molti anni tanti italiani lavorano all’estero portandosi dietro ingredienti e ricette, che spesso hanno avuto successo.

– Ritiene che, in caso di successo, gli effetti sarebbero tangibili oppure si tratterebbe di una mera rivendicazione nazionalistica?
Se davvero si riuscisse a ravvivare l’orgoglio nazionale, ci sarebbero effetti concreti. Soprattutto nel settore del vino, oggi penalizzato dall’esterofilia.

– La guida Michelin, più che mai nell’ultima edizione, premia una cucina che spesso attinge i propri prodotti dal territorio, ma li elabora con tecniche e modelli giapponesi, nordici, sudamericani. Una cucina globalizzata, mentre un’insegna storica e profondamente italiana come Arnaldo (dopo la Capanna di Eraclio) perde il macaron. Paradossalmente l’Italia, seconda al mondo per numero di stelle, brilla più della cucina italiana?
La sola esistenza della Guida Michelin rappresenta un insulto all’Italia tutta, non soltanto ai ristoranti italiani. Non c’è reciprocità, non esiste una Guida Pirelli che detti legge nella ristorazione francese. La Guida Rossa è un’istituzione coloniale. E i colonialisti non sono interessati alla cultura locale: a loro bastano clima, paesaggio, indigeni servizievoli e sorridenti.

– Che cosa si dovrebbe fare, allora, per salvaguardare questo patrimonio?
Cominciare a parlare del problema della salvaguardia è già qualcosa. E forse la cucina italiana patrimonio Unesco sarà più di qualcosa.