La Sicilia è terra di tartufi e adesso c’è anche un ufficio che regolamenta e promuove il settore. Si chiama Coretas, Coordinamento regionale tartufi Sicilia, e ha sede a Cianciana in provincia di Agrigento. Il suo primo compito è stato quello di regolamentare e fare diventare operativa la legge n. 35 del 2020 che regola l’intera filiera tartufi in Italia. Oggi si occupa dell’applicazione della normativa regionale con l’obiettivo di proteggere il territorio e valorizzare le aree vocate. In Italia sono una trentina le varietà di tartufo documentate. Di queste, nove sono commestibili e commerciabili e, di queste nove, in Sicilia ne sono state individuate sette. Una presenza dovuta alla varietà di ambienti sui monti isolani, dai Nebrodi ai Sicani, dagli Iblei alle Madonie, dai Peloritani agli Erei.
“La Sicilia è arrivata per ultima nel mondo dei tartufi ma sta sfruttando conoscenze ed esperienze di altri e, a livello qualitativo, ce ne sono buoni e in buone quantità”, afferma Destrino Giuseppe Papia, funzionario e micologo del Dipartimento Agricoltura della Regione siciliana e coordinatore del Coretas. “Nella nostra Isola – continua – abbiamo terreni con una buona vocazione, infatti con il Dipartimento Agricoltura e con quello allo Sviluppo rurale stiamo facendo una mappatura per individuare le zone più idonee. Il nostro obiettivo è quello di valorizzare due specie di tartufo che si trovano con maggiore frequenza, il Tuber aestivum e il Tuber borchii o Bianchetto, che si presta bene in cucina. Stiamo anche cercando di capire se ci sono zone in cui è possibile trovare il bianco pregiato o il nero pregiato. Questi tartufi necessitano di un areale di produzione caratterizzato da piogge nel periodo estivo che da noi mancano e di terreni permeabili e umidi con precipitazioni costanti durante la crescita che da noi non ci sono, dunque non è facile trovarli”.
Intanto in Sicilia sono nove i comuni ricadenti in varie province isolane che aderiscono all’associazione nazionale “Città del Tartufo”, nata nel 1990 ad Alba ed operativa a Montalcino e nella sua frazione di San Giovanni d’Asso, in provincia di Siena: Burgio, Capizzi, Castelbuono, Santa Domenica Vittoria, Gangi, Lucca Sicula, Palazzolo Acreide, Sambuca di Sicilia e il centro di ricerca che ha sede a Castell’Umberto. Ma quella per il tartufo è una passione che cresce tra “professionisti” della raccolta e amatori ed è sempre più frequente vedere cavatori con i loro cani addentrarsi tra i boschi in cerca del prezioso fungo ipogeo che sul mercato può raggiungere cifre ragguardevoli.
“Il valore del tartufo è regolamentato dalla Borsa e varia in base alle quantità – spiega Arturo Buccheri, micologo e presidente dell’Amint, Associazione micologica idnologica di Torrenova nel Messinese –. Se è una buona annata, il prezzo scende, ma se c’è scarsità si può arrivare a cinque-seimila euro al chilo per il bianco pregiato. In Sicilia il Tuber uncinatum, Tuber aestivum e il Tuber borchii si aggirano tra i 700 e 800 euro al chilo in annata di raccolto scarso. Se l’annata è buona e quindi se ne trova in maggiore quantità, si può arrivare a 300 euro al chilo. Inoltre – continua – bisogna tenere presente che l’80 per cento del tartufo esistente in natura si perde, il 20 per cento va a maturazione dai 6 agli 8 mesi e di quelli che arrivano a maturazione, il 15 per cento se lo mangiano gli animali, quindi da cavare rimane solo un cinque per cento. Per la crescita del tartufo le piogge sono fondamentali: abbiamo verificato che, se piove ad agosto, il tartufo di maggio/giugno dell’anno successivo avrà maggiori probabilità di crescita”.
“Spesso ci viene chiesto se i tartufi siciliani siano di buona qualità – aggiunge il coordinatore del Coretas Papia – e noi rispondiamo che, a parità di varietà, i nostri tartufi sono come quelli cavati ad esempio in Umbria, Toscana o Piemonte”.
Così capita, in un giorno di novembre, armati di vanghetto e raspino, di avventurarsi nei boschi del Parco dei Nebrodi in una località che abbiamo promesso di non rivelare (perché un cavatore esperto non dice mai dove ha trovato il tartufo), guidati da Kenia, la vivacissima esperta cavatrice di razza Lagotto romagnolo che fa coppia con il coordinatore del Coretas Papia e con il suo collaboratore Paolo Manzullo, agronomo e micologo del Coordinamento, per vedere con i nostri occhi questa ricchezza di Sicilia che pochi ancora conoscono.
Della piccola spedizione fanno parte anche Salvatore Alì, micologo dell’associazione Amint e insegnante alla scuola di micologia di Bronte che fa capo all’Unione Micologica Italiana, ex forestale in pensione ed esperto conoscitore dei Nebrodi, sua figlia Maria Chiara, ispettore micologo sostenuta da una grande passione, e Nino Giuffrè, cavatore esperto. Andare per boschi con un gruppo così competente ed appassionato è come fare una visita a una città con uno storico dell’arte: nulla sfugge al loro sguardo e molto per noi, abituati a vivere tra macchine e palazzi, è fonte di stupore.
E tra una chiacchiera, una spiegazione sul tipo di terreno, una sull’infinita varietà di funghi che ci circonda e sulla vita sotterranea del bosco, lungo sentieri battuti solo da esperti e appassionati, Kenia scorrazza tra gli alberi e comincia a scavare: uno, due, tre… tartufi uncinati di varie dimensioni. Un prodigio della natura e una missione portata a casa con successo. E adesso rimane un unico dilemma: meglio i tagliolini o l’uovo col tartufo?