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L'intervento

“Caro Carlin Petrini, io Slow Food temo di non capirlo più”

02 Ottobre 2017
carlin_petrini carlin_petrini


(Carlin Petrini)

di Daniele Cernilli, Doctor Wine

Caro Carlin, ieri pensavo che ci siamo incontrati per la prima volta nel 1983, quando ti invitai come ospite in un programma radiofonico che conducevo su Radio Uno e che si chiamava “Viva il Vino”. 

Tu, che avevi 34 anni, eri un giovane intellettuale di sinistra, con un passato nel volontariato delle Dame di San Vincenzo e un presente come ideatore della Nobile Associazione Amici del Barolo, che poi sarebbe divenuta Arci Gola e infine Slow Food. Nessuno poteva prevedere quello che stava per avvenire, la nascita del Gambero Rosso, con te, me, Franco Azara e soprattutto Stefano Bonilli. Di vino ne parlavamo da appassionati e così di tematiche legate al mondo dell’agricoltura e della gastronomia. Tutto accadeva 35 anni fa, e questo significa che ci conosciamo bene e da tempo, e che abbiamo lavorato insieme per almeno una ventina di anni. Con la guida ai vini d’Italia fatta insieme, con i tre bicchieri, con le manifestazioni oceaniche organizzate al Lingotto di Torino e via dicendo.

Da alcuni anni le nostre strade si sono allontanate, io faccio una piccola cosa che si chiama DoctorWine, tu, dico sempre scherzando, “cammini sulle acque”, viaggi per il mondo e ti occupi di Terra Madre, poco o nulla di Slow Food, ormai. Ed è per questo che ti scrivo una lettera aperta, da vecchio amico e non per tirare stracci. Io Slow Food temo di non capirlo più.

Trovo le iniziative ideologiche e confuse, trovo le parole d’ordine contraddittorie, trovo che molti alzino il ditino e facciano la morale agli altri e poi si comportano in modo non dissimile da coloro che criticano. Trovo che ci sia un atteggiamento antiscientifico diffuso, con una voglia di ritorno al passato poco pensato e poco discusso. Come in un rimpianto di un’ipotetica e perduta età dell’oro che tralascia il fatto che, bene o male, la vita media cresce o che la medicina ha fatto passi da gigante, e non solo in Italia. Nel nostro piccolo settore sembra quasi che se il viticoltore non si fa carico della “fatica contadina” allora non si può definire come tale. O che una pretesa “tradizione”, che spesso è vecchia solo di pochi decenni, sia la luce da seguire sempre e comunque.

Allora mi ricordo di quando andavamo da Elio Altare o dal povero Domenico Clerico, quando restavamo a bocca aperta a vedere le innovazioni che apportavano al modo di coltivare la vigna e di vinificare, ricordi? Quando in quel modo si affrancavano, loro, piccoli vignaioli, dal ricatto dei mediatori di uve. E ricordo l’entusiasmo con il quale appoggiammo, io, tu, Gigi Piumatti, quel movimento, quello dei Barolo Boys, che ti vide in prima linea a sostenere quell’impegno. In quel momento il ruolo innovativo, proiettato verso il futuro, che l’allora Arci Gola, e anche il “mio” Gambero ebbero era fuori discussione. Ma ora? Possibile che sia esclusivamente Terra Madre, i grandi temi mondiali, e non più le declinazioni che la vita prende in mille modi, l’unico centro del problema? Non ho risposte, ovviamente, ma domande sì. E credo le abbia anche tu.

Nel frattempo Slow Food prende strade che non capisco più e che non riesco a condividere. Ma questo è evidentemente solo un mio problema. Però volevo dirtelo, anche se non mi aspetto risposte. De minimis non curat praetor.
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