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Vini e territori

L’arrivo dei Cotarella a Montalcino. Vi raccontiamo il loro (primo) Brunello

07 Febbraio 2022
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di Alessandra Meldolesi

17: per la cabala è un numero propizio, somma di buono e di bene.

Il meteo, tuttavia, è andato un po’ diversamente, fra gelate e siccità. Di sicuro non è stata un’annata qualsiasi per la famiglia Cotarella, che ha messo piede a Montalcino acquisendo Le Macioche. Cosicché la 2017 è anche la prima annata di Brunello che ha controllato pienamente, dalla vigna fino alla bottiglia. La prima vendemmia nella prima azienda toscana. Ed è stato anche un passaggio epocale, visto che l’acquisizione è stata compiuta dalla nuova generazione, delle figlie di Riccardo e Renzo e dei due generi di questi ultimi, pienamente coinvolti nell’azienda. Il patriarca Riccardo si è limitato ad assaggiare il campione prima dell’imbottigliamento, senza aggiungere una parola se non: bravi! Di fatto la firma enologica è di Pier Paolo Chiasso; il progetto è collegiale, anzi familiare, ma ancora in fase di avviamento, se è vero che la nuova cantina interrata, circondata da 4 ettari di vigna, sarà ultimata e operativa solo quest’anno, compatibilmente con le consegne dei materiali. Porterà un tasso di tecnologia ulteriore anche se il focus resta in vigna, dove si fa il 70% della qualità.

Di fatto l’indirizzo stilistico, per dirla con Riccardo, è quello di un “sangiovese dinamico”, nel solco della storia della denominazione, visto che è stato proprio il valore del movimento a far innamorare la famiglia del luogo, assaggiando le vecchie annate della cantina. E lo stesso diminutivo “ello” già parla di eleganza, leggerezza, soavità, di un peso relativo che può sollevarsi e danzare. Mettere piede in una zona sacra come Montalcino incute rispetto e anche un po’ di soggezione. “Per noi le Macioche sono un sogno”, ha confessato emozionata Dominga, che presto prenderà le redini dell’azienda. “Montalcino è una terra dove muoversi in punta di piedi, con grande umiltà. Qui non siamo nessuno e dobbiamo prima di tutto portare rispetto a chi ha fatto la storia e ad un’uva grandissima. Cerchiamo grazia e finezza, l’armonia è la nostra ossessione”.

L’avventura tuttavia è cominciata meteorologicamente in salita, qui come altrove, ponendo subito la sfida di gestire le avversità. In questo Le Macioche sono state favorite dall’altitudine sopra i 400 metri, con buona ventilazione serale e ombreggiatura, dai terreni argillosi ma ricchi di scheletro, capaci di trattenere l’acqua, e dal sesto d’impianto. Le uve, allevate a cordone speronato e guyot, erano mature ma non surmature. Vendemmiate la mattina presto, diraspate e pigiate, sono state prontamente trasportate in serbatoi di acciaio. Mirando a valori come freschezza e vivacità, la scelta è stata quella di una temperatura di fermentazione bassa, fra 26 e 28 gradi, con poche azioni meccaniche come i rimontaggi e poca solforosa, per evitare un’eccessiva estrazione. Al termine di 10 giorni, quindi, il travaso in botti grandi da 30 ettolitri di legno francese a tostatura bassa e poi tanta bottiglia, nel tentativo di riequilibrare le inclemenze.

Il risultato è un nettare di color rosso vivo intenso, con qualche accenno granata; al naso è subito diretto, verticale, con la ciliegia rossa tipica della denominazione, non troppo matura, poi il floreale della rosa e lo speziato del pepe, unito a una nota balsamica. La dolcezza del legno non invade la bocca, piuttosto scalpitano acidità e tannini, marcatori di gioventù che preannunciano grazia nell’invecchiamento. Rispetto ai vini usciti negli anni precedenti, la gestione integrale, fin dalla fase decisiva dell’estate in vigna, si sente. Se dopo l’acquisizione la 2014 non era uscita, la 2015 e la 2016 avevano per forza di cose visto un intervento solo limitato di Chiasso, relativo al blend fra partite e all’affinamento. Chi li ha assaggiati, racconta che si trattava di vini più magri, forse troppo, mentre l’eleganza in chiave contemporanea non dovrebbe mai andare a scapito della sostanza. “Ma questa era un’annata in cui mordere il freno, più che premere sull’acceleratore. La 2018 sarà senz’altro più equilibrata e abbiamo voluto conferirle una maggiore pastosità”, commenta l’enologo. Insomma una nascita che è già una transizione, verso un Brunello che vuole essere al tempo stesso contemporaneo e italiano, romantico e tradizionalista nell’adesione al terroir. Si direbbe quasi neoantico.