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Il caso

Gianni Fabrizio: “Il binomio alberello-tipicità è relativo pensiamo ai grandi vini di Borgogna e Bordeaux”

12 Novembre 2014
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L’Alberello è davvero il migliore sistema di allevamento per ottenere vini fortemente identitari e di elevato pregio?

Secondo Jancis Robinson sì, tanto che a Taormina Gourmet lo scorso ottobre ha invitato i produttori del Sud Italia a riprenderlo anche come tutela del paesaggio (leggere qui). Dopo avere interpellato sul monito lanciato dalla guru master of wine inglese, Maria Cristina Geminiani (leggere qui), produttrice che coltiva con questo sistema di allevamento ben 20 ettari a Faenza, e Attilio Scienza (leggere qui) che ha sottolineato gli svantaggi dal punto di vista dei costi e dello stile di vino che vuole oggi il mercato, abbiamo voluto sentire il parere di uno dei rappresentanti della critica del vino, Gianni Fabrizio, curatore della guida Vini d'Italia del Gambero Rosso. 

Concorde con Scienza sulla valenza dell’alberello circoscritta ad alcuni areali, Fabrizio sottolinea alcuni punti a sfavore legati agli oneri di gestione che lo rendono di fatto più a portata del piccolo produttore. “In determinate zone la potatura ad alberello non è mai stata praticata, è difficile trovare manodopera capace – ci dice -. Tutto va fatto a mano. I costi, poi, possono contenerli i piccoli produttori che coltivano pochi ettari. E’ adatto dove non c’è economia di scala e per chi può permettersi di vendere vini più cari. Ma quando un’azienda possiede venti, trenta ettari non è affatto sostenibile, tempi più lunghi con aumento esponenziale dei costi. E’ un sistema caro”. 

Il binomio alberello-alta qualità anche secondo Fabrizio non vale sempre. “Come giornalista quando vedo un bel vigneto ad alberello fitto ammetto che mi fa pensare che lì si  fa qualità, che c’è un buon presupposto.  Però dobbiamo pensare che in certe zone non ha senso. Ha un valore dove c’è una tradizione, un passato. Capisco le scelte di Salvo Foti, per esempio, o di uno come Ciro Biondi o di Marco Casovanetti ad Ascoli Piceno. Non credo, poi, che ci sia una potatura che garantisca la tipicità rispetto ad altre. Su questo non c’è certezza. Non sono per i giudizi drastici. Sono importanti piuttosto le basse rese”. E cita i grandi territori del vino. “Pensate che in parecchie zone della Borgogna e dappertutto a Bordeaux non c’è alberello, eppure i vini sono tipici e ricercati nel mondo proprio perché hanno tipicità. Non credo, quindi, che sia l’unico modo per ottenere grandi vini tipici, riconoscibili e territoriali”.

Da critico dà infine il suo giudizio sulle caratteristiche dei vini ottenuti da uve coltivate ad alberello. “Certe volte sono troppo potenti, troppo ricchi di estratti, troppo spessi, e questo non è sempre un fattore positivo”. 

Manuela Laiacona