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Il caso

Onore a Giuseppe Benanti e Salvo Foti, gli apripista del successo dell’Etna

04 Settembre 2013
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Etna. Autunno 1999. La vendemmia si annuncia molto promettente anche per quei vigneti di uva Carricante attraverso i quali Giuseppe Benanti (a sinistra nella foto), imprenditore farmaceutico folgorato sulla via di Bacco e Salvo Foti (a destra nella foto), enologo nato sul campo tra memoria familiare e meticolosità, tirano fuori un bianco minerale, sapido e soprattutto complesso che comincia a piacere ai palati influenti.

Il vino, quel vino, si chiama Pietramarina e prende il nome da una delle zone più vocate del versante nord dell'Etna. Come nelle abitudini del tandem Benanti-Foti, i vini fanno lunghi affinamenti in bottiglia prima di essere messi in commercio. E pertanto quel bianco del '99 prima di essere assaggiato resta per altri quattro anni in cantina. Poi nel 2003 i degustatori di Gambero Rosso e Slow Food (erano ancora i coautori della Guida ai Vini d'Italia) si ritrovano il Pietramarina “99 davanti agli occhi, sotto il naso e soprattutto in bocca. Il verdetto è unanime. Tre bicchieri in volata, il massimo punteggio, per l'edizione 2004. Forse a qualcuno sembrerà esagerato ma è stato come la pallina di neve che diventa valanga. Si accendono i riflettori su quest'angolo di Sicilia. Ed è l'inizio di una nuova e straordinaria era per il vino dell'Etna. Sì, probabilmente altre guide enologiche (l'Espresso soprattutto) capirono che l'Etna poteva diventare una zona molto importante per il vino. Ma é certo che da quel momento attorno al vulcano più alto d'Europa succede di tutto. Un solo dato: nel Duemila, un anno dopo la grande vendemmia del Pietramarina, le cantine si contavano sulle dita delle mani.


Marco Nicolosi Asmundo, Barone di Villagrande

Oggi, anno di grazia 2013, le cantine sono oltre settanta. E la tendenza non accenna a calare. Sono arrivati tutti. I Franchetti, i de Grazia, i Cornelissen, gli Hucknall, i Curtaz e le Maestrelli, i Caciorgna e da poco anche i Moretti. E ancora i siciliani delle altre province come i Firriato, i Tasca, i Planeta, e adesso anche i Cusumano. Per non parlare degli stessi etnei che avevano l'oro tra le mani e forse non ne erano del tutto consapevoli. E potremmo citare i Russo (Giuseppe), i Graci, i Calcagno e tanti altri. Oggi l'Etna è uno dei territori più trendy d'Europa. Tutto questo trambusto, la nascita delle aziende, l'arrivo di nuovi produttori, ha portato nuove sinergie utilissime e stimoli importanti. Ma va detto, senza indugi, che gli artefici di questo momento d'oro dell'Etna sono stati Giuseppe Benanti e Salvo Foti. Pionieri, apripista, tenaci e appassionati. Paradosso vuole che oggi tra i due si siano interrotti i rapporti professionali e le loro strade siano ormai lontane. Accade. Come Battisti e Mogol che hanno interrotto il loro sodalizio professionale dopo aver scritto alcune tra le pagine più belle di tutta la storia della musica italiana. E nel nostro caso la separazione di oggi non attenua i meriti del recente passato. Non toglie nulla al loro pionierismo, ad un lavoro che talvolta, come ebbe a dire lo stesso Benanti, veniva sbeffeggiato. Si racconta che un importante produttore di vino non etneo davanti a un calice di Carricante, abbia sentenziato con un sorrisino ironico “Questo vino non ha futuro”. E mai parole furono meno azzeccate. E si potrebbe continuare con qualche altro aneddoto che riguarda ancora la Guida ai Vini d'Italia di Gambero Rosso e Slow Food allorquando, con l'edizione 2007, quella dei venti anni rivalutano il Pietramarina '97, assegnandoli i Tre Bicchieri e ammettendo così che il loro assaggio di sei-sette anni prima non aveva colto nel segno.

Oggi Daniele Cernilli ricorda bene quel vino. Longevo e complesso come pochi in Sicilia. Cernilli oggi passato ad altre avventure editoriali però vuole evidenziare due cose.


Daniele Cernilli

La prima, che vanno citati per dovere di cronaca due produttori che hanno tenuto la barra della qualità alta ancor prima di Benanti come Barone di Villagrande e Scammacca del Murgo. E anzi questi ultimi hanno ispirato più di un produttore. L'altra che già qualche anno prima del Tre Bicchieri al Pietramarina, il Gambero Rosso aveva dedicato un ampio servizio nel 2001 sui terroir più emergenti d'Italia. Uno era la Valle d'Isarco; l'altro per l'appunto l'Etna. Bella intuizione. Nel viaggio verso il successo è arrivata Contrade, l'evento ideato da Andrea Franchetti che ha dato una spinta enorme all'Etna non foss'altro perchè ha riunito tutti insieme in una bellissima giornata di degustazione. E gli va dato atto che lui è arrivato là dove nessun siciliano sarebbe mai arrivato, ovvero mella capacità di mettere tutti insieme. Oggi Benanti torna al Tre Bicchieri. Conoscendolo sarà molto soddisfatto e orgoglioso. Ora che la produzione si è concentrata tutta sull'Etna e che ha rivisto parecchie strategie aziendali.


Michele Scammacca del Murgo

Purtuttavia c'è un aspetto da non sottovalutare. E lo tira fuori Marco de Grazia che con Tenuta delle Terre Nere e con la sua Marc de Grazia Selections è sempre in giro per il mondo con una bottiglia sotto il braccio. Il rischio è che di Etna se ne parli più di quanto se ne possa bere. Ed è vero. E allora forse non resta che tentare di alzare sempre di più l'asticella della qualità. Occhio alle rese, più coesione tra produttori, vini ottenuti da specifici vigneti, i cru, o le contrade per l'appunto (splendida intuizione di de Grazia), forse anche l'idea di un unico formato di bottiglia e magari l'estensione della Doc verso l'alto. Aiuterebbe anche questo. Il resto è tutto da bere.

F. C.