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Il personaggio

Dubourdieu: “Il vino è gioco. E sia anche leggero”

21 Marzo 2012
dubourdieu dubourdieu

Uno dei massimi esperti al mondo parla del suo lavoro presso l’azienda Zonin

>Obiettivo leggerezza.

In Toscana, come in Sicilia. Al fianco di una delle famiglie più importanti del vino italiano, gli Zonin.

Denis Dubourdieu, uno degli enologi più importanti al mondo, non fa mistero di questa sua ambizione. Anzi racconta il suo lavoro di sperimentazione. Dubourdieu, già professore alla Facoltà di Enologia di Bordeaux, famoso per le sue ricerche su lieviti, aromi e colloidi, specialista nel processo di produzione di vino e nell’invecchiamento dei bianchi segue diverse cantine sia in Francia che all’estero e si occupa anche dei vigneti di famiglia. Lo abbiamo incontrato presso la tenuta di Rocca di Montemassi, proprietà della famiglia Zonin nel cuore della Maremma.

Professor Dubourdieu, da quanto tempo collabora con l’azienda Zonin?
“Collaboro con l’azienda dal 1997 ma più assiduamente dal 2004. Negli ultimi anni abbiamo avviato una ricerca e compiuto sperimentazioni che puntano ad una qualità sempre maggiore. Questa ricerca, avviata con Domenico Zonin, Stefano Ferrante, oggi direttore tecnico del gruppo e Federico Giovannetti, giovane responsabile della Rocca di Montemassi, è indirizzata soprattutto ai vini che negli anni precedenti hanno dimostrato una certa “insofferenza” nell’invecchiamento. La ricerca non riguarda solo i vini della tenuta toscana, ma anche i siciliani del Feudo Principi di Butera, sui quali si sta lavorando molto per ottenere risultati sempre migliori”.
 
Come sta procedendo la ricerca?

“Territorio per territorio, attraverso vari esperimenti e prove, stiamo valutando quali aromi e fattori influiscano o meno sulla conservazione e sulla longevità dei vini ed è per questo che ci confrontiamo di frequente degustando i vini con esperti del settore, tra cui giornalisti”.
 
Qual è oggi la tendenza dei vini, cosa ricerca il cliente, l’appassionato?
“Innanzitutto oggi la carta vincente di un vino è la facilità ad essere comunicato, ad essere compreso da tutti. Voglio sottolineare ancora una volta l’importanza di un lavoro in team, di confronto. Stiamo degustando le annate nuove en primeur e le stiamo mettendo a confronto con quelle vecchie. Dietro ogni bottiglia, c’è un lavoro non indifferente. Attraverso i nostri esperimenti, di anno in anno, verifichiamo i cambiamenti, lo stress idrico della vite, lo stato dei suoli, e naturalmente le condizioni meteorologiche che non ci possono cogliere impreparati. Deve essere di facile beva, un divertissement, un momento piacevole ludico. Il vino deve essere un modo per stare insieme, o un’occasione di confronto, per scaricare le tensioni. D’altronde non c’è prodotto al mondo che si relazioni all’uomo meglio del vino”.
 
Qual è il segreto della longevità di un vino?

“Per mantenersi giovane il vino deve liberarsi dalla “pesantezza”. Oggi a differenza di qualche anno fa – e la tendenza del mercato è indicativa a tal riguardo – il vino deve avere la sua struttura, ma senza essere pesante”.

Come?
“Il vino è un po’ come il corpo umano. Se lo conservi bene, se lo curi, se lo sai mantenere, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno, i risultati si vedranno anche col passare del tempo. E l’invecchiamento, sarà un valore aggiunto, un arricchimento, l’obiettivo raggiunto di un duro lavoro, fatto di tanti pezzi di un puzzle che messi insieme compongono e definiscono un’immagine perfetta”.
 
Un’ultima domanda professore: secondo lei quanto tempo ci vorrà affinché i vini italiani possano raggiungere un livello pari a quello dei vini francesi?
“Io direi…il prossimo anno”.(ride).

Maria Antonietta Pioppo