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Il personaggio

Emidio Pepe, il fare vino (buono e vero) oltre gli schemi

14 Agosto 2023
Emidio Pepe Emidio Pepe

Sulla questione “naturale” le opinioni variano, tutte opposte, ma tutte decisamente accalorate. C’è, però, una sottile striscia di Gaza dove anche i più dissidenti si concedono un armistizio. È quel punto di certezza per il quale tutti si mostrano decisamente e congiuntamente d’accordo, concesso solo a un manipolo di “big” che sfuggono a qualsivoglia definizione perché, appunto, decisamente “big”. Tra questi, lungo le colline abruzzesi del centro Italia – a metà strada tra l’Adriatico e l’Appennino centrale – c’è Emidio Pepe, a Torano Nuovo in provincia di Teramo. Nato nel 1932 con una certa morale sulle spalle – in anni in cui era anche solo difficile ipotizzare dinamiche di mercato fatte di associazioni immediate “no solfiti sì naturale” – Emidio segue semplicemente quello che suo nonno già faceva dal 1889 e suo padre Giuseppe dal 1944: vendere vino sfuso.

Raggiunta la soglia dei trent’anni, però, e complice quell’apertura mentale che iniziava a formarsi in lui al rientro da uno stage in un’azienda agricola in Olanda – nel ’64 fonda l’azienda “Emidio Pepe”. In eredità poco più di un ettaro sul quale innesta quella sua idea di viticoltura genuina “Il mio vino può anche non piacere, però vi do una spremuta d’uva” – amava ricordare durante le sue, ormai rare, uscite in pubblico. Ed è su quello stesso lembo di viticoltura che nel mentre fa crescere anche il suo germe di ambizione: diventare uno dei primi imbottigliatori di quei vini a base di Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo considerati sino ad allora solo dei vini da taglio. sul finale.

La follia di conservare il vino

Emidio e sua moglie Rosa, invece, intercettano un sogno. E così mentre i suoi amici scappavano dalla campagna lui iniziava a creare la sua cantina con poco più di cinquemila bottiglie all’anno, stipando di anno in anno un po’ di queste per il suo personale archivio. Quella follia di un tempo è diventata la fortuna di oggi visto che Emidio e la sua famiglia raccolgono la soddisfazione di essere una delle poche aziende abruzzesi ad avere uno storico di oltre quaranta annate e così dimostrando, a ritroso nel tempo, che ci aveva visto giusto nella longevità della sua terra e dei suoi vini. “Ma tu lo sapevi già di fare uno dei migliori rossi del mondo?” si legge nel libro “Manteniamoci Giovani” Vita e vino di Emidio Pepe – edito da Porthos edizioni e scritto da Sandro Sangiorgi – “Sì, io sono partito proprio con questa idea”. Ed effettivamente con i vini di Pepe lo scarto tra fare il vino naturale e fare il vino buono è notevole. Con lui si sono stabiliti i primi codici interpretativi del territorio abruzzese e degli spiriti del Trebbiano e del Montepulciano. Non ha mai cambiato le sue regole né per gli altri né per il mercato. “Se ti piace ti piace se non ti piace non fa niente” – dice Chiara sua nipote ricordando le parole del nonno quando qualcuno sentenziava sulla troppa artigianalità dei suoi vini in quegli anni in cui filtrazioni e chiarifiche imperversavano sul mercato e si imponevano nel gusto del consumatore.

Ma se non fosse realmente piaciuto, dopo 59 vendemmie di storia aziendale, alla fine, difficilmente saremo ancora qui a scriverne. Per un vino che si rifiuta di invecchiare e dove le promesse di buono paiono insite, la componente di fortuna è, però, al pari, oggettivamente presente, ed è stata dettata da un luogo a da un tempo a lui estremamente favorevoli. “Nonno ha potuto fare vini di grande libertà grazie alla sua terra e al clima del tempo”. Chiara si riferisce a quell’angolo a nord est dell’Abruzzo baciato dalla brezza adriatica e protetto dal freddo grazie alle spalle grosse offerte dal Gran Sasso. E a quel terreno quasi unico fatto di marne blu dove crescono le sue viti. In queste condizioni la responsabilità di Emidio era “solo” di non omologare il suo vino, cercando di riflettere le peculiarità di ogni vendemmia “il rispetto verso il consumatore stava per il nonno e oggi anche per noi soprattutto in questo”, osserva Chiara.

L’arrivo delle nipoti in cantina

Oggi Emidio ha 91 anni e gli ettari da uno sono diventati 15 tra viti di Montepulciano e Trebbiano d’Abruzzo, e una piccola parte di giovani vigne di Pecorino. E ad intestarsi la battaglia del “no name” non è più lui, ma due delle sue tre figlie Daniela e Sofia insieme con le nipoti Elisa e Chiara. È un’azienda rosa verrebbe da pensare, ma in realtà ciò che più predomina non è il colore, ma l’assenza di un reale passaggio di successione di generazioni tra il vecchio e il nuovo mondo. “Il nonno al mattino è sempre vigile all’arrivo degli uomini in vigna, e ognuno di noi in azienda ha un compito”. Elisa, infatti, è dedita all’accoglienza, mentre lei, Chiara – semplice, bella e fortemente determinata – è prestata cuore a anima alla parte agronomica. “Prima era lui che insieme con la nonna facevano tutto. In vigna per mesi e poi, con la macchina piena di vino, partivano e andavano a venderlo per il mondo. Il nonno bussava alle porte con i piedi perché aveva le mani impegnate con le casse di vino”.

L’anno prossimo ci si appresta a festeggiare il sessantesimo compleanno della cantina e nulla di nuovo sembra essere passato in quelle sale “anche se il clima non è più quello degli anni ‘60”. La chiave di volta è, allora, innovare custodendo: “Tutte le viti del nonno erano a pergola, le nuove vigne, invece, sono impiantate con un sistema di agroforestazione”. Si tratta di una sorta di coltivazione promiscua che associa alla varietà agricola principale (in questo caso la vite) altre specie arboree o botaniche che diventano alleate della vite stessa, concedendola frescura dalle arsure estive e protezione dalle gelate invernali.

“Il vino bianco lo facciamo con i piedi…”

Si continua, invece, ad accampanare senza cimare nulla mentre i trattamenti sono cambiati : “Abbiamo eliminato zolfo e rame in vigna e utilizziamo solo prodotti a base di latte vaccino non pastorizzato. Ritardiamo la potatura e comunque la facciamo solo in fase di luna discendente. Tutto è direzionato a rallentare il processo di germogliamento. Ma ci vuole tempo e pazienza”. In cantina, invece, le regole di Emidio continuano ad essere attuali. “Il vino bianco lo facciamo con i piedi”, dice scherzando Chiara. Perché quel Trebbiano, ancora oggi, viene pigiato col peso del corpo umano in grandi tini di legno; “Per quello rosso, invece, i grappoli li diraspiamo sempre a mano come faceva il nonno con un piccolo reticolato che viene disposto lungo l’intero diametro della botte” così che dallo strofinio del grappolo gli acini cadano direttamente nel tino mentre il raspo resta sulla rete: “è un modo per conservare integri tutti i lieviti presenti sulla buccia”.

“Fisicamente, poi, in cantina io non ho mai visto il legno per l’affinamento” e infatti, oggi come allora, tutti i vini di Pepe maturano unicamente in grandi vasche di cemento. Così salvo accorgimenti e ritocchi necessari, non paiono esserci stati crisi identitarie nel passaggio tra il vecchio e il nuovo mondo. E in una degustazione a confronto tra una 2007 firmata solo da Emidio e le sue figlie e una 2020 che vede l’ingresso anche di Chiara in cantina, la linea – e neanche così tanto sottile – sembra essere lunga e continua: volta a reclamare un’identità che arriva unicamente dalla terra. “Quando stappi una bottiglia di Emidio Pepe devi avere pazienza. Come un essere vivente”.

La degustazione

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2020
La potenza gustativa è il tratto distintivo di un’annata pressoché perfetta. E’ sale al palato che gioca con una fluidità quasi materica pur lasciando spazio in retronaso all’agrume sul finale.

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2007
Annata inizialmente fresca rivelatasi poi torrida in estate. L’evoluzione sous voile – tra melassa e liquirizia – rimanda ad echi provenienti dallo Jura, mentre la complessità gustativa abbina la profondità ad una incantevole scorrevolezza, così tanto buono da godere della gioia di stare al mondo. Standing Ovation

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2020
La giovinezza non scalfisce il potenziale, lasciando trapelare le caratteristiche sulle quali poggiano i grandi vini da invecchiamento, che si leggono tra l’introversione di un naso vegetale e mentolato, mentre la discreta e non invasiva tannicità lascia spazio a pezzi di sale sul finale.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2007
Polvere da sparo e china trovano un equilibrio gustativo fatto di una struttura serrata giocata, al pari, in una distensione dettata dalla freschezza. Ma tutto l’impianto sa restare nel palato e per molto e molto tempo ancora, regalando momenti di non trascurabile piacevolezza