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Il personaggio

Michele Satta: “La Toscana del vino soffre la frammentazione. La nostra forza poteva essere una Doc regionale”

13 Novembre 2012
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Michele Satta

Parla il vignaiolo di Bolgheri, terra del Sassicaia.

Michele Satta, incontrato al Wine Festiva di Merano, fa un’analisi della Toscana del vino di oggi. Una Toscana che sembra avere perso mordente, ad eccezion fatta della forza di quelle icone che tengono alto il nome dell’Italia nel mondo nelle cantine più prestigiose. Il territorio vitivinicolo d’eccellenza sconta la pena della frammentazione. Il produttore che oggi cura 35 ettari a Castagneto Carducci, nell’agro livornese, espone le sue considerazioni e lancia anche un appello chiamando i colleghi ad un percorso comune.


Michele Satta al Merano Wine Festival

“La Toscana del vino sta abbastanza male – esordisce Satta -.  Come tutte le situazioni in cui c’è un prodotto grande, un prodotto di storia, di cultura, in questo momento si fa molta fatica a farlo conoscere. C’è un’incapacità, riscontrabile in altri segmenti della vita del nostro Paese, di valorizzare la tradizione e dall’altro lato assistiamo all’inseguimento anonimo del moderno, del nuovo. Risultato finale: la regione più prestigiosa del mondo forse per storia, cultura e arte, ha oggi il prezzo medio più basso al mondo”. Una strada, quella della tradizione, che sembra essere stata se non del tutto abbandonata almeno per il momento accantonata in vista delle nuove tendenze dettate dal mercato.

Come spiega il produttore “c’è in atto una confusione grave” ed una identità enologica che si prederebbe in mille rivoli. “Non sappiamo dare valore alle cose vere – stigmatizza Satta -. Inseguiamo i luoghi comuni.  La Toscana da un certo punto divista si è lanciata su vini nuovi, moderni, senza saperne definire la storia e senza nemmeno definire bene la propria tradizione. Dividendosi in mille comuni e denominazioni”. E sarebbe proprio questo il tallone di Achille che oggi rende il processo di promozione e comunicazione del territorio, soprattutto fuori confine, problematico.

“La Toscana poteva avere una Doc regionale, una Igt regionale, far riprendere il nome Toscana. Questo non è mai successo in realtà ci siamo frantumati in mille distinguo, sottolineature, percorsi individuali”. Poi ci sono le zone d’eccellenza come Bolgheri che da sole, a sé stanti, continuano a fare il loro percorso nel mercato seguendo le rotte del “mito” e a dare vita ai migliori esemplari dell’enologia nazionale, anche se pure quest’oasi, a detta del produttore, necessiterebbe di una più ordinata definizione identitaria .  “Bolgheri all’interno di questa situazione – prosegue Satta – si è ricavata una posizione molto fortunata intanto perché ci sono i padri del mondo enologico, il Sassicaia, e aziende di prestigio che hanno aperto il mercato. Diciamo che la posizione di Bolgheri è del tutto speciale. Ha un terroir meraviglioso,  che da grande maturità di vini, espressività ed eleganza. Stiamo facendo vini buoni al di là del fatto che c’è anche qui una sotria stilistica da definire. Bolgheri è una piccola perla, un patrimonio per tutti. Certo ci piacerebbe avere intorno una strategia, una  definizione, un collocamento  ordinato di quello che c’è in Toscana e poter camminare, con una qualche prospettiva, tutti insieme”.

Satta a Merano ha fatto degustare l’annata 99 del Cavaliere prodotto in purezza dal suo vitigno prediletto, il Sangiovese. Uno scorcio sul passato del suo percorso. “Il Sangiovese fa vedere il percorso della mia vita – racconta -. Il novantanove ha ancora la vinificazione delle vecchie vigne che avevo  in affitto.  Il duemilasei, oggi in vendita, è il prodotto della vigna piantata da me. Cambia sostanzialmente tutta la genetica del vigneto e tutta la modalità agronomica. Oggi abbiamo cinquemila piante per ettaro, all’epoca ce ne erano solo tremila, la tecnica di vinificazione e la filosofia è rimasta identica”. 

C.d.G.