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La guida

Slow Wine, i premi speciali: riconoscimento a Emidio Pepe. Gloria Mayr giovane vignaiola

10 Ottobre 2022
I curatori della guida Slow Wine 2023: Paolo Camozzi, Gabriele Rosso, Giancarlo Gariglio, Federica Randazzo e Jonathan Gebser - ph Canio Romaniello I curatori della guida Slow Wine 2023: Paolo Camozzi, Gabriele Rosso, Giancarlo Gariglio, Federica Randazzo e Jonathan Gebser - ph Canio Romaniello

di Michele Pizzillo

In 1.120 pagine è sintetizzata la preziosa produzione di 1.957 aziende che sono in sintonia con la filosofia di Slow Food e quindi, propongono vino buono, pulito e giusto, per un totale di 24.500 etichette di cui il 56% certificati bio che per i vini premiati arriva ad una percentuale del 63%.

Poi ci sono le 227 chiocciole (simbolo assegnato alle cantine per il modo in cui interpretano i valori in sintonia con la filosofia di Slow Food) (leggi questo articolo>); 194 bottiglie (simbolo assegnato alle cantine le cui bottiglie esprimono un’eccellente qualità organolettica); 74 monete (etichette con un buon rapporto qualità-prezzo); 787 vini top (quelli che sotto il profilo organolettico hanno raggiunto l’eccellenza durante la degustazione), con due sottocategorie e, cioè, 156 vino quotidiano (top wine che non supera il costo di 12 € in enoteca) e 386 vino slow(top wine buoni, puliti e giusti).

(Giancarlo Gariglio – ph Canio Romaniello)

Questa è la 13esima edizione di Slow Wine 2023 (28 €) presentata a Milano e in vendita dal 12 ottobre. Oltre ad una breve descrizione della Guida, il curatore Giancarlo Gariglio (affiancato dai quattro giovani vice curatori: Paolo Camozzi, Jonathan Gebser, Federica Randazzo e Gabriele Rosso) (qui l’intervista che ci ha concesso>) ha pure evidenziato la novità della 13esima edizione rappresentata dai 379 video accessibili con QR Code che danno ai lettori la possibilità di provare l’esperienza di visita dei collaboratori. “Si tratta di filmati che testimoniano il tema di quest’anno: il cambiamento climatico e la siccità, a cui i viticoltori hanno risposto mettendo in campo la propria esperienza in ordine sparso – ha detto Gariglio -. Ma non è possibile affidare questa sfida così importante ai produttori, per questo vogliamo fare un appello alle istituzioni affinché sostengano la ricerca scientifica per trovare soluzioni e tecnologie su questi fronti”. Mentre Federico Varazi, vice presidente di Slow Food Italia, dice che “nella guida di quest’anno abbiamo ritrovato il tema della rigenerazione, affrontato nelle scorse settimane a Torino durante l’ultima edizione di Terra Madre. Lo ritroviamo grazie ai tanti vignaioli che lavorano la propria terra con una visione multifunzionale e moderna dell’azienda”. Per stare in tema guida, segnaliamo la consegna di tre premi speciali e, cioè:


(Gloria Mayr)

al giovane vignaiolo, l’altoatesina Gloria Mayr, della cantina Nusserhof – Heinrich Mayr di Bolzano, perché “rappresenta la nuova generazione di una cantina baluardo della resistenza all’urbanizzazione e all’omologazione dei vini e dei gusti. Dopo diverse esperienze in Toscana, Francia e Germania, nel 2018 è tornata a casa con la consapevolezza che il percorso intrapreso anni prima dalla sua famiglia era molto più illuminato di quanto potesse immaginare. Forte di questa convinzione, oggi collabora in grande armonia con il padre e si sta impegnando per la massima tutela del suolo, affinché rimanga fertile e vivo, e delle varietà autoctone altoatesine, che vede come alleate di una viticoltura sostenibile”.


(Heydi Bonamini)

per la viticoltura sostenibile al ligure Heydi Bonanini della Cantina Possa, di Rio Maggiore “che iniziò giovanissimo a fare il vignaiolo in una zona di struggente bellezza ma anche molto ardua da coltivare dove tutte le vigne poggiano su muretti a secco posti a picco sul mare. Qui non è possibile affidarsi alla meccanizzazione, e il nostro vignaiolo decise di non affidarsi alle scorciatoie messe a disposizione dalla chimica come il diserbante o i fitofarmaci. In più ha recuperato molte parcelle che erano state invase dagli arbusti, rifacendo personalmente centinaia di metri di muretti che versavano in stato totale di abbandono”.


(Il premio alla carriera ad Emidio Pepe ritirato dalla figlia Sofia)

alla carriera all’abruzzese Emidio Pepe della cantina omonima, di Torano Nuovo dove “porta avanti, con ostinata convinzione, un modello agricolo radicato nella più pura tradizione contadina, fondato sul rispetto della terra, la salvaguardia della biodiversità e una artigianalità nella lavorazione senza compromessi. La delicata cura per il suo mestiere l’ha reso immune alle mode, mentre la grande lungimiranza lo fa da sempre diffidare delle scorciatoie, soprattutto quelle chimiche. Convinto dell’immenso potenziale dei vitigni locali e della necessaria attenzione alla vita e alla fertilità del suolo ha fatto conoscere al mondo l’eccellenza del Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo con i suoi vini di carattere unico e forte senso del luogo, capaci di sfidare gli anni come pochi altri”.

E, infine, un dibattito, molto attuale, che riguarda da un lato il rigetto, da parte delle commissioni di assaggio che assegnano le Doc e le Docg, di buonissimi vini che hanno caratteristiche stilistiche non perfettamente aderenti al disciplinare. Dall’altro la scelta, sempre più diffusa da parte di alcuni produttori di vini di qualità, di rinunciare a Doc e Docg, per promuovere il proprio vino come Igt, se non come vino da tavola. “Il rischio è l’omologazione stilistica. Senza dubbio il lavoro della commissione è quello di garantire la sicurezza e la qualità dei vini, ma l’impostazione è figlia degli anni ’80 quando oggettivamente i vini non erano buoni come oggi – ricorda Angelo Peretti, direttore del Consorzio Chiaretto e Bardolino, la cui soluzione proposta è triplice -: formare maggiormente le commissioni di assaggio, far entrare più vignaioli nelle commissioni, allargare al massimo i parametri per accogliere più differenze stilistiche e valorizzare le identità”. Mentre il giornalista Jacopo Cossater ha sottolineato che “come assaggiatori cerchiamo la differenza sia nel territorio che nello stile. La diversità è una ricchezza per la denominazione che i produttori e i consorzi stessi devono promuovere”. E Matilde Poggi, attualmente presidente della Confederazione europea vignaioli indipendenti ha evidenziato che “l’80% dei vini esportati al di fuori dell’Unione europea è a denominazione di origine. Il valore delle Doc e delle Docg è quindi molto alto ed è importante mantenerle ma svecchiandole, lasciando una maggiore libertà ai produttori e assegnando loro, come nel modello francese, una maggiore responsabilità. È fondamentale anche avviare un più celere adattamento delle denominazioni anche perché il cambiamento climatico porterà a modificare la gestione delle aziende vitivinicole. Siamo molto preoccupati del passaggio delle competenze sulle denominazioni dalla Commissione agricoltura all’ufficio europeo che si occupa delle proprietà intellettuali. Questo vuol dire che le Doc saranno considerate come marchi privati ma così non è e non può essere, perché le Doc e le Docg sono beni collettivi che difendono interessi collettivi e che devono avere un forte collegamento con l’agricoltura e le pratiche agronomiche del territorio e invece con questo passaggio le denominazioni saranno gestite da chi di agricoltura non sa assolutamente niente”.