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Il caso

Starbucks contro un piccolo birraio, il caso che ha fatto clamore su Facebook

03 Gennaio 2014
starbucks_assegno starbucks_assegno

Un colosso dell’american coffee si scaglia contro un brew pub e il popolo della rete si mobilita in difesa della birra.

Potere dei social media, in questo caso di Facebook. In pochi attimi la vicenda fa migliaia di contatti, colleziona altrettanti like e attira i canali della tv diventando l’“ingiustizia” più discussa di fine anno.

La storia vede protagonista Jeff Britton, il proprietario dell’Exit 6 Pub, un piccolo birrificio, nel Missouri, a Cottleville. Questi riceve una lettera dallo studio legale che segue la catena di caffetterie Starbucks, in cui si intima di rinunciare al nome Frappiccino dato, in modo scherzoso, ad una delle sue birre. Secondo Starbucks, indurrebbe in confusione il consumatore che potrebbe scambiarla, per assonanza, con il famoso bibitone latte e caffé Frappuccino, marchio super blindato della catena. 

Non è la prima volta che multinazionali, grandi industrie inviano avvisi a piccoli artigiani o produttori per tutelare il proprio marchio registrato, casi del genere sono all’ordine del giorno . Ma Britton per difendersi decide di pubblicare su Facebook, sulla pagina ufficiale del locale, la lettera recapitata ed anche la risposta agli avvocati. Il tono ironico, con cui Britton ribadisce le sue ragioni tra le righe, per sottolineare soprattutto “l’assurdità” della richiesta alla luce del fatto che il piccolo pub, di provincia, e la sua birra venduta ai “tre avventori che lo frequentano”, non costituiscano chissà quale pericolosa minaccia o temibile concorrenza, oltre che la totale ed evidente lontanza tra i due prodotti che difficilmente si potrebbero scambiare, scatena l’empatia del popolo della rete. E in pochissimo tempo diventa un “caso” viral.

Ad avere suscitato le simpatie degli utenti di Facebook è stata anche la trovata di Britton. In allegato alla lettera, il birraio ha inviato allo studio legale un assegno di 6 dollari, anche questo messo in bella mostra sul social network, in modo da rimborsare, così, la catena dei “profitti” ottenuti dalla vendita della birra incriminata.