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Il personaggio

Gianfranco Daino: “Il Calatino? Un territorio dal grandissimo potenziale enologico”

16 Marzo 2023
Gianfranco Daino Gianfranco Daino

di Alessia Zuppelli

Sono vini del bosco quelli prodotti da Gianfranco Daino nei suoi quasi tre ettari di vigna a Sud di Caltagirone in contrada Vaccarizzo.

Il bosco di riferimento è quello di Santo Pietro, dal quale prende nome l’omonima frazione, un museo naturale a cielo aperto, testimone di quella che fu un’antica foresta custode di sughere e lecci, fonti d’acqua e una florida varietà di erbe aromatiche. Proprio dalle antichissime Quercus Suber, quercie da sughero, trae ispirazione il nome della prima etichetta “Suber”, un vino che ha accompagnato l’esclusiva produzione di questa referenza per undici anni, a partire dal 2007, conquistando anche lo chef Carlo Cracco. Gianfranco Daino, insignito come miglior vignaiolo sostenibile nel 2015 da Slow Wine, ha combinato la sua passione per il vino e la tradizione vitivinicola calatina con la maestria de I Vigneri di Salvo Foti, come ha modo di raccontare: “Conoscevo già Salvo Foti tramite la Stazione consorziale sperimentale di granicoltura per la Sicilia, ci siamo rivisti durante una cena per caso. Gli dissi che volevo produrre il mio vino. Dopo qualche giorno mi consigliò le prime quote vino e acquistai il terreno. Su questa superficie oggi sono presenti 18mila viti ad alberello non irriguo con un sesto di impianto di “un metro e mezzo palmo” secondo la tradizione calatina. Il vigneto è in regime di agricoltura biologica e la terra, sabbie rosse, è arricchita naturalmente da concime organico, come quello delle oche. Oltre il Nero d’Avola e il Frappato, abbiamo aggiunto un 30% di Alicante per ottenere un vino “solo mio” e con delle specificità proprie. Tutta la lavorazione in vigna è manuale, il mio è un vino del bosco, i tappi in sughero provengono proprio dalla sughereta che abbiamo qui di fronte e che si estende fino a Niscemi. “Suber” vuol dire proprio questo, ed è stato l’unico vino della mia produzione per undici anni”.

Nel 2017 vede luce “Cistus” premiato fra i migliori rosati d’Italia, un Nero d’Avola realizzato con il sistema del “pista e mutta”, vinificato come un bianco, quindi senza nessun contatto con le bucce, dal quale si ottiene così un colore rosa dato solo dalla pressione delle stesse uve. Asciutto e mediterraneo Cistus prende il nome dalla pianta di cisto presente nel bosco i cui bei fiori sbocciano fra la primavera e l’estate utilizzati dai contadini del luogo per addobbare carri e trattori in occasione del “corteo della rusedda” per celebrare ogni fine maggio la Madonna di Conadomini a Caltagirone. Al più complesso Suber, nel 2018 si aggiunge alla linea “Ilex” “il fratello gemello del rosato” così come lo definisce il produttore. Un Nero d’Avola in purezza, snello e profondo allo stesso tempo, fermentato esclusivamente in acciaio che rende omaggio alla cornice naturalistica che fa da sfondo all’attività vitivinicola (Ilex è l’albero comunemente conosciuto come leccio).

Nonostante le potenziali risorse, una cornice naturalistica ed enologica, quella del territorio calatino, che appare silenziata dalle voci più altisonanti provenienti dal vicino Etna e dall’ampio e variegato areale del Cerasuolo di Vittoria, come si è già avuto modo di approfondire su questo giornale. Nell’ombra del bosco, una voce ancora troppo fioca sia a livello locale che in ambito internazionale, dalla ristorazione alle fiere, spiega Daino: “Questo territorio è sconosciuto. La Sicilia in generale all’estero è percepita benissimo, dagli Stati Uniti, al Canada al Giappone, paesi dove vendo maggiormente i miei vini. All’inizio, avendo una sola etichetta, non ero commercialmente appetibile anche se a detta di altri colleghi viticoltori il mio vino risultava essere il più completo perché usciva in commercio dopo quattro anni dalla vendemmia. La competizione con i vini delle zone vicine c’è. Nelle fiere all’estero chiedono Etna o Cerasuolo. Di solito si valuta più il vino che il territorio”.

Come può crescere dunque il calatino in ottica enoica, si potrebbe magari creare una denominazione? Lanciamo questa provocazione al produttore, il quale risponde: “Più che la ceramica, non si comprende quanto sia importante oggi l’enogastronomia come traino dell’economia. Si potrebbe creare una denominazione? Perché no? Qui il Nero d’Avola chiamato Calabrese, e il Frappato sono stati sempre presenti. Quest’ultimo, conosciuto anche come Nero Capitano, si chiamava qui “surra” perché il colore di questo vitigno veniva paragonato a quello della ventresca del tonno. Surra è il nome della ventresca in dialetto. C’è troppo lavoro da fare, ma da qualche parte dovremmo iniziare”. Potrebbe essere Gianfranco Daino il promotore di questo lavoro? “Ci penso” conclude congedandosi.