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L'intervista

I vini italiani in Polonia: “Vi spiego questo mercato e quali sono i preferiti”

10 Gennaio 2022

di Ambra Cusimano

In Polonia vengono consumati annualmente circa 300 milioni di bottiglie di vino ogni anno di cui il 20% è vino proveniente dall’Italia facendola diventare il secondo esportatore nel paese.

Al primo posto si attesta la Spagna. Nel 2004 la Polonia è entrata ufficialmente a far parte dell’Unione europea e ciò ha permesso lo scambio con l’Italia libero e regolato dalle normative comunitarie, incluse quelle sull’Iva. Trattandosi di un paese in costante crescita economica ormai da decine di anni, abbiamo deciso di approfondire il tema legato al consumo di vino italiano da parte della popolazione polacca cercando di capire quali vini italiani hanno maggiore appeal. A tale scopo ci siamo confrontati con Wojciech Bońkowski, wine writer proveniente dalla Polonia ed autore di quattro libri sul tema vino. E’ specializzato in vini italiani, greci, croati, dell’Europa Centrale e sul Porto; inoltre ha partecipato, in qualità di giudice, al concorso Sud Top Wine organizzato da Cronache di Gusto che si tiene annualmente con l’obiettivo di premiare i migliori vini prodotti nel sud Italia.

Quali sono i vini italiani più apprezzati dai polacchi? Perché?
“Tra i vini bianchi spicca senza dubbio lo spumante e più nello specifico il Prosecco. Il consumo di Prosecco fa quasi paura. L’anno scorso il suo consumo ha visto una crescita di oltre il 40% ed è stato il terzo anno consecutivo di questo andamento in continua ascesa. Il Prosecco Doc si è mangiato quasi il 70% della categoria spumante in Polonia. E’ un successo davvero importante dovuto a fattori che già conosciamo e che sono gli stessi dappertutto: è un vino di facile approccio e che conquista nuovi gruppi di consumatori, persino coloro che in precedenza non consumavano vino. Inoltre è un vino leggero con solo l’11% di alcol, è rinfrescante ed è riconoscibile nel suo stile perché ogni bottiglia di Prosecco è uguale all’altra. Anche il Prosecco Superiore è ben posizionato in Polonia approfittando del successo del fratello maggiore. Anche per quanto riguarda i prezzi, non vi è un grosso divario tra Doc e Docg. Questo consente un facile trade up per consumatori informati che vogliono interessarsi a vini di qualità superiore. Altre categorie di spumanti italiani invece sono meno affermate. Il Franciacorta, ad esempio, è troppo caro e costando quasi quanto lo Champagne non viene mai scelto. Inoltre è poco conosciuto come stile o qualità e lo stesso vale per il Trento Doc. I bianchi fermi si affermano abbastanza bene nonostante non ci sia una star come avviene con gli spumanti ed i rossi. Tra i rossi si aggiudica il primo posto in classifica il Primitivo, molto apprezzato anche nei paesi scandinavi proprio per la sua morbidezza ed il residuo zuccherino molto alto. La sua popolarità è nota ed in Polonia anche i premium con prezzi più elevati si vendono molto bene. Questo per sottolineare il fatto che si tratta di un vitigno molto apprezzato. Ecco cosa piace e cosa accomuna questi due vini italiani in Polonia: la loro prevedibilità che non è da intendere in senso negativo, ma come un elemento di coerenza. Anche l’Amarone ha riscontrato un discreto successo tra i consumatori medi. Un fattore da tenere in considerazione in riferimento al divario tra la popolarità dei vini rossi italiani e la quasi assenza dei bianchi, potrebbe essere legato al fatto che, come accade spesso anche in altri paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, i vini rossi italiani sono più facilmente identificati con zone, con denominazioni, con vitigni. I bianchi, di contro, sono relativamente da poco arrivati sui mercati export e quindi ancora poco conosciuti”.

E per quanto concerne i vini dolci?
““I vini dolci sono consumati solo dai conoscitori che riescono ad apprezzarne le varie sfumature e sono pronti a spendere anche di più per berli”.

Dove consumano il vino i polacchi?
“Ovunque, ma l’85% lo consuma in casa quasi subito dopo averlo acquistato. Al ristorante se non è presente il sommelier ci sono carte dei vini abbastanza dettagliate. I giovani poi lo consumano anche nei locali durante l’aperitivo. Il vino italiano nello specifico è presente nella maggior parte dei ristoranti in Polonia e soprattutto nei ristoranti di cucina italiana. Quello ha senz’altro fatto il successo del vino italiano su molti mercati. E’ un patrimonio molto importante. Alcuni produttori non vogliono essere rappresentati nel “ghetto italiano” non capendo che globalmente parlando proprio i ristoranti sono gli ambasciatori della cultura italiana del vino. Non bisognerebbe sminuire la loro importanza”.

Come funziona attualmente il posizionamento dei vini nel mercato polacco?
“Bisogna tenere presente che quando si parla di mercati, e potenzialmente ce ne sono alcuni ben conosciuti, c’è sempre una complessità interna che non va mai sottovalutata. In Polonia quella complessità si traduce in una netta divisione tra la Gdo che rappresenta circa l’80-85% per volume, dove il prezzo medio si aggira intorno ai 4-4,20 euro lordi e dove ci sono due grandi player, Lidl e Biedronka, che controllano oltre il 50% della grande distribuzione per il vino. Quindi quello che viene comprato dalle masse in Polonia proviene dall’offerta di queste due insegne. A sua volta l’offerta di questi due discount ha una sua specificità perché Biedronka, ad esempio, non vende vini che superino il prezzo di 7 euro. Lidl d’altro canto è più ambizioso nella sua offerta, ma la sua la quantità di vini che propone è molto esigua. La posizione dell’Italia in questo contesto è abbastanza ridotta e sugli scaffali di questi due colossi si troveranno non più di dieci etichette tra cui scegliere, e solo dei vini più conosciuti. Questo è un fattore che rallenta notevolmente la crescita di altre categorie. L’altro mercato invece è quello che riguarda il mid-range ed il fine wine, quindi il vino premium che supera la fascia di prezzo che varia tra i 7 ed i 10 euro. Questi vini vengono distribuiti dalla fascia specializzata, dall’enoteca specializzata e dal settore Horeca. In questo caso vi è molta scelta per i consumatori, anche di vini considerabili di nicchia”.

Qual è il maggior competitor dell’Italia nel vostro mercato?
“Globalmente parlando è la Spagna se parliamo di volumi. Ovviamente la Spagna ha i suoi limiti, ma il suo punto di forza è senza dubbio il prezzo, soprattutto quello basso. Il vino italiano sta aumentando di prezzo negli ultimi anni per via delle scarse vendemmie, in particolare i vini Doc e di qualità più elevata. Quindi, nel breve termine, per i consumatori di vini di fascia media sarà sempre più difficile acquistare alcune categorie di vino italiano. Un altro aspetto che differenzia i due paesi è il rapporto qualità-prezzo o la percezione di questo rapporto da parte dei consumatori polacchi ma non solo. E’ ugualmente importante la reputazione del paese e la penetrazione nella grande distribuzione per alcuni tipi di prodotti. I vini spagnoli sia rossi che bianchi sono ben visti dai buyers, che li espongono sugli scaffali, e di conseguenza gli acquirenti trovano più scelta tra i vini spagnoli che non tra quelli italiani”.

Cosa possono fare i produttori italiani per sfondare nel mercato polacco?
“Vanno identificati tre punti cardine per rispondere a questa domanda. Il primo è “prepararsi”. Un produttore è sicuro di aver identificato i prodotti che più sono richiesti sul mercato polacco? Oggi bisogna capire quali sono le categorie che funzionano meglio su un mercato piuttosto che su un altro. In Polonia ad esempio la domanda negli ultimi anni è limitata quasi esclusivamente a bianchi, rosati e spumanti. Il rosso praticamente non cresce. Abbiamo una crescita del 10-15% all’anno che al 100% è effettuata dalle prime tre categorie. Si può vendere vino rosso in Polonia, ma non si può pensare di ottenere grandi risultati, soprattutto se si parla di un vino molto strutturato. Il perché? Semplicemente non va di moda. Il secondo punto, che non mi stancherò mai di ripetere, è il prezzo. Quali sono i prezzi sul mercato di esportazione su cui si vuole approdare e la moneta presente. Questo non è il lavoro dell’importatore, ma dello stesso produttore che deve studiare nei dettagli il mercato. Solo quando avrà capito il mercato potrà cominciare a trattare con gli agenti. Il terzo punto è il lavoro di squadra. Troppo spesso piccoli produttori italiani vogliono fare tutto da soli. In Polonia i paesi che hanno successo sul fronte vino e che crescono sempre di più sono quelli dove c’è coesione. Tra questi troviamo la Germania, l’Austria, la Georgia, dove vi sono organizzazioni ed enti molto ben strutturati. Lo sforzo di questi paesi è costante negli anni e corredato di promozione, educazione e di un messaggio chiaro. L’ente fa la sua parte. Questo porta al successo, è un mare che porta con sé anche i piccoli produttori. L’Italia da questo punto di vista negli ultimi anni ha fatto davvero poco. Gli unici ad avere ottenuto qualche risultato sono pochi consorzi. Ma fino a quando le regioni non si uniranno e troveranno un loro rappresentante, sarà molto difficile giocare contro gli altri altri paesi ben più organizzati. C’è ancora troppo campanilismo in Italia. Manca una visione globale con progetti a lungo termine. L’Italia attualmente è ben posizionata sul nostro mercato per via del suo fascino e dei legami culturali che sono sempre intercorsi tra i due paesi. Questo però non basterà in futuro poiché scarseggia lo sforzo organizzato in un mercato che è sempre più saturo”.

Qual è l’impatto delle etichette sui consumatori polacchi?
“Al di là del fatto che un’etichetta originale attirerà maggiormente l’attenzione dei consumatori, soprattutto per coloro che frequentano la grande distribuzione, ciò che realmente manca spesso sulle etichette dei vini è la chiarezza del messaggio legato al vino in sé. Un esempio lampante è quello dei vini francesi di fascia medio bassa che stanno conoscendo difficoltà un po’ dappertutto per questa ragione. Bisogna studiare il vino per sapere cosa trasmette effettivamente quell’etichetta che incontri al supermercato. Invece quelle zone francesi che hanno saputo essere molto chiare come Bordeaux o Côte du Rhone, per esempio, stanno funzionando molto bene. Questa potrebbe essere una bella lezione per l’Italia, perché bisogna ammettere che a volte il vino italiano è troppo complesso da capire, anche se oggi la situazione è migliorata per alcune regioni. Se ne parla da tanto ma oggi è ancora più importante se si guarda alle esportazioni. La semplicità è fondamentale per il consumatore.
Anche l’aspetto fonetico ha un suo impatto. Prosecco e Primitivo sono nomi molto facili da pronunciare e molti vini hanno più successo all’estero per questa ragione”.