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L'intervista

“In Abruzzo ora si fa qualità. Da Pecorino, Montepulciano e Passerina grandi vini”

03 Luglio 2020
attilio_scienza_ridotta attilio_scienza_ridotta

di Giorgio Vaiana

Un futuro roseo per i vini dell’Abruzzo. La prospettiva, felice, è quella fatta da Attilio Scienza, mica uno qualunque.

Che sta seguendo ormai da tempo, il progetto Codice Citra e della neonata cantina Codice Vino, espressione di altissima qualità della cantina cooperativa abruzzese. I vini sono ricavati da Passerina, Pecorino e Montepulciano, i vitigni-simbolo di questa regione. Codice Vino è stato ideato ed è diretto da Valentino di Campli, presidente di Codice Citra, con Vincenzo Ercolino e Filippo D’Alleva. Il super enologo Riccardo Cotarella ha definito i tre vitigni “i moschettieri d’Abruzzo”, spiegando che l’obiettivo del progetto è quello “di realizzare vini di qualità che rispettino l’ambiente e il consumatore”. Una mission non facile e ambiziosa. Ma, stando a quanto racconta Scienza, un obiettivo non impossibile da raggiungere. Siamo in provincia di Chieti. Codice Vino possiede 100 ettari circa. Tutto è seguito minuziosamente: dalla vigna e fino alla cantina che è un concentrato di tecnologia. Ma facciamo ordine.

“Codice Citra – spiega Scienza – è un’iniziativa di grande spessore non solo commerciale, ma anche culturale, perché vuole dimostrare, e lo fa, che esiste una grande potenzialità non ancora espressa nelle regioni del centro e Sud Italia che è stata sempre sottovalutata”. Si passa all’Abruzzo, “una regione che ha sempre prodotto grandi masse di vino, in gran parte proprio dalle cooperative – spiega Scienza – destinato ad aiutare, e talvolta a salvare, molti vini dell’Italia del Nord. Ora, però, questo contributo che ha avuto l’Abruzzo nei confronti dell’Italia enologica deve cambiare”. E per farlo la ricetta, secondo Scienza è tanto semplice quanto fattibile: “Deve trovare la sua identità e cambiare in modo sostanziale il modo di fare vino una volta per tutte. Tutto però, deve partire dalla conoscenza delle risorse ambientali”. E qui interviene la tecnologia: “Qui per esempio si sono messe viti a dimora un po’ in tutte le parti della regione – spiega il professore – più che altro per soddisfare il bisogno della quantità di vino, piuttosto che della sua qualità, senza mai considerare quale fosse il contributo del territorio stesso sulla qualità del vino, che è il prodotto finale. Ecco bisogna trovare una nuova sintesi fra territorio e vitigni”.

Il Montepulciano è forse il vitigno più conosciuto di questa regione, “uno dei più antichi – dice Scienza – che viene dalla costa orientale italiana, quella dell’Adriatico, che ha una grande rusticità, sopporta bene la siccità, anche se collocato in posti diversi, riesce sempre a maturare in modo ottimale. E dà vini di grande struttura e potenza”. Ma c’è un ma, aggiunge Scienza: “Il mondo del consumatore è cambiato – dice – Ormai nel mercato si cercano vini meno alcolici, meno strutturati e tannici, meno potenti in un certo senso. Ecco l’obiettivo del progetto: ridare al Montepulciano, ma anche al Pecorino e Passerina, una collocazione più corretta sul mercato”. E come dicevamo, interviene la tecnologia. Perché l’Abruzzo, secondo gli esperti, può essere suddiviso in tre grandi cordoni, “terrazze” le definisce Scienza: “Delle zone che dal mare salgono sempre più su fino alla Maiella e al Gran Sasso – spiega il docente – Quindi le quote basse, più sul mare, favoriscono di certo i rossi, ma non i bianchi, che però, man mano si sale di quota acquistano qualità e finezza. Una cosa che succede anche al Montepulciano”. Codice Citra, dunque, ha iniziato una zonazione del territorio scientifica, fatta con i satelliti: “Una viticoltura di precisione – spiega Scienza – per definire con assoluta certezza i territori più vocati per produrre questi vini. Con l’aiuto dei satelliti sono state individuate le zone migliori dove piantare i vitigni. Ma soprattutto il cambio epocale riguarda la coltivazione a pergola bruzzese (o tendone che dir si voglia), una pratica che era stata abbandonata e che invece si sta rivelando fondamentale anche per quel che riguarda i cambiamenti climatici. Ma deve essere gestita da uomini esperti e consapevoli di questa particolare tecnica di coltivazione, che non dà un’alta produzione, ma di certo di una qualità superiore”.

E poi la vendemmia, “che deve essere fatta quando è giusto farla per quel particolare tipo di vitigno – dice Scienza – e non in base al potenziale alcolico. Deve essere il potenziale aromatico a spingere affinché l’uva venga raccolta. E non è cosa da poco, considerando anche che stiamo parlando di una cantina cooperativa, in cui di solito i pagamenti avvengono in base al grado zuccherino delle uve. Qui, invece il ragionamento è diverso”. E Scienza racconta anche le tecnologie presenti, “che rispettano la materia prima, a partire dalla selezione delle bacche, fatta quasi una per una, fino alla diraspatura, alla pigiatura e alla macerazione nelle bucce (fatta anche per i bianchi, seppure per pochissime ore), il condizionamento termico. Anche la cantina è stata studiata per fare il salto di qualità. E gli ultimi vini prodotti hanno dimostrato che se si opera bene sia in vigna che in cantina, questa differenza qualitativa la percepisci nel calice”. Ma attenzione, spiega Scienza: fare qualità non vuol dire fare pochi numeri: “Si può fare grande qualità anche sui gradi numeri – dice – Qui si è trovata una buona sintesi e un buon compromesso tra le gestione della materia prima e il vino finale. Ma non solo. Perché si sta facendo un buon lavoro in termini di marca. Un risultato che si ottiene dopo un lungo processo. Costruire una marca è lungo, faticoso e costoso. Bisogna dedicare molto tempo a questo processo, bisogna saperla raccontare. Insomma non è solo un progetto di valorizzazione del suolo, clima e tecnologia. Ma c’è un mondo attorno, un meccanismo che permetterà poi di identificare quesl vino con quel prodotto particolare, attraverso uno studio della bottiglia, del logo, della confezione, della comunicazione. Non bisogna tralasciare nulla”.

Ma a cambiare deve essere il sistema cooperazione del vino in Italia: “Un grande patrimonio vitivnicolo italiano – dice Scienza – La cooperazione rappresenta il 60 per cento della produzione totale ed ha una caratteristica che nessuna cantina puà avere: può disporre di terreni e una produzione unica. Si tratta di un mosaico in cui ogni singolo produttore rappresenta una tessera, ma che, messi tutti insieme, fanno una grande ricchezza. Un po’ declassata, soprattutto qualche anno fa, con le vinificazioni di massa, per fare vini da taglio o per vendere bottiglie su bottiglie nella Gdo. Ora le cooperative del vino devono mettersi in testa che devono cambiare, valorizzare la loro grande diversità che possiedono all’interno, separare le grandi produzioni, vinificare in maniera diversa, magari facendo tante vasche, con tecniche diverse. Codice Citra è la dimostrazione che le cooperative possono fare qualità in maniera eccelsa. Già al Nord, penso al Trentino, all’Alto Adige, al Piemonte solo per fare alcuni esempi, hanno un po’ anticipato i tempi”. E il Sud? “Una riscossa ci potrà essere, ma anche qui si deve essere consapevoli che il mercato cambia ed è molto volubile – dice Scienza – Prima un vino aveva una collocazione per diversi anni. Ora non è così. Pensiamo ai rosati. Oggi dici Rosato e dici Provenza. Io credo che da queste parti si possno fare rosati di grande livello senza però perdere l’identità della varietà. Il segreto: tradizione e innovazione. Oltre ai vitigni autoctoni, che vanno ripensati e rivisitati in chiave moderna e soprattutto, vinificati in maniera completamente diversa. Cito il Pecorino per rimanere in tema: quando è stato vinificato in maniera diversa, ha dato vini di un’eleganza incredibile”.