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La degustazione

Cresce l’Aglianico, merito del temperamento vulcanico

06 Settembre 2012
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Ha due origini il suo nome: il primo, e il più amato, deriva da  “splendente”, “luminoso”.

l’Aglianico: un vitigno di gran moda oggi in Italia, di cui la premessa sull’origine del nome è la caratteristica meno rilevante visto i consensi che oggi riscuote e nei gusti dei consumatori e nei giudizi delle guide. La sua fascinazione ammalia soprattutto chi lo studia ampelograficamente. In esso vi si riscontrano  comportamenti e caratteristiche a volte bizzarri, spesso dissimili e insoliti a seconda del terreno che lo nutre. Con risvolti sulla qualità entusiasmanti. L’Aglianico predilige terreni vulcanici, ma in climi mediterranei. Infatti si è adattato bene solo  nel centro del sud Italia. Tra i suoi habitat più vocati, ne troviamo uno che sfiora la Puglia, una piccola area della Basilicata, poi quasi tutta la Campania e alcuni siti del Molise.

Apriamo una mappa. Cominciamo dal Taurasi zona dell’Irpinia, suoli vulcanici anche qui che si alternano con strati argillosi calcarei, oppure strati calcarei con sottostanti falde vulcaniche, con sedimenti eruttivi molto vecchi che rendono il Taurasi uno degli Aglianici più importanti. Poi ci sono il Massico e Roccamonfina, quest’ultima terra dove nasce l'Aglianico firmato da Riccardo Cotarella. Qui il nettare si caratterizza per la sua aggressività e per domarlo ricorrono al Piedirosso, vitigno a bacca rossa, povero di struttura. E poi il Cilento, sud Salerno, dove l’Aglianico in verità non è stato mai di casa. E' la Puglia ad  avere abbassato molto lo spread delle qualità eccellenti degli Aglianici, grazie al lavoro di piuccoli vigneron operanti nelle piccole aree, al confine tra il  Vulture  l’Irpinia e il Sannio, che hanno scoperto una latente vulcanicità,  da sfruttare per fare esprimere al meglio questo vitigno. Limitazioni di cui non si soffre invece nell’area del Vulture, terra disseminata di cenere “fresca”, di lapilli e di tutta la mineralità che elargisce  tipicità vulcanica 

Possiede una lunga e conclamata longevità. Si spiega studiando la buccia dei suoi acini, sempre molto spessa, un contenitore di virtù, dove si annidano caratteristiche polifenoliche che regalano molecole preziose per il colore e la struttura. E poi c'è l’esuberanza acida, le cui molteplici trasformazioni chimiche lo rendono tale da guadagnarsi  quell’appellativo rifilatogli dai “piemontesi”: “L’Aglianico? il “Barolo del sud”.

 In questo quadro generale non va dimenticato il ruolo della ricerca che tanti enologi hanno approfondito: ”C’è stata una maggiore attenzione in vigna – sostiene Luigi Mojo, docente di enologia e titolare dell’azienda “Quintodecimo”  di Mirabella Eclano in provincia di Avellino –  quella che ha portato a far crescere bene e sane le uve. Può sembrare banale,   ma sta in questo semplice espediente la chiave dell’ escalation che ha portato l’ Aglianico, e anche tanti altri vitigni autoctoni, non solo della Campania, a riscuotere i riconoscimenti che sono sotto gli occhi di tutti. E poi c’è da aggiungere un secondo elemento fondante che sta nell’ aumento della temperatura. E questo ha facilitato la maturazione delle uve  e forse arricchendole pure. Quando l’uva matura alla perfezione ecco che anche le caratteristiche del terroir rimangono immutate, anzi spesso si esaltano rendendo i vini unici e originali. E voi sull’Etna lo avete scoperto già da qualche lustro”.


Enzo Scivetti

La ViniMilo ci ha regalato l’occasione per un ripasso di conoscenze di tutte queste cose appena dette. Attraverso nove aziende. L’ha organizzata l’Onav di Catania convocando Enzo Scivetti, delegato Onav di Puglia, che queste aree conosce a menadito.  

1) Saulo  – Azienda  “Falerno del Massico” di Bianchini Rossetti Aglianico 90% Piedirosso 10% Colore intenso e una luminosità elevatissima per questo “Vino degli Dei”, come era chiamato nell’antichità il Falerno, effetto di un’acidità elevata e di un PH tra il 3,1 e 3,4. Detta altrimenti, parametri da vini Spumanti. Dolcezza al naso con nitide espressioni di rotondità. Glicerina  e polposità di un frutto che ricorda il mirtillo e la mora e un finale da mandorla amara che certifica l’autentica presenza de Piedirosso.

2) Contado 2007. Un Aglianico dell’Azienda Di Majo Norante.  Naso subito avvolto da  frutto nero, cassis, liquirizia  e humus di sottobosco. In bocca si  confermano gli indicatori olfattivi con una netta separazione  tra tannino, quasi “gommoso”, con una grana grossa che ricorda la noce acerba. Spiccata giovinezza foriera di grande evoluzioni.

3) Casteldelmonte Doc Bocca di Lupo –  Azienda Tormaresca di Antinori. Caratteri tipici del terroir in questo vino da vigne che guardano sia il mare che il Vulture. Al naso spezie dolci che preannunciano grandi sensazioni gustative. Gran possanza nera, violacea, dolce di frutto e di spezie. L’impronta di Renzo Cotarella già si manifesta dai primi istanti, poi il legno di suo aggiunge liquirizia, cioccolata, caffè. Il tutto stemperato dalla dolcezza dell’alcol glicolico. Che lascia comunque chiara la peculiarità della sua ricchezza estrattiva.

4) Aglianico del  Vulture, Serpara Terra degli Svevi del Gruppo Giv. Tannico, l'aggressività del primo impatto  ripaga con la morbidezza. Frutta rossa con richiamo alla ciliegia Mastrantonio, leggera componente del mallo di noce tipico del territorio. Elegante e sontuoso. Naso dolce e dalla freschezza in bocca.

5) Ròinos dell’Azienda Eubea. Sarebbe stata la “chicca” della serata. Il caldo è il trasporto lo hanno snaturato.  E’ riconosciuto come un campione di eleganza e fruttuosità. Lo abbiamo potuto solo immaginare ed è stato bello anche solo così. N.V.

6) D’Erasmo 2006 – Azienda Nifo Sarrapochiello Taburno. Il primo impatto non preannunzia nulla di buono. Note d’acciughe, tipico di un sangiovese malsano, ma in bocca scompare presto,  mostra subito i suoi caratteri di un vero “Aglianicone” dai tannini indomabili. Ha un'espressione aromatica significativa, complessa e in evoluzione benché già “vecchio” di sei anni. In bocca  è caldo e secco. Di buona morbidezza. 

7) Vigna Cataratte riserva 2005 Azienda Fontanavecchia. Si dà l’aria di un cru questo Aglianico. Esprime bene il terroir del Taburno con un taglio moderno, che sfrutta l’ utilizzo di legni da profumeria, che non cancella al naso le nitide note floreali anche se leggermente “disturbate” da una evanescente nota di smalto. In bocca la grande potenza del suo tannino compete con l’irruente acidità. 

8) Naima Azienda Bruno De Concilis Pestum Aglianico Igt 2005
Siamo nel Cilento terra vulcanica e calda stemperata dall’aria aria di mare e baciata dalla luce e dal sole. Naso caldo con frutta surmatura,  liquirizia, nuance di boschi cilentani comprese le note tartufate. In bocca è in linea con l’esposizione iniziale e si aggiunge il calore dell’alcol e il gioco virtuoso dei tannini. Lunga  chiusura fruttata.

9)Taurasi Riserva Perillo 2002. Al naso appare pieno, ricco e complesso, chiara e fresca la macchia mediterranea dopo un attacco di toni balsamici e sentori di pepe nero, in seconda battuta si sentono i frutti neri, come la mora e il gelso. In bocca mostra un carattere irruento. E' pieno e lungo. Se ve la scordate aperta, la bottiglia,  per una settimana, avrete la sorpresa di trovarlo come il primo giorno. Forse anche meglio.

Stefano Gurrera