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La degustazione

Tre chef per sei piatti (più una sorpresa): che festa per i 9 anni del Birrificio del Forte

20 Settembre 2020
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di Simone Cantoni

Un omaggio d’autore, a più mani, al caleidoscopico tema dei lievitati.

Nel piatto e nel bicchiere; che s’incontrano e si confrontano in tavola, dando luogo a un gioco d’abbinamenti orchestrato in occasione del nono compleanno del Birrificio del Forte: realtà artigianale con base a Pietrasanta (Lucca), così come a Pietrasanta ha i propri locali la Pizzeria Apogeo, il cui giardino ha ospitato l’iniziativa, una cena-degustazione dal titolo 3 chef + 6 piatti = 9 volte Forte (il resoconto fotografico nelle immagini gentilmente concesse dal fotografo Mauro Pucci). A firmare infatti le ricette andate in scena nell’occasione – sei, appunto… più un supplemento finale, per chiudere in dolcezza – è stato non solo il padrone di casa, Massimo Giovannini, ma anche altre due firme, quali quelle di Nicola Gronchi (in forza al Ristorante Romano, di Viareggio) e di Paolo Gori (della Trattoria Da Burde, a Firenze). Il tutto annaffiato con ben sette etichette del marchio brassicolo protagonista della festa e rappresentato, nella circostanza, dalla propria squadra operativa più o meno al completo, con in testa il deus ex machina, Francesco Mancini.

I NOSTRI ASSAGGI

IL CROSTONE CON BOTTARGA E LA PORTER

Primo giro di pista e subito si spinge sul pedale della provocazione: per cominciare una Porter, icona dello way of drinking britannico a tinte dark. Si parla, è chiaro, della 2 Cilindri, in catalogo al Forte fin dai suoi esordi, nel 2011: in qualche modo un omaggio anche… filologico. Contenuta la gradazione (siamo a quota 5), ma alta la densità sensoriale e, ovviamente, orientata nel senso delle torrefazioni (cacao, orzo in tazza, caffè): tratto caratteriale, questo, abilmente recepito dal piatto, in virtù di una costruzione fantasiosa e (fin dal progetto) attenta al particolare. Si tratta infatti di un crostone di pane scuro alle trebbie (lo scarto solido di un mosto di birra: in sostanza, la scorza dei cereali), guarnito da Massimo Giovannini con burrata, zucchine, nocciole (per la precisione la varietà è la Tonda Gentile del Piemonte) e bottarga grattugiata. Una ben studiata architettura nella quale la base panificata e il frutto da guscio, con le loro sensazioni tostate, assecondano chiaramente il temperamento del sorso; mentre la bottarga risulta tanto elegante, nelle dosi e nella qualità, da conferire un tocco ittico e salmastro (evocante suggestioni da Stout con ostriche), ma senza con ciò creare alcun corto circuito con l’amaricante della pinta (esito cui contribuisce, va da sé, anche la ponderosa massa grassa e neutra del formaggio): bensì lavorando, e assai bene, da raffinato esaltatore di sapidità.

IL TONNO E LA WITBIER

Più canonico e meno azzardato (ma non per questo meno interessante) il secondo abbinamento. Che vede intrecciarsi gli argomenti sensoriali della Cento Volte Forte – la Witbier da 4,5 gradi alcolici a firma Mancini (lanciata nel 2014, per il secolo di vita del Comune di Forte dei Marmi, istituito nel 1914) – con quelli di una panzanella di tonno rosso del Mediterraneo, decisamente coesa in questa edizione, e intagliata al millimetro – dalla mano di Nicola Gronchi – negli aspetti della propria personalità: tanto intensa nei propri contenuti olfattivi di timbro ittico, quanto equilibrata nei tratti gustativi di taglio elegantemente sapido e acido. Su entrambi i fronti lavora la corrispondente affilatezza citrica della birra: al palato secondo il meccanismo della sovrapposizione attenuativa delle corde acidule; al naso nei termini di un’efficace gestione del sentore di pescato.

L’IMPEPATA E LA SAISON

Sempre Gronchi il colpevole in questo terzo atto: l’autore dei cappellacci di pasta di pane con impepata di cozze che incrociano la strada battuta dalla Saison del Villaggio (6,5 i gradi alcolici), frutto della collaborazione italo-belga tra Francesco Mancini (del Forte) e Laurent Agache (della Brasserie de Cazeau). Una sorsata davvero in gran forma: la cui acidulità lavora (di nuovo) in gestione sulla matrice ittica del piatto; mentre il suo arco aromatico, decisamente ampio, da un lato riprende le sensazioni panificate del boccone, da un altro ne asseconda le suggestioni speziate da pepe bianco, da un altro ancora aggiunge (in supplemento armonico) la nota tipica da peperone verde conferita da quel fiore di sambuco che è ingrediente ospite, e coprotagonista, nella ricetta della birra.

IL LAMPREDOTTO E LA CALIFORNIA COMMON

La parola a Paolo Gori, per il giro di boa; e trattandosi di voce fiorentina, ecco in scena uno tra gli emblemi della cucina del capoluogo toscano: il lampredotto. La cui sensuale consistenza proteica è architrave, in questo caso, di un panino che assegna a un tocco di salsa verde il compito di apportare un significativo, quanto dosato, contributo direzionale al boccone: così quest’ultimo risulta, nella propria interezza, calibrato e privo di incisività sensoriali (sapidità in primis) tali da porre le basi per un potenziale contrasto con l’inclinazione amaricante del bicchiere in accompagnamento. Accorgimento provvidenziale: ché lei, la birra, la 9 Volte Forte – ricetta celebrativa del compleanno, brassata (per tradizione collaborativa) da Francesco Mancini insieme a uno o più colleghi: nella fattispecie Pierluigi Piggiu Chiosi (Piccolo Birrificio Clancestino, Livorno), Iacopo Apo Lenci e Andrea Riccio (Birra Brùton, Lucca) – sfodera un temperamento che, a livello di propensione per l’amaro, proprio non si fa mancar niente. Se infatti lo stile di riferimento è quello delle California Common statunitensi, si è di fonte a un’interpretazione (da 5,5 gradi alcolici) nella quale il pedale delle luppolature è premuto con energia; tra l’altro utilizzando una varietà sperimentale di coni, quell’HBC 692 (ancora in attesa di un nome commerciale), che introduce contributi nasali (tra pompelmo, legno e resine) particolarmente adatti a guarnire olfattivamente il lampredotto, partner d’occasione.

LA PAPPA AL POMODORO E LA BELGIAN GOLDEN STRONG ALE

Bis di Gori e altro classico: la pappa al pomodoro. Succosa, ricca, generosa nell’offrire il cuore dell’ingrediente cardine, con la sua dorsale dolceacidula, qui unita a una ben ponderata vibrazione di sapidità. Premesse tra quelle da poter considerare ideali per un abbraccio con quel calore – alcolico (7,5 la taglia etilica) ma non solo: anche relativo alla sua personalità abboccata e fruttata (con ricordi di banana matura e amaretto) – che è aspetto caratterizzante e punto di forza de La Mancina, birra-bandiera del Forte, veterana di mille battaglie e pluridecorata su molteplici fronti di competizione. Secondo le attese l’esito armonico della fusione tra i suoi residui zuccherini e le affilatezze veraci del boccone…

LA PIZZA AL LARDO E LA ITALIAN GRAPE ALE

Sì, il lardo – cotto, nello specifico – è perno, insieme al pomodoro, della pizza preparata da Massimo Giovannini e incaricata di reggere l’urto de Il Tralcio, la Italian Grape Ale cingolata che il Forte assembla unendo un mosto brassicolo (da cererali) con uno enologico (da uve a bacca nera). Il risultato – nell’annata 2018, servita per l’occasione – è un semovente d’artiglieria da 11,8 gradi, dotato di arsenale olfattivo (tra gli altri proiettili troviamo nocciola, fico disidratato, ribes rosso) e gustativo (un concentrato di alcol, acidità, bollicina guizzante, nonché una lieve tannicità), le cui bordate trovano adeguata resistenza nella corazza lipidica e (di nuovo) acidula del boccone, provvisto tra l’altro di fisiologiche tostature che riprendono agilmente quelle del sorso. Insomma, l’esempio migliore per sfoderare la chiosa più giusta di fronte al rischio della banalizzazione: “Si fa presto a dire birra e pizza…”

IL BOMBOLONE E IL BARLEY WINE

Settima portata e stazione d’arrivo, il sempreverde bombolone, nella lettura (ancora) di Massimo Giovannini: dolcezza, carboidrato e zuccheri affidati al seduttivo potere di scioglimento profuso dalla Birrasanta, altro prodotto evolutivo targato Il Forte. Riduttivo definirla Barlweywine, giacché quello è, sì, di base; ma affidato a un’elevazione in legno sul calco dei Vin Santi (ergo il nome) che le conferisce curvature ossidative, lattiche e acetiche, posizionando i suoi 15 gradi alcolici, in una terra di mezzo i cui confini ricevono influenze molteplici: non solo quelli dei generi appena citati (Barleywine e Vin Santo, appunto), ma anche quelli di ambiti esperienziali e sensoriali diversi, ricollegabili ad esempio a evocazioni da aceto balsamico e da vino liquoroso di lignaggio, come Sherry (Fino) o Porto (marcatore ben presente nell’edizione Cardoso, lanciata sul mercato nell’agosto scorso). E se nel corpo a corpo la birra prevale sul boccone, si può ben dire “Ci sta!”…

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