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L'intervista

Daniele Rielli: “Il mio olio post Xylella contro ignoranza e abbandono”

19 Giugno 2025
Daniele Rielli, la copertina del libro e il nuovo olio Daniele Rielli, la copertina del libro e il nuovo olio

C’è un nuovo capitolo nella storia de Il Fuoco Invisibile. Non è scritto su carta, come il reportage narrativo edito da Rizzoli nel 2023 che ha raccontato l’avvento e la diffusione della Xylella nel Salento, ma è racchiuso in una bottiglia di olio extravergine d’oliva. Un prodotto che nasce da un libro: un olio simbolo della rinascita dell’olivicoltura salentina, che tenta di superare la ferita collettiva causata dalla perdita di 21 milioni di alberi. L’idea è dell’autore del libro, Daniele Rielli, scrittore e giornalista nato a Bolzano ma di origini salentine, che firma questa nuova avventura insieme a Giovanni Melcarne, agronomo, imprenditore olivicolo e presidente del Consorzio di tutela dell’olio Dop Terra d’Otranto. Un sodalizio che va oltre la semplice collaborazione, fondato su una visione condivisa e sulla volontà di lanciare un segnale positivo di speranza e ripartenza. Candidato al Premio Strega 2024, Il Fuoco Invisibile ha raccontato la crisi dell’olivicoltura salentina: non solo l’epidemia di Xylella, ma anche il disinteresse, la disinformazione, la devastazione delle campagne, la perdita dell’identità agricola, e il ruolo della politica, della magistratura e della scienza.

Di questo nuovo progetto Rielli ha parlato a Cronache di Gusto, in un’intervista rilasciata in occasione del lancio dell’olio extravergine. “In tanti mi hanno chiesto un secondo capitolo del libro. Il Fuoco Invisibile è uscito nel 2023 e, purtroppo, la situazione legata alla Xylella non è cambiata molto. La vera novità, però, è l’arrivo dei primi oli da piante resistenti: è un reset del territorio. Da qui l’idea di fare un olio, che considero il capitolo mancante del libro. Ora si tratta di andare avanti, e questo progetto va proprio in quella direzione”. Ma com’è nata l’idea di dare a Il Fuoco Invisibile un seguito in forma liquida? “Questo olio – prosegue – nasce da alberi nuovi, piantati dopo l’epidemia, ma soprattutto da un’amicizia, quella con Giovanni Melcarne. Senza di lui non l’avrei mai fatto. Ci siamo conosciuti nel 2015, quando iniziai a lavorare sull’argomento. Fu uno dei pochi a schierarsi con la scienza, aprendo i suoi campi ai ricercatori del Cnr, prima ancora che si muovessero le istituzioni”. Melcarne, olivicoltore e laureato in Agraria, “è sempre stato ossessionato dalla qualità dell’olio – spiega Rielli –. Il suo frantoio sembra una clinica: pulito, tecnologico e attento al rigore scientifico. Un rigore necessario è l’unica strada per superare una tradizione locale orientata alla quantità più che alla qualità”.

Storicamente, infatti, il Salento non era terra di extravergine: “L’olio si produceva in grandi volumi – racconta Rielli – con olive raccolte da terra e spremute tardi, spesso irrancidite. Era olio lampante, usato più come combustibile che come alimento”. Un retaggio culturale che è diventato evidente durante la crisi della Xylella. “Prima si diceva: “L’ulivo si fa da sé”, ma oggi non è più così. Le nuove piante hanno bisogno di essere seguite e curate. È un lavoro più complesso, che richiede nuove competenze sul territorio”. L’extravergine Il Fuoco Invisibile nasce con l’intento di unire rigore produttivo, innovazione e recupero dell’identità autentica dell’olio salentino, duramente segnata dall’emergenza. Il blend è composto da Leccino e Favolosa, due cultivar resistenti al batterio, ma anche da un tocco di Coratina. “Lo abbiamo fatto per due motivi – spiega Rielli – uno culturale, perché unisce idealmente tutta la Puglia; e uno tecnico, perché la Coratina è probabilmente la cultivar migliore della regione. Abbiamo voluto unire il futuro del Salento con l’eccellenza pugliese, creando un blend capace di tenere insieme queste due anime”.

L’olio è stato lanciato il 2 giugno, data simbolica e scelta consapevolmente. “Ci sembrava il momento giusto per uscire con un prodotto che è anche una dichiarazione di intenti. Non si tratta di una produzione destinata alla grande distribuzione, ma di una piccola quantità disponibile principalmente sul sito dell’azienda di Giovanni Melcarne e acquistabile in occasione delle presentazioni del libro e dello spettacolo che sto portando in tour con dei musicisti, ispirato proprio al libro. Per incentivare l’acquisto, abbiamo pensato a una formula che unisce prodotto e lettura: la spedizione è gratuita se si acquista anche il libro”. In anteprima per Cronache di Gusto, lo abbiamo assaggiato. Prodotto dall’azienda agricola Forestaforte – realtà storica di Gagliano del Capo, in provincia di Lecce, con radici olivicole che risalgono al 1500 – si tratta di un blend dal fruttato intenso e dal color dorato con sfumature verdi. A caratterizzarlo è un profilo aromatico fresco e ricco di note vegetali e sentori di erbe aromatiche, mandorla e carciofo. Al palato risulta particolarmente equilibrato; la componente amara è presente ma non prevaricante, grazie all’apporto della dolcezza dell Leccino, mentre il piccante è vivace e persistente e rappresenta al meglio l’anima della Coratina. Nel complesso è un extravergine che sa combinare armonia e personalità, bilanciato ma deciso, capace di esaltare il gusto dei piatti che accompagna. Si sposa bene con carni rosse, legumi, bruschette e piatti della tradizione mediterranea.

L’intervista offre anche l’opportunità di chiedere a Daniele Rielli qual è, oggi, la reale estensione del fenomeno Xylella nel Salento. “All’inizio – dice – c’era una situazione di immobilità, o comunque assistemmo a interventi effettuati in ritardo, per svariati motivi. Ora c’è un sistema di controllo e contenimento molto più esteso, che un tempo era impensabile. Ma il punto è che “i buoi sono già scappati””. Il vero problema, spiega Rielli, è che “questo tipo di malattia va contenuto sul nascere con misure dure. Quando fu scoperta a Gallipoli, era già molto diffusa. Quella fase si è persa, e da lì in poi è tutto più costoso, complicato e meno efficace. Oggi si parla di rallentare, nella speranza che emerga una cura”.

E sul piano culturale? “Ogni tanto, magari dopo una primavera piovosa, alcuni alberi sembrano riprendersi un po’, ma è un’illusione: parliamo di un 3-4% della chioma originale. E ogni volta, questo rilancia teorie del complotto. Poi arriva l’estate, fa caldo, e si capisce che era solo un’illusione”. Rielli sottolinea però come questa negazione collettiva non sia nuova nella storia. “In California, con la vite, alla fine dell’Ottocento, si impiegarono vent’anni per accettare la realtà. Anche lì, periodicamente, ricrescevano alcune foglie e si riaccendevano le teorie negazioniste. Il cambiamento è stato enorme e, come in ogni lutto, prima c’è la negazione, poi la rimozione. La rielaborazione ancora non è arrivata”.

E la politica? Ha davvero compreso la gravità della situazione? “La politica – commenta – è sempre andata dove conveniva elettoralmente. Non c’è mai stata la volontà di fare davvero la cosa giusta. Non è però l’unico responsabile, ma è uno dei principali”. Quello che colpisce di più, oggi, è la perdita di un’identità: il legame profondo tra ulivo, Puglia e Salento che è stato spezzato. “In realtà l’ulivo – spiega – era già in parte abbandonato, perché non c’era una vera economia dell’olio. Ma almeno gli alberi c’erano: il 60% del Salento era fatto di ulivi, una gigantesca monocultura. Ora non più. E non torneremo mai ai 90.000 ettari di prima”.

Il paesaggio è cambiato, e con esso l’immaginario. “Il dramma Xylella non è stato solo un fatto economico. Personalmente, sul futuro della coltivazione, sono anche favorevole agli impianti intensivi e superintensivi, se servono a produrre olio di qualità. Allo stesso tempo, però, sarebbe importante creare impianti a sesto più largo, destinati a durare. Servirebbe anche un piano pubblico: magari parchi di ulivi secolari. Non si potrà produrre molto, ma sarebbe importante per il territorio. Sebbene esistano realtà che lavorano in maniera seria, si tratta sempre di iniziative isolate. Quello che manca è un vero coordinamento. Serve una regia politica, perché l’iniziativa privata non basta. Servono sinergie tra università, Cnr, Regione, Ministero… tutti insieme”.

Infine, uno dei nodi più amari: quello demografico. “Il Salento ha pochissimi giovani – racconta Rielli – Ci sono d’estate, perché tornano a casa o arrivano i turisti, ma durante l’anno l’età media è molto alta. Prima di Xylella i pochi campi tenuti bene erano di due tipi: o aziende virtuose – non tantissime, ma c’erano – oppure di anziani hobbisti. La dimensione media di un fondo in Salento era di 0,6 ettari: impossibile costruire un’azienda vera. Era tutto olio per consumo personale”. Una riflessione, amara quanto necessaria, chiude il ragionamento: “Gli anziani sono gli unici che ricordano quando quello era un territorio prevalentemente agricolo. Però morti loro, cosa succederà”? Ecco perché, ribadisce Rielli, “è evidente che serve un vero e proprio cambio di paradigma. Serve passare a un’olivicoltura moderna, seguita e curata. Dopo la devastazione degli ulivi, è questa la vera sfida del Salento”.