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L'intervista

Monica Caradonna: “Racconto l’Italia con Linea Verde, ma il mio cuore rimane a Taranto”

19 Maggio 2025
Monica Caradonna Monica Caradonna

Tarantina doc, Monica Caradonna è al timone assieme a Elisa Isoardi di “Linea Verde Italia” in onda ogni sabato mattina sul primo canale Rai. La mission delle conduttrici è far conoscere a tutti il belpaese con un focus particolare sulla sostenibilità. Nonostante il suo girovagare in lungo e largo alla scoperta della biodiversità, dei prodotti tipici, dei piccoli borghi, delle bellezze paesaggistiche, Monica non ha mai nascosto di aver particolarmente a cuore la sua città natale e la sua regione. Ogni occasione è quella ideale per parlarne e valorizzarla. La Taranto che Monica ama raccontare non è quella industriale, ma l’altra faccia della medaglia che troppo spesso viene dimenticata. È diventata anche la promotrice di un nuovo disciplinare per il riconoscimento della pizza contemporanea pugliese. Cosa sarà mai? L’abbiamo intervistata per saperne di più.

Turismo, enogastronomia, sostenibilità, innovazione, salute sono alcuni degli argomenti che affronti in ogni puntata di Linea Verde life con Elisa Isoardi. Credi che queste tematiche nel tempo possano stancare e perdere appeal per il pubblico?
“Al contrario, stanno interessando molto il pubblico. Abbiamo guadagnato in un anno tantissimi telespettatori rispetto alla precedente edizione. La sostenibilità deve essere il tema intorno al quale declinare le nostre vite e le nostre azioni. Ne ha parlato anche Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’. Ormai è imprescindibile nella vita di ciascuno di noi pensare che ogni nostra azione possa avere delle reazioni sull’ecosistema che ci ospita. Pensa che siamo l’unica specie sulla faccia della terra che a causa delle sue azioni sta mettendo a rischio altre specie viventi. Credo che bisognerebbe parlarne sempre di più. Il pubblico sta apprezzando molto”.

L’anima di un luogo può essere trasmessa attraverso le narrazioni, che incuriosiscono, attraggono e motivano il turista a effettuare un viaggio alla scoperta della zona, delle sue eccellenze e i suoi protagonisti. Cosa rende unica la comunicazione e lo storytelling, temi che l’aiuto, raramente dichiarato, dell’AI rischia di far perdere di autenticità e cadere nell’omologazione?
“L’omologazione, quando si parla di narrazione dei nostri luoghi, non è possibile vista l’unicità del nostro Paese. La tecnologia al servizio della comunicazione, come in ogni settore, dovrebbe seguire un’etica. Se la tecnologia si comporta come una sorta di booster, acceleratore, semplificatore, la ritengo utile e indispensabile come alleata. Poi se c’è gente che la usa per cercare scorciatoie la loro vita professionale è breve. Ritengo che il racconto dei territori vada fatto con professionalità, contenuti, curiosità, nel rispetto dell’identità e della storia. L’Italia mi sta insegnando che le declinazioni della bellezza sono davvero infinite”.

Ami l’Italia, la Puglia ma nel tuo cuore Taranto occupa un posto particolare. Hai un legame molto forte con la tua città. È evidente il tuo impegno per valorizzare e raccontare l’atra faccia di un territorio bistrattato, quella fatta di angoli unici, buon vino, buon cibo, tra cui l’inimitabile cozza di Taranto. Com’è cambiata la città in questi ultimi anni, lo sforzo ha portato i suoi frutti?
“Amo Taranto e amo la Puglia e non ne faccio mai mistero. Sono sempre a disposizione per la mia terra. Dal 2019, tra l’altro, abbiamo portato Ego Festival proprio a Taranto e la cosa è coincisa con la prima narrazione della cozza tarantina come prodotto unico con gli amici di Slow Food, ma potrei continuare con tante eccellenze che abbiamo lanciato all’interno del Festival. Se sfoglio la rassegna stampa di questi anni leggo una Taranto diversa che è stata scoperta e amata dai tanti giornalisti che abbiamo fatto arrivare qui e che si sono inevitabilmente innamorati di questa città. La nostra narrazione parte dal territorio, dal paniere agroalimentare, dalle storie contadine, dalle tante startup nate nel settore del food, dalle storie imprenditoriali di successo. Taranto ha una luce unica, materiale e immateriale. Io non racconto la Taranto industriale, ma svelo il mistero della natura, porto qui i migliori cuochi internazionali e faccio in modo che loro diventino i primi ambassador di questa grande bellezza”.

Nel 2017, a Lecce, si è svolta la prima edizione di Eno Gastro Orbite, negli anni il format si è trasformato fino a diventare Ego Pizza festival. Quest’anno nel cuore del centro cittadino si sono dati appuntamento i migliori pizzaioli regionali e non, la kermesse enogastronomica ha celebrato la pizza a 360 gradi, dalle materie prime alle sue infinite declinazioni fino al suo ruolo di attrattore turistico. Raccontaci questa travolgente avventura.
“È vero è stata travolgente. Abbiamo iniziato a Lecce nel febbraio 2017. Oggi a distanza di diversi anni il bilancio in termini di quello che abbiamo portato sul territorio è molto in attivo. Ego Festival, nella sua versione classica, è un progetto biennale. Portiamo a Taranto ogni anno nuovi volti del panorama mondiale dell’alta gastronomia, promuoviamo il confronto e la contaminazione tra ospiti e territorio. Celebriamo la cucina, la sua storia, i suoi prodotti. Da quest’anno abbiamo deciso di introdurre un focus dedicato alla pizza perché per me e per i ragazzi dell’associazione, Ilaria Donateo, Emiliano Fraccica, Roberta Di Federico, è importante mettere al centro del progetto una piccola grande rivoluzione culturale. Stiamo lavorando al disciplinare della pizza contemporanea pugliese e stiamo creando delle reti interregionali che nascono dell’idea e della visione globale che abbiamo della cucina e del suo ruolo”.

Dal festival di Ego parte l’iter per il disciplinare della pizza contemporanea pugliese. Cosa sta succedendo in Puglia e quali sono i punti essenziali del testo?
“Per la prima volta si lavora a un disciplinare volontario per la pizza contemporanea pugliese. Abbiamo messo in piedi un gruppo di lavoro fatto da alcuni pizzaioli, dai tecnologi di Petra Molino Quaglia, unica realtà italiana ad avere l’Università della Farina, e i produttori pugliesi. Abbiamo lavorato a un disciplinare in cui per la prima volta si metteranno nero su bianco materie prime e metodi di lievitazione e lo abbiamo fatto grazie al supporto della società di consulenza Agriplan, nella persona di Michelangelo De Palma, al lavoro di sei pizzaioli pugliesi Marco Bovio, Andrea Godi, Michel Greco, Michele Lococciolo, Francesco Pellegrino e Cristiano Taurisano, e da aziende importanti come Petra Molino Quaglia e Gioiella. L’obiettivo è definire le caratteristiche tecniche e ambientali di questa tipologia di pizza, con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze agroalimentari del territorio, come il grano duro pugliese, l’olio extravergine d’oliva e la mozzarella Dop”.

Da buona forchetta, qual è il piatto di cui non puoi fare a meno quando torni a casa e quello che hai scoperto nel tuo girovagare?
“Sono molto abitudinaria quando sono a casa e sono felice con un tubettino con le cozze fatto da mio padre o un semplice piatto di orecchiette con ricotta fresca e sporcato col sugo fatto da mamma. In tutto questo girovagare ho mangiato di tutto, ma se devo pensare a un piatto vado immediatamente in Calabria, a Camigliatello, dallo chef Emanuele Lecce e alla sua fonduta di caciocavallo silano dop con crema di patate con la nduja. Un piatto che si inserisce tra la storia della Calabria e la mano sapiente di questo giovane cuoco che con il fratello sta facendo un gran lavoro da quelle parti. Spero di tornarci al più presto”.