C’è un’antica arte giapponese, il kintsugi, che consiste nel riparare oggetti rotti con l’oro, trasformando la fragilità in valore. L’idea è che ogni frattura racconti una storia e che, una volta accettata, recuperata e valorizzata, possa rendere quell’oggetto dal valore affettivo, persino più bello di prima. È una filosofia che invita a dare nuovo significato a ciò che ha subito un’interruzione, celebrando l’imperfezione come parte integrante della bellezza.
È a questa visione che si ispirano Gaspare e Rosario Triolo di Terre di Gratia, autori del progetto “Luci”, il primo Metodo Classico Rosé ottenuto da Lucignola, un vitigno autoctono siciliano per decenni dimenticato. “Luci” è il risultato di un’operazione agronomica, enologica e culturale che mette insieme biodiversità, artigianalità, recupero identitario e sperimentazione. Proprio come nel kintsugi, da una varietà che sembrava destinata all’oblio nasce un vino che si fa racconto e rinascita.
La Lucignola ha origini antiche e incerte. Secondo alcune fonti ottocentesche, potrebbe derivare dalla Ducignola Niura, citata dal barone Mendola nel suo catalogo generale della collezione delle viti italiane e straniere, per la dolcezza dell’uva. Geneticamente imparentata con il Sangiovese, era diffusa un tempo nei Nebrodi e oggi è classificata come vitigno reliquia. La sua storia è fatta di marginalità e resistenza: coltivata in piccoli appezzamenti e tramandata quasi per affetto da pochi vignaioli, è stata gradualmente abbandonata a causa della sua spiccata acidità, difficile da domare nei rossi, e per via delle caratteristiche non compatibili con i gusti del mercato moderno. A salvarla è stato il progetto “Identità e ricchezza del vigneto Sicilia”, coordinato dal prof. Attilio Scienza, che dal 2015 ha permesso all’IRVO di raccogliere, conservare e reimpiantare varietà autoctone a rischio.
È in questo contesto che si inserisce l’impegno di Terre di Gratia, storica azienda vitivinicola fondata nel 1934 a Camporeale, in provincia di Palermo. Oggi guidata da Gaspare e Rosario Triolo, che rappresentano la quinta generazione, l’azienda possiede 135 ettari in contrada Torretta, nel territorio della DOC Monreale. Qui si coltivano e vinificano vitigni autoctoni come Catarratto, Perricone e Syrah secondo i principi dell’agricoltura biologica (certificata dal 2010), con l’utilizzo esclusivo di lieviti indigeni, energie rinnovabili e packaging a basso impatto ambientale. A questo approccio si affianca un forte impegno sociale, con iniziative come la Vendemmia in Rosa, evento a sostegno delle donne vittime di violenza.
Nel 2019, Terre di Gratia avvia il suo progetto di recupero della Lucignola, con la selezione e l’impianto di 2.000 piante, ricavate da appena 75 ceppi disponibili nei campi di conservazione di Marsala e Vallelunga Pratameno. Tre anni dopo, nel 2022, arriva la prima vendemmia e con essa la scoperta di un potenziale inatteso.
“L’acidità naturale della Lucignola, anche a piena maturazione, ci ha sorpreso e suggerito un percorso inedito e ambizioso: pensare ad una base spumante. Una vinificazione in rosa che ci ha regalato profumi unici”, spiega il produttore Gaspare Triolo.
Oggi, infatti, Terre di Gratia è tra le poche realtà a vinificare questa antica varietà e l’unica ad aver osato con la produzione di un Metodo Classico Rosé. “Luci” nasce quindi così: vendemmia manuale, macerazione pellicolare di 5 ore a 8 °C, fermentazione con ceppi indigeni siciliani selezionati e malolattica interamente svolta. La base sosta per 6 mesi in acciaio, momento in cui avviene l’imbottigliamento con lieviti indigeni selezionati per la presa di spuma. Il vino affina in bottiglia per 18 mesi sui lieviti prima della sboccatura (avvenuta a novembre 2024). Il dosaggio finale è extra brut (2,5 g/l) e la produzione è limitata: solo 240 bottiglie numerate.
Il risultato è un vino dal colore rosa cipria brillante e dal perlage fine e persistente. Al naso è elegante, caratterizzato da sentori floreali, con violetta in evidenza, piccoli frutti rossi, come fragolina di bosco, ribes e ancora litchi, pompelmo rosa e scorza d’arancia, seguito da un lieve tocco di erbette mediterranee e un cenno speziato di cannella. Il sorso è vibrante, giocato tra freschezza e consistenza, un’ottima corrispondenza con l’olfatto ed una piacevole e persistente scia sapida. Identitario e di grande beva.
A completare il progetto, l’intervento dell’artista Daniele Favaloro, che ha dipinto a mano ogni bottiglia, trasformando l’idea dei produttori e la filosofia del kintsugi in una veste grafica essenziale e carica di significato. Il nome stesso “Luci” richiama non solo il vitigno di origine – la Lucignola, con i suoi acini porpora lucenti al sole – ma anche il verbo siciliano luciri, che significa “mostrarsi”, “splendere”. Un doppio livello di lettura che esprime perfettamente lo spirito dell’intera operazione.
“Perché essere a pezzi, quando si può essere oro?” è la frase che accompagna il lancio di Luci. Un invito a ripensare il passato non come qualcosa da dimenticare, ma come una risorsa da riconoscere, trasformare e valorizzare. Proprio come un vitigno dimenticato che torna a vivere, e a brillare, dentro una bottiglia.