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L'evento

I migranti risorsa per l’agricoltura, le loro storie al Salone del Gusto

14 Ottobre 2014
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C'è tanto del loro lavoro nel Made in Italy. 

L'agricoltura è diventata una delle occasioni di riscatto e un'opportunità per integrarsi nel nuovo Paese che li ospita. Al Salone del Gusto e Terra Madre, dal 23 al 27 ottobre al Lingotto Fiere di torino, sono protagoniste anche le storie dei migranti. 

Quest’anno per la prima volta il Salone del Gusto e Terra Madre apre le porte a un’importante delegazione di 102 rappresentanti, 70 uomini e 32 donne, per lo più giovani (l’età media è di 37 anni). Gli  immigrati che fanno parte delle comunità maggiormente numerose  in Piemonte racconteranno la loro esperienza, il contributo che danno alla filiera alimentare italiana,  nelle vigne, nelle malghe in montagna, nelle botteghe artigiane, nei ristoranti. Ben 19 le comunità rappresentate , tra cui 4 rifugiati che vivono a Torino. Persone arrivate in Italia con una storia fatta di speranza, di lavoro e di passione.

Al Salone sono due gli appuntamenti dedicati al tema dei migranti. A entrambi partecipa Stefano Liberti, giornalista e regista italiano che ha diretto numerosi documentari e nel 2009 ha vinto il premio Indro Montanelli con il libro A sud di Lampedusa. Cinque anni di viaggi sulle rotte dei migranti (Minimum Fax 2008).  Venerdì 24 alle ore 18.30, Liberti presenta il suo ultimo e tanto discusso web-documentario, in collaborazione con Mathilde Auvillain, The Dark Side of the Italian Tomato. In Ghana la vendita di pomodoro italiano a prezzi stracciati altera i mercati locali e distrugge l’economia rurale. In Italia, la filiera incassa i sussidi comunitari, ma non rinuncia a sfruttare gli stranieri nei campi per la raccolta. Il web-documentario presenta questo caso di dumping drammatico e paradossale. Domenica 26 alle ore 15 nella Conferenza Land grabbing e ocean grabbing: giù le mani dalla terra e dal mare!, Liberti, insieme a Eric Holt-Giménez, direttore di Food First, Ana Paula Tauacale, vicepresidente dell’UNAC, Unione Nazionale di Contadini, María Luisa Albores González, cooperativa Tosepan Titataniske, e Timothé Feodoroff, Transnational Institute, discute questo spinoso tema che mette a rischio l’economia e lo sviluppo agricolo dei paesi più poveri del mondo. Liberti si è occupato di questo tema nel libro Land grabbing. Come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo (Minimunfax, 2001).

Ecco alcuni dei protagonisti.

Hassane Serrafe è di origine marocchina e ha 53 anni. Vive in Italia dalla fine degli anni ‘80. Abita a Bricco de Faule, frazione di Cherasco, ed è operaio presso un’azienda metalmeccanica che produce ingranaggi per automobili. La sua passione per l’apicultura e per le api è iniziata già quando era bambino e osservava il nonno mentre raccoglieva il miele dagli alveari. A Cherasco, grazie a un collega apicoltore per hobby, ha iniziato a interessarsi all’argomento e grazie ai corsi organizzati da Aspromiele (Associazione Regionale Produttori Apistici del Piemonte) ha acquisito le basi per comprendere a fondo il mondo delle api. Oggi ha 5 arnie e da due anni concilia l’attività di metalmeccanico con quella di apicoltore.

Ana Cecilia Ponce ha 48 anni, è peruviana e da anni è mediatrice culturale presso l’Asl di Torino. Nel tempo libero, svolge attività che favoriscono il dialogo interculturale anche tramite la cucina di piatti tipici e partecipa alle fiere per presentare i prodotti peruviani. Vive in Italia da dodici anni e ha una grande passione per l’insegnamento, la scrittura, l’animazione e la cultura del suo paese. Fa parte della rete italiana di cultura popolare e partecipa al progetto Indovina chi viene a cena, occasione per far conoscere la cucina del suo paese di origine. Svolge varie attività destinate a “genitori e figli” del gruppo Abele, organizza corsi di cucina naturale e promuove il consumo della quinoa, cereale andino. Uno dei piatti che cucina spesso nelle manifestazioni è la salsa huancaina, con peperoncino, formaggio fresco, latte e chicha, bevanda fatta con il mais nero-viola bollito con chiodi di garofano, cannella, ananas, mela, zucchero e limone. 

Abdulahi Ahmed ha 25 anni, è somalo. Ha raggiunto l’Italia nel 1998, dopo sei mesi di viaggio attraverso il deserto e il Mediterraneo: «Oggi forse non rifarei quel viaggio, avrei più paura. Per mandarmi qui i miei genitori, i miei cinque fratelli e tutti i parenti e gli amici hanno raccolto 1.500 Euro. Sul barcone sono salito di mia volontà, sapevo quello che facevo. Mi sento fortunato e anche grato. Più della metà dei ragazzi che incontro nei licei mi dice che tutto fa schifo e che il loro sogno è andare in un altro paese. Non voglio giudicare nessuno, ma sono stupito: se avessi avuto in Somalia quello che hanno loro, scuola pubblica, sanità pubblica, elezioni libere, ci sarei rimasto volentieri». Ora Abdulahi è un rifugiato politico, lavora come mediatore culturale e sta per iniziare il servizio civile, che ha scelto di svolgere proprio nelle scuole. È in attesa della cittadinanza italiana, ma nel frattempo il Consiglio comunale di Settimo Torinese gli ha conferito la cittadinanza onoraria.

Da Roma arriva Sulman Diara, 28 anni, originario del Mali. Da piccolo lavorava in campagna con la sua famiglia coltivando mais, miglio, sorgo e riso. Non è mai potuto andare a scuola e ha imparato a leggere e scrivere da adulto, in Italia. Oggi è presidente della Cooperativa Sociale Barikamà – “resistente” in una delle lingue del Mali – che, attraverso la produzione e commercializzazione di yogurt e ortaggi biologici, facilita l'inserimento sociale e l'informazione sullo sfruttamento dei braccianti agricoli. Diara sbarca in Italia nel 2008 dopo un viaggio lungo più di quattro anni. Qui trova il boccone amaro dello sfruttamento a Siracusa, Foggia e Rosarno. Nel 2010 scoppia la rivolta e Diara capisce che qualcosa può cambiare. Ricomincia da Roma con 15 litri di latte, due instancabili collaboratori e un'idea: produrre yogurt biologico e consegnarlo per le strade della capitale in bicicletta. In questi tre anni Barikamà ha fatto molti chilometri, è arrivato a dare lavoro a sei persone e quei 15 litri iniziali si sono trasformati in 150 a settimana distribuiti anche attraverso i Gruppi di Acquisto Solidale della città.