Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'iniziativa

Il riscatto nella terra del Cerasuolo di Vittoria, il progetto “Una Luce con la Vite”

27 Settembre 2013
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I ragazzi delle comunità mentre vendemmiano

Ritrovare il proprio spazio nella società, e quindi l’identità e un ruolo al pari di tutti gli altri, con la vite è possibile.

Il riscatto, quello vero e concreto può passare attraverso l’agricoltura. Ecco una bella notizia che giunge in tempo di vendemmia e la diamo senza volere cavalcare il facile pietismo, ma con la voglia di condividere un modello virtuoso che vede sempre di più collaborare il mondo del vino e quello del sociale, e che per fortuna da un po’ di anni a questa parte sta prendendo piede in tantissime realtà vinicole della Penisola.


Vista sui filari

Così spostandoci nell’estremo sud dello Stivale, nel ragusano, estattamente nel territorio della Docg Cerasuolo di Vittoria, troviamo “tra i filari”, e tutti all’opera con cestini e cesoie in mano, i protagonisti di questa iniziativa lodevole. La vendemmia nella tenuta di Paolo Calì, 15 ettari in contrada Vittoria.Pedalino, è appena entrata a regime. A raccogliere le uve di Nero d’Avola insieme a lui e alla sua squadra c’è anche un gruppo di ragazzi della comunità terapeutirca assistita di Comiso Andromeda. Alcuni di loro sono affetti da disagi psichici, altri stanno seguendo il programma di riabilitazione e inclusione lavorativa previsto dalla misura del carcere. Il progetto si chiama “Una Luce con la Vite” e propone un percorso che punta all’inclusione sociale alternativo ai canoni di riabilitazione tradizionali. Nasce in partnership con le comunità terapeutiche di Ragusa e Modica gestite dalla società Cafeo e dalla cooperativa sociale Onlus Antares e dal dipartimento di Salute Mentale di Vittoria e Modica. “E’ una grande opportunità quella offerta da questa pratica agricola – spiega una delle referenti, la dottoressa Giuseppina Turtula –. Una reale possibilità di vivere la normalità. Il contatto con la natura è importante per questi soggetti. Lavorare in vendemmia li porta a fare un percorso che reca grande soddisfazione. Non è un lavoro meccanico, nel frutto vedono il risultato di qualcosa che è stato seminato, che si è compiuto, e sono chiamati a prendere parte in prima persona nel processo di evoluzione”. L’entusiasmo è tanto e da parte di tutti. I ragazzi si alternano facendo un turno di quattro ore. “Sono felici, vedo la gioia nei loro occhi – racconta Paolo Calì –. Si è creato un bel legame tra tutti. Tengo a precisare però che questa iniziativa non vuole essere un aiuto caritatevole.  Alla fine cerchiamo di rispondere ad un bisogno, quello di trovare nel lavoro una sicurezza, quella certezza che poi tutti nella vita cerchiamo”. E soprattutto di questi tempi, aggiungiamo.

Il modo migliore, poi, per celebrare la decima vendemmia dell’azienda, come ci ha riferito il produttore. “L’idea di aderire ad un progetto del genere la covavo da un anno. Alla fine è combaciato con l’anniversario, non potevo desiderare di più per festeggiare. Si può aiutare la gente in tanti modi. E dare dignità ed una prospettiva a queste persone è l’ausilio più efficace ”. Finita la vendemmia, i ragazzi faranno tappa in cantina. “Vorrei mostrare loro  il processo che trasforma il frutto in vino – anticipa Calì -. Spiegare la vinificazione, gli strumenti che si impiegano, per far comprendere il valore di ciò che viene alla fine portato a tavola”.  

Manuela Laiacona