Produzione e commercializzazione stanno vivendo una importante fase di assestamento Soffre la Docg Taurasi, mentre continua la marcia trionfale della Falanghina
di Fabio Cimmino
Dopo gli anni del boom che hanno visto il moltiplicarsi ed il prolificare di cantine praticamente in tutte le province e denominazioni della regione (un fenomeno particolarmente significativo in Irpinia trainato dalle 3 Docg della provincia d’Avellino) la Campania del vino sta oggi vivendo un’importante fase di assestamento e consolidamento sia sul mercato nazionale che su quelli internazionali.
L’unica denominazione che sembra in diffcoltà e soffrire una congiuntura non del tutto favorevole è proprio la più antica e nobile delle Docg campane: il Taurasi. Può apparire come una contraddizione ma proprio nel momento in cui questa denominazione sembra aver trovato la più riuscita e felice combinazione di tutti i suoi elementi produttivi, regalando vini finalmente specchio ed esaltazione del territorio, sul fronte della commercializzazione ha incontrato ostacoli crescenti a frenarne una ancora più larga diffusione e, dunque, la definitiva consacrazione. Risolti i problemi “d’identità”, vecchi e nuovi interpreti sembrano ormai in grado di garantire prodotti impeccabili dal punto di vista realizzativo, spesso non privi di una spiccata personalità, capaci di riflettere nel bicchiere le caratteristiche varietali dell’aglianico taurasino declinato attraverso le specificità dei diversi terroir, il fattore prezzo rappresenta adesso, un crocevia di cruciale importanza per definire le future strategie e, probabilmente, il destino dell’intera denominazione.
Nel frattempo continua la marcia trionfale della Falanghina, dell’affermazione sempre più convinta del Fiano di Avellino e quella più lenta ma non meno efficace del Greco di Tufo. Fin qui l’Irpinia ma il successo non ha risparmiato, fortunatamente, tutte le altre province. La riscoperta di nuove e vecchie varietà d’uva locali hanno portato alla ribalta anche denominazioni meno conosciute al grande pubblico. Da un lato appetibili nicchie di mercato, dall’altro la forza di numeri di tutto rispetto. Basti pensare alla Costiera Amalfitana, vera e propria enclave archeoenologica, con i suoi ceppi centenari e i suoi vitigni “minori” sempre più apprezzati dalla critica e dagli appassionati, stessa felice sorte toccata in provincia di Caserta al pallagrello e al casavecchia come nell’ aversano all’asprinio.
Sul fronte opposto Cilento e Beneventano hanno sfruttato l’onda lunga dell’improvvisa notorietà acquisita da alcuni vitigni per giocarsi la carta dell’autoctono e supplire, in questo modo, al minor appeal territoriale, con numeri, però, decisamente più rilevanti, incisivi e pesanti sulla bilancia degli scambi in termini di bottiglie prodotte. Insomma un panorama quanto mai variegato in grado di offrire (dove) qualità e (dove) quantità. Senza trascurare il fascino e l’accoglienza di un sistema di cantine a conduzione, prevalentemente, ancora familiare. Di una produzione dall’impostazione artigianale senza rinunciare al giusto contributo di conoscenze e strumenti innovativi messi a disposizione dalla più moderna scienza enologica. Vini, in questo senso, moderni ma senza eccessi strizzando l’occhio al mercato senza dover tradire o rinnegare le proprie radici e la tradizione. Una ricchezza ampelografica unica da far invidia da sola all’intera Francia: asprinio, piedirosso, falanghina, aglianico, greco, fiano, tintore, coda di volpe, biancolella, forastera, ginestra, catalanesca, olivella, caprettone, pallagrello, casavecchia, … Una lista interminabile fatta non di soli nomi ma di vini tornati affidabili che non deluderanno le aspettative di originalità e fascino.
Ce n’è per tutti i gusti, insomma, basta avere un po’ di sana curiosità e la pazienza di saper cercare in profondità e non fermarsi in superficie. Ma soprattutto per chi ha la possibilità e il tempo di camminare le vigne quella di venire a scoprire i mille volti della produzione enologica campana vivendo in presa diretta la magia dei luoghi tra mare, colline e montagna, senza soluzione di continuità, le testimonianze della storia, i capolavori d’arte e, perchè no, l’imperdibile e sterminato elenco di prelibate preparazioni gastronomiche. Ecco il mio augurio e la mia speranza per questo Vinitaly 2012 è che questa edizione possa essere un’occasione propedeutica per un primo approccio non solo alla Campania del vino ma a tutto l’inesauribile patrimonio culturale di un’intera regione.