Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 14 del 21/06/2007

IL CIBO DEGLI ALTRI: Iran, picnic con kebab

21 Giugno 2007
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    IL CIBO DEGLI ALTRI


Le pietanze vengono consumate su tappeti riccamente imbanditi. Si comincia da frutta e dolci per finire con gli stufati e la carne di montone cotta su su spiedi lunghi come spade

Iran, picnic con kebab

Marcella Croce ha insegnato italiano presso l’università di Isfahan (Iran) dal 2003 al 2005 ed è autrice del libro ‘Oltre il chador – Iran in bianco e nero’ Medusa Milano 2006. Per leggerne alcuni capitoli o vedere la trasmissione “Le Storie” del 18 aprile, quando è stata ospite di Corrado Augias, collegarsi con il sito: http://oltreilchador.googlepages.com/>


oltre_il_chador.jpgMan mano che si avvicinava l’estate sempre più numerosi erano gli iraniani che vedevo uscire da casa con il loro bravo tappeto sottobraccio per il picnic tradizionale. Un tempo limitato a questo periodo, oggi ha gran successo tutto l’anno, la passione è tale che alcuni sono capaci di imbandire tappeto e tovaglia (sofreh) perfino sulla neve.
Sulla neve o sul prato, non manca nulla, ci sono tutte le comodità, compreso il fornello a gas per cucinare o riscaldare il cibo. Stoviglie e bicchieri sono proprio quelli di casa, e il cerimoniale è identico a quello osservato ad ogni pasto entro le mura domestiche: si inizia sempre con dolci e frutta, dei quali gli iraniani sono voracissimi consumatori e per i quali ogni commensale riceve apposito piatto e coltellino. Si continua con sottaceti casalinghi, frutta secca (soprattutto pistacchi e noci) e stuzzichini vari (ajeel): i negozi locali ne forniscono amplissima e ottima scelta. Si passa poi alle erbe selvatiche (sabzeh) che si mangiano crude con pane, noci e formaggio, e infine al riso e alle pietanze vere e proprie, dette koresh, cioè stufati. La cucina iraniana casalinga offre un’eccellente varietà, che purtroppo non esiste affatto nei ristoranti, dove i menu sono estremamente monotoni.
Sulla sofreh ovviamente manca il vino; quello di Shiraz, un tempo famoso in tutto il mondo per essere stato cantato nei versi di Omar Khayyam, lo si può ancora trovare solo in occidente, confinato all’enoteca di qualche raffinato intenditore. A qualunque ora del giorno avvenga, il picnic è invece innaffiato da enormi quantità di tè, trasportato in loco e tenuto caldo per ore: questo sicuramente dev’essere il paese con la più alta concentrazione pro capite di thermos al mondo.
In spagnolo c’è un termine diverso per ogni tipo di prosciutto, in America si abboffano di carne nelle steak house, in Brasile affogano nel rito tribale del churrasco, in Sud Africa usano la carne secca (biltong) come chewing gum. Tutte società carnivore in cui non c’è molto posto per i vegetariani, noi italiani lo eravamo un tempo, quando la celebre dieta mediterranea non era una scelta ma segno di povertà. In Iran, quando il picnic avviene fuori porta, che lì equivale a dire nel deserto del loro rude altipiano, gli istinti primordiali si scatenano nel rito del kebab, che vengono arrostiti su spiedi lunghi come spade. Ma non ero fra i cowboys del Woyming, e nemmeno fra i ranchers del Sud Africa, ed era quasi impossibile incontrare una persona che non lasciasse intuire in sé qualcosa dell’anima e dell’antica cultura iraniana.

Marcella Croce