Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Numero 114 del 21/05/2009

IL PRODOTTO Grasso che gola

21 Maggio 2009
mortadella mortadella

IL PRODOTTO

Viaggio nel mondo della mortadella Igp. Ecco i segreti sulle tecniche di produzione che la rendono famosa in tutto il mondo. Colesterolo? Non più di un’orata di allevamento. Sottile o a cubetti? Il Consorzio: la sostanza non cambia

Grasso che gola

Una tentazione irresistibile, proprio come una bella donna. Ti stuzzica col suo colore rosa vellutato, con quelle perle di grasso incastonate qua e là, t’inebria col suo profumo leggero ed aromatico finché, a lei, sua maestà la mortadella, non puoi far altro che cedere.

Si scioglie in bocca, mantiene tutto ciò che ha promesso e ti conquista. Grassa e piena di colesterolo? Non più di una spigola o di un’orata di allevamento: contiene infatti soprattutto acidi grassi monoinsaturi (i migliori per il nostro organismo) e un etto di affettato fornisce circa trecento calorie e settanta milligrammi di colesterolo. Tagliata sottile o a cubetti, sembra essere piuttosto questo il vero dilemma. Ma a sentire quelli del Consorzio Mortadella Bologna Igp (che riunisce trenta aziende produttrici) si tratterebbe soltanto di una questione formale, di praticità, che non cambia nulla alla sostanza: i cubetti vengono di solito utilizzati durante gli aperitivi semplicemente perché sono più comodi.
La Mortadella Igp (il marchio è stato riconosciuto nel 1998 per valorizzarla e difenderla da imitazioni) viene prodotta  esclusivamente in un territorio compreso tra Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, provincia di Trento, Toscana, Marche e Lazio. La tecnica è unica al mondo: si parte da carni selezionate (e trattate secondo un disciplinare europeo) che vengono triturate più volte e ridotte a un’emulsione cremosa. A parte si preparano i cubetti di grasso, quello di gola, il più pregiato (ogni fetta dovrà contenerne almeno il quindici per cento). Si mescola il tutto e si insacca in forme cilindriche o ovali che vanno da pochi grammi fino a venti quintali e si cuoce con stufe ad aria secca (per poche ore o diversi giorni). È questo il momento più delicato, quello che definirà l’aroma e la morbidezza del prodotto. Si conclude con una docciatura con acqua fredda e una sosta in cella di raffreddamento per “stabilizzare” l’insaccato. Vietata l’aggiunta di polifosfati, coloranti e proteine del latte. Un’antica ricetta, perfezionata nei secoli, che si fa risalire addirittura all’epoca romana (il nome deriverebbe dal latino “mortarium”, il mortaio usato per schiacciare la carne di maiale).
Un sapore, quello della mortadella, che piace. In tutto il mondo. Persino negli Usa, che un tempo non le facevano passare la dogana (neanche se a trasportarla era Sofia Loren) per non meglio definiti “rischi di carattere sanitario”. E lo dimostrano i dati forniti dal Consorzio: nel 2008 le vendite sono aumentate dell’1 per cento (33.700 tonnellate), con un valore al consumo di circa 375 milioni di euro. A tirare è soprattutto l’affettato (+14,7 per cento rispetto al 2007): ben 28 milioni le confezioni di Mortadella Bologna vendute l’anno scorso. E l’export è cresciuto dell’8 per cento, con cinquemila tonnellate di prodotto che hanno varcato i confini nazionali.

Sandra Figliuolo