Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
Scenari

Federalimentare e rappresentanti dei ministeri ad un tavolo tecnico su export e tutela del Made in Italy

04 Luglio 2013
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Un percorso di diplomazia economica per tutelare il Made in Italy.

Federalimentare i rappresentanti delle associazioni aderenti, i rappresentanti dei ministeri degli Affari Esteri, dello Sviluppo Economico, della Salute, delle Politiche Agricole e Alimentari e l'Ice si sono riuniti per mettere in piedi un piano per sostenere l'industria alimentare italiana, una realtà che conta 6250 aziende con più di 9 dipendenti, che vale un fatturato di 130 miliardi di euro, e che oggi sopravvive anche grazie all'export (nel 2012 ha fatto toccare i 25 miliardi di euro). I protagonisti del comparto e le istituzioni hanno deciso di mettersi attorno ad un tavolo per definire le azioni dirette a rendere l'Italia ancora più competitiva nello scenario internazionale. Anche se la crescita dell'esportazione registrata nei primi quattro mesi del 2013  è stata dell'8%, con il vino e aceto  in testa ( il 21% sul paniere che va oltreconfine), ancora incide sul fatturato totale del 19%, una percentuale inferiore rispetto all'export della Germania, della Francia e della Spagna, tra il 22 e il 29%. 
 
All'unanimità si è dichiarata la priorità di assicurarsi il presidio nei Paesi emergenti ed extra UE dove si è registrata la crescita più significativa del brand nazionale. Le variazioni percentuali 2012/2011 registrate in Medio Oriente sono state negli Emirati Arabi Uniti del +39,5%, in Arabia Saudita del +30,5% e Turchia  del +13,9%. In Estremo Oriente, la Thailandia si conferma lo sbocco principale con il +50,6%, e a seguire India con il +22,8%, Corea del Sud con il +22,5%,  Giappone con il +20,5%, e Cina e Hong-Kong con il +20,2%. “Importanti” anche i risultati ottenuti in Messico (+32,5%), Ucraina (+18,5%), Brasile (+7,3%) e Russia che si rivela in piena ripresa (+5,8%). E parlando di export si è discusso sulle barriere protezionistiche, molte delle quali di tipo sanitario. In Australia, per esempio, da 6 anni è ammessa l' esportazione di prosciutto crudo disossato, e sono vietate le esportazioni di salumi cotti e prodotti a breve stagionatura. In Brasile, dove l’export dal 2000 è praticamente raddoppiato (+99%), vini e spiriti sono soggetti ad analisi di controllo al momento dell’importazione, che possono bloccare la vendita delle bottiglie anche per un anno.  La Cina vieta l’importazione di prodotti alimentari freschi come ortofrutta o carni bovine e suine; in Thailandia, il divieto di pubblicità per le bevande alcoliche ostacola l’attività promozionale dei nostri vini. Negli Emirati Arabi Uniti c’è l’obbligo di certificazione di macellazione halal per le carni bovine e il pollame. In Turchia vige un embargo su tutta la carne bovina proveniente dall’UE. In Russia, incertezze sulle normative per l’importazione dovute all’unione doganale con Bielorussia e Kazakistan e parametri di riferimento diversi da quelli comunitari stanno creando non poche difficoltà alle carni lavorate, ai gelati e al settore lattuero caseario. In Giappone, grava il divieto di importare carne bovina italiana o frutta fresca, a parte le arance tarocco. Il Canada, con il suo obbligo di arricchimento con sostanze vitaminiche di tutta la farina bianca ha di fatto “dichiarato guerra” all’import di panettone, pandoro e altri lievitati da ricorrenza made in Italy.

“Tra le proposte che abbiamo portato sul “tavolo internazionalizzazione” – ha dichiarato Luigi Scordamaglia, Delegato di Federalimentare all’internazionalizzazione e Membro del CdA ICE-  “desideriamo sottolineare la necessità di eliminare ogni pretesto per le barriere non tariffarie anche attraverso un maggiore coordinamento delle Amministrazioni italiane coinvolte; è inoltre fondamentale concludere accordi di libero scambio (ridurre/eliminare i dazi), rafforzando il ruolo dell’Italia nei negoziati bilaterali; reputiamo strategica la creazione di una cabina di regia tecnica per l’export finalizzata anche ad evitare la dispersione di risorse oggi esistente; così come la strutturazione di linee di credito adeguate per le imprese che esportano e la qualificazione della nostra presenza all’estero: dai desk anticontraffazione all’Addetto agroalimentare. Ma dobbiamo soprattutto facilitare la creazione di piattaforme distributive con sinergie tra Grandi Imprese e PMI, unica soluzione per assicurare sui mercati emergenti la distribuzione delle nostre eccellenze alimentari”.

Tema caldo affrontato dal tavolo tecnico, la tutela del Made in Italy. Per quanto riguarda contraffazione e dell’italian sounding, il giro di affari del falso italiano  che pesa sulle potenzialità dell0 export per oltre 60 miliardi di euro (6 mld di contraffazione e 54 mld di italian sounding), quasi 3 volte il valore dell’export annuo. Fenomeno che raggiunge livelli macroscopici (24 miliardi circa) sui mercati più ricchi, come quello nord-americano (Usa e Canada) e nei paesi (Messico, Brasile, Australia, Russia, Nuova Zelanda, Turchia) dove le comunità italiane sono più radicate e l'emigrazione è stata più massiccia. L’ultima frontiera del falso made in Italy è il cosiddetto fenomeno “look-alike”, legato all’imitazione e in particolare alle private label prodotte per la Gdo: confezioni che nella forma, nei colori, e nei materiali richiamano il brand del leader di mercato.

Così Filippo Ferrua Magliani, Presidente di Federalimentare: “L’istituzione di un tavolo per l’internazionalizzazione mette nuovamente l’industria alimentare al centro del Sistema Paese: il suo obiettivo è difendere e promuovere i nostri marchi ed il Made in Italy alimentare nel mondo, in primis favorendo gli accordi per ridurre veri e propri ostacoli protezionistici come le barriere non tariffarie, spesso strumentalmente a carattere sanitario; ma anche attraverso lo sviluppo degli investimenti promozionali all’estero – per i quali sarebbe auspicabile la deducibilità –  per combattere contraffazione e italian sounding Un’iniziativa che, in un momento di persistente stagnazione dei consumi interni, ci fa guardare con rinnovato ottimismo alle potenzialità di sviluppo del secondo settore manifatturiero italiano che ha iniziato l’anno con un +8,6%.”