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Scenari

Microbirrifici artigianali, quanto è difficile fare impresa

09 Luglio 2023
Bicchiere di birra Bicchiere di birra

Birra artigianale italiana: un movimento dai molti e differenti aspetti; per questo affascinante e contraddittorio. Ad esempio miracoloso, da un certo punto di vista, per la rapidità e l’entità della propria crescita dimensionale: dal niente, negli anni ’80 del secolo scorso, ai 1951 marchi attivi censiti nel giugno scorso (a inizio mese), sui registri di microbirrifici.org (sorta di anagrafe nazionale delle attività operanti nel comparto). E dunque quel che si può ben definire un “fenomeno”. Ma, d’altra parte, anche un tessuto che si rivela relativamente poco stabile, a fronte di un dato, quello delle chiusure aziendali (nel medesimo arco temporale), pari per l’esattezza a 563: valore che, rapportato al totale delle aperture, ossia 2.084, fissa il tasso di mortalità, tra le imprese del settore, alla non irrilevante quota del 27,01%. Numeri soppesando i quali è lecito interrogarsi sui fattori di fragilità del sistema: certamente quelli legati al contesto generale (il peso della fiscalità, gli alti costi di produzione, i bassi livelli di consumo in un Paese che sorseggia pinte in una misura di poco superiore ai 30 litri pro capite l’anno); ma, accanto a questi, va forse considerata anche la parziale debolezza di una cultura imprenditoriale che, tra gli “attori” del settore, dovrebbe rafforzarsi e perfezionarsi. In sintesi: è sensato chiedersi se i microbirrifici abbiano un problema con il “fare impresa”? Per provare a rispondere, abbiamo rivolto la domanda a uno di quegli attori: il quale, nel suo caso, i conti ha dimostrati di saper farli tornare, eccome; tanto che il suo marchio artigianale gode di ottima salute, viaggiando su volumi annui di birra “sfornata” pari a circa 10 mila ettolitri. Parliamo di Giampaolo “Giampa” Sangiorgi, cofondatore nel 1996, e attuale contitolare, del marchio Lambrate.

RIGORE NELLA GESTIONE
“Dall’apertura in avanti – spiega Sangiorgi – abbiamo camminato lungo una curva di crescita sostanzialmente continua. Risultato possibile, anzitutto, gestendo il nostro organico con chiarezza di obiettivi: con una dimensione commisurata al fabbisogno reale, nel corso del tempo (oggi, ad esempio, siamo in una quindicina di persone); e con una suddivisione precisa delle mansioni in base alle competenze: sala cotte, amministrazione, conduzione dei locali di proprietà con tutte le loro funzioni, dalla cucina all’animazione. Un modus operandi il cui profilo, lo capisco, può sembrare in conflitto con l’immagine che ci siamo sempre dati: allegra, informale… anche “caciarona”, via. Ma si tratta di una contraddizione apparente: nella vita (anche imprenditoriale) si può essere gente che si concede al ‘piacere della baraonda’, quando è il caso; e che, quando invece serve lucidità, fa funzionare il cervello”. Per esempio in fatto di amministrazione. “A proposito di questo – prosegue Sangiorgi – le botte prese durante la pandemia, e i conseguenti pensieri avuti in quel periodo, ci hanno insegnato molto. È stato il punto di svolta dopo il quale abbiamo adottato una politica di contabilità basata sulla combinazione tra scontistica e richiesta di pagamenti immediati; quando invece, prima di allora, ci eravamo attenuti alla consuetudine diffusa di concedere ai clienti la possibilità di “rientrare” a 30, 60 e magari anche 90 giorni. Una tenuta del bilancio che va bene per i giochi da tavolo. Tanto più che con i creditori, al contrario, abbiamo sempre saldato a scadenza puntuale. Ne dico una: per l’utilizzo del nostro logo, versiamo mese per mese quanto dovuto al fornitore della prestazione intellettuale. Regolarmente, senza sgarrare”.

IL CONTROLLO SULLA QUALITÀ DEL PRODOTTO
Altro capitolo fondamentale, la stabilità del prodotto. “Esattamente: anzitutto nel profilo qualitativo generale – sottolinea Sangiorgi – e poi anche nelle caratteristiche organolettiche specifiche. Una birra dev’essere gradevole, prima cosa, e poi riconoscibile, da parte di chi la beve, ogni volta che la beve. Tutti noi del settore “micro” siamo innamorati della dimensione artigianale come scelta di vita: ma “artigianale” non è buono a prescindere”. Certo, sulla questione del profilo sensoriale incide anche il ruolo di altre figure della filiera, come i distributori e i somministratori, cioè i gestori dei locali, i publican . “Non c’è dubbio – annuisce Sangiorgi – I requisiti di competenza, coscienza e accuratezza spettano, o dovrebbero spettare, sia a chi confeziona un prodotto sia a chi lo tratta. Insomma, la formazione specifica è una faccenda cruciale: tanto quanto la dotazione in attrezzature (parlo di celle fredde, mezzi di trasporto climatizzati e via dicendo); perché poi quelle attrezzature bisogna saperle usar bene e garantirne la buona manutenzione: basti pensare a quanta attenzione richiede un impianto di spillatura. Noi, sotto questo profilo, cerchiamo di avere un dialogo costante con i nostri clienti: se necessario di catechizzarli, in un’interlocuzione per quanto possibile davvero “testa a testa”. Ed è un impegno costante: a me personalmente è capitato di avere a che fare con i proprietari di locali che tenessero i nostri fusti in stanze con temperature a 30 o 40 gradi. Allo stesso modo, nei distributori (e non nego che ultimamente abbiamo sfoltito parecchio su questo fronte) cerchiamo garanzia di trasporto rapido, refrigerato e scrupoloso. Garanzia che, a sua volta, va verificata giorno per giorno, sviluppando un contatto continuativo”.

I RISVOLTI DELLA COMUNICAZIONE
E agganciandoci proprio a quest’ultimo aspetto evidenziato da Sangiorgi (ovvero quello di un dialogo costante tra il birraio e quanti hanno con lui un rapporto commerciale), andiamo a toccare il tasto, articolato, della comunicazione. “Articolato e aggiungerei complesso – dice – Nella stessa rete di relazioni con gli operatori della vendita, ad esempio, è ineludibile un’attività di raccolta dei riscontri sul prodotto forniti dai publican, per poi incrociare quelle indicazioni con il monitoraggio sulla funzione svolta dai distributori. Ecco, già solo questo è un lavoro: un lavoro molto impegnativo, al quale dedichiamo una bella fetta delle nostre forze in ufficio. E questa non è che una parte delle esigenze di comunicazione nella loro globalità. Perché è chiaro come, in un contesto sociale quale l’odierno, in cui si è bombardati di informazioni, risulti indispensabile intervenire con uno sforzo, appunto nella veicolazione dei contenuti, che dev’essere permanente e ben calibrato. L’impiego di strumenti come il sito internet o i social può essere molto incisivo, a condizione che ci siano le professionalità per renderlo tale; noi abbiamo investito su questo fronte: se dovessi stimare il livello di efficacia raggiunto, in rapporto a un massimo potenziale teorico del marchio Lambrate, direi comunque che siamo attorno al 50%”. Infine, ulteriore sfaccettatura del tema-comunicazione, quello relativo all’affermazione della specificità del prodotto artigianale; della sua precisa identità, insomma, anche e soprattutto per difenderla da quel gioco ‘a mischiare le carte’ messo in atto dalle realtà industriali attraverso i loro prodotti che gli osservatori definiscono “crafty”: ovvero etichette capaci di presentarsi in una veste “tinteggiata di artigianalità”, mediante un abile uso dei messaggi di accompagnamento, delle grafiche e di tutte le prerogative che ne stabiliscono, presso il consumatore, la percezione d’impatto. “Un’offensiva di mercato – è l’opinione di Sangiorgi – di fronte alla quale il singolo microbirrificio non è in grado di rispondere efficacemente, con le sue sole forze. Per difendersi e reagire adeguatamente occorrerebbe, anche qui, investire di più, ma soprattutto in termini di sostegno alla nostra associazione, Unionbirrai. Muovendosi in termini corali, consentendo magari di integrare ulteriore personale specializzato, così da perfezionare un presidio comunicativo (e anche di tutela legale) in termini collettivi, di sistema”.