Ogni edizione della lista Top 100 di Wine Spectator funziona un po’ come il “millesimo” per gli Champagne: offre una fotografia di quella annata, di quella precisa vendemmia.
Nel caso della classifica dei migliori 100 vini al mondo, il magazine statunitense con sede a New York offre uno scatto nitido dell’orientamento del mercato e del gusto internazionale, mettendo in fila scelte che non sono affatto casuali.
Quali? Un condensato del gusto di un’epoca, del mercato che cambia, della reperibilità, del prezzo e tutte quelle confortevoli certezze – emozioni comprese – capaci di convincere il pubblico della concordanza tra storia e moda.
L’edizione 2025 non sembra sfuggire a questa logica e, anzi, pare amplificarla in un modo più profondo. In cima alla classifica (che trovate qui) torna la Francia con un Margaux, Château Giscours 2022, un primato che ritrae un rientro a casa dopo aver percorso lunghi sentieri. Gli ultimi dieci anni, poi, hanno portato in vetta Napa, Toscana, Rioja, Cile, e persino Bolgheri, e tutti ad un primo sguardo puntano ad un voluminoso concetto del vino.
Dunque chi o cosa premia la Top 10, qual è l’idea? Potrebbe sembrare una gara tra paesi, ma non lo è. Basta scorrere la lista dei nomi degli ultimi dieci anni per rendersene conto: fatta eccezione per uno Chardonnay, sono rossi strutturati, potenti, da invecchiamento, con una spessa carica narrativa e una evidente riconoscibilità stilistica. Persino la California e Montalcino sembrano avere qualcosa in comune, e il messaggio ricorrente è quello che punta alla memoria del gusto, più che al viaggio o alla semplice bevuta.
Guardando indietro, dal Sassicaia 2015 a Dominus 2018, dal Castillo Ygay 2010 al Don Melchor 2021, da Château Léoville Barton 2016 al Dow’s Vintage Port 2011, Wine Spectator ha premiato vini che provengono da territori diversi. Ma il filo conduttore è quello del grande rosso strutturato, costruito per il tempo e sostenuto da un vissuto affidabile e referenziato.
In questo quadro il primo posto del 2025 non sorprende: Bordeaux non rientra in scena, semplicemente si riappropria di una posizione naturale. Non una scelta nostalgica, ma la conferma di una continuità che la rivista americana segue con matematico puntiglio.