La forza di sopravvivere e per questo anche quella di raccontare una storia. Forse è questo il pregio dei Piwi, il cui acronimo sta per “viti resistenti ai funghi”, incroci naturali tra vinifere europee e altre viti di origini americane e/o asiatiche e che per questo loro stesso senso di resilienza sembrano resistere pure nel tempo e nello spazio.
Anche a quegli enclave climatici ameni alla viticoltura. Come Avola, Tabenuca (pochi chilometri da Barcellona) e Meggen, luoghi questi fuori dalle rotte certe della grande viticoltura con in comune solo un clima umido, siccità e temperature quasi da deserto. Eppure, per chi ci vede difficoltà qualcun altro ci ha visto, invece, una possibilità, come la famiglia Breitschmid-Heiniger di origini svizzere.
“Un gioco nato nel 2003 per promuovere un’agricoltura bio-diversa” dice Nora Breitschmid seconda generazione della famiglia. Ed è così che è nato, allora, il progetto Palmieri che oggi conta tre cantine proprio in questi luoghi considerati “ameni” ai più tra Italia, Spagna e Svizzera. Erika e Ueli Breitschmid-Heiniger, i suoi genitori, volevano continuare la tradizione di famiglia, che da sempre li aveva visti con le mani nella terra e Sitenrain è stata allora la prima occasione, una piccola azienda a Meggen, pochi passi dalla vicina Lucerna.
“Era il 2003 quando i miei genitori si sono innamorati di questa piccola collina a nord delle Alpi, la nostra è una fattoria circondata da un lago e attorno tanto orto e filari” con l’intenzione, quindi che è sempre stata di creare un giardino di viti “in totale accordo con la natura” continua Nora. Questo vuol dire rispetto non solo a parole, ma soprattutto nei fatti, con il rischio di grandinate che possono distruggere un intero raccolto se non trattate a sufficienza magari con fitosanitari, o con il pericolo di malattie se non si corre ai ripari con forme di trattamenti preventivi.
Come fare per conciliare le parole alle azioni? Piwi. Ecco la risposta. Così cinque ettari e poco più oggi sono coltivati con vitigni resistenti come Solaris, Souvignier Gris, Divino, Maréchal Foch e Cabernet Cortis. Viti artificiose solo nei loro nomi perché nei fatti non hanno nulla di costruito, non sono “creati in laboratorio ma sono frutto di prove e innesti in vigna e quindi cugini di primo grado di tutti gli altri vitigni iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite”.
“Per la peronospora o l’oidio è necessario trattare molto meno o per niente, il che protegge l’ambiente e non impatta sull’ecosistema”. La Svizzera ci ha sempre creduto nei Piwi e oggi la superficie dei vitigni resistenti ai funghi è attualmente di poco superiore a 500 ettari, pari al 3,5% della superficie totale, con una forte crescita nella Svizzera tedesca, soprattutto a Lucerna, dove rappresenta il 40% dell’intera superficie vitata. Da Sitenrain con i Piwi si arrivano a creare fino a sei etichette.
“Abbiamo quasi 30.000 viti, che curiamo a mano e dalle uve raccolte produciamo principalmente vini bianchi, ma anche vini rossi e spumanti”. Come il 100% Solaris AOC Lucerna, un vitigno aromatico selezionato nel 1975 presso l’Istituto statale per la viticoltura di Friburgo. “Le nostre viti più vecchie hanno 19 anni” con una vendemmia manuale alla quale segue poi in cantina una fermentazione in acciaio “e in parte in barrique francesi della Borgogna”.
E il sorso? Con quel potenziale che dimostra quanto i Piwi non hanno nulla da temere per la produzione di vini di alta qualità.