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Vino e dintorni

Spesso gli italiani bevono male lo Champagne. Alcune istruzioni per berlo (bene)

20 Dicembre 2025
Una flûte di Champagne Una flûte di Champagne

Dalla flûte al tavolo: perché in Italia lo Champagne viene spesso consumato come un simbolo e non come un vino

C’è una verità che va detta con chiarezza, anche a costo di sembrare impopolari: in Italia lo Champagne viene spesso bevuto male. Non perché si scelgano bottiglie sbagliate — anzi, la curiosità e il livello medio di spesa sono cresciuti — ma perché lo si consuma ancora prigioniero di un equivoco culturale: Champagne uguale brindisi, fine pasto, festa comandata. Un ruolo decorativo, più che gastronomico.

Eppure lo Champagne è un vino a tutti gli effetti. Anzi, è uno dei vini più gastronomici del mondo, capace di dialogare con la cucina italiana come pochi altri. A patto, però, di sapere che Champagne stiamo bevendo e quando berlo. Bere Champagne «bene» significa capire stili, dosaggi, materia prima e struttura. E significa, soprattutto, abbinarlo con intelligenza, senza pregiudizi.

Il problema non è lo Champagne. Siamo noi.

Il modo in cui in Italia beviamo Champagne dice molto più di noi che del vino. Lo usiamo come simbolo, non come strumento. Lo stappiamo per celebrare, non per capire. Lo esibiamo più di quanto lo ascoltiamo.

Lo Champagne viene spesso servito gelido, in flûte strette come clessidre, scolato in piedi prima di sedersi a tavola o relegato al momento del brindisi finale, quando il palato è già stanco. Non è rispetto per il vino: è rituale vuoto. È consumo automatico, non scelta consapevole.

C’è un paradosso tutto italiano: siamo tra i popoli con la cultura gastronomica più profonda al mondo, ma quando si tratta di Champagne sospendiamo improvvisamente ogni criterio. Accettiamo che un vino complesso, stratificato, figlio di suolo, tempo e mano umana venga trattato come una bevanda neutra, intercambiabile, buona solo a fare scena.

Eppure nessuno servirebbe un grande Barolo ghiacciato. Nessuno berrebbe un Brunello in flûte. Con lo Champagne, invece, tutto è concesso. Perché non lo consideriamo davvero un vino: lo consideriamo un gesto.

Francesco Piccat

Finché continueremo a bere Champagne per quello che rappresenta e non per quello che è, continueremo a berlo male. Non perché manchino le bottiglie giuste, ma perché manca l’atteggiamento giusto. Bere Champagne bene non è una questione di lusso o di snobismo: è una questione di rispetto. Per il vino, per la tavola, e per la nostra stessa cultura gastronomica.

Pizza & Champagne

Infatti, anche con una Margherita lo Champagne non è un azzardo, ma una scelta logica. Un brut teso, a prevalenza Chardonnay, lavora in sintonia con il piatto: accompagna l’acidità del pomodoro, alleggerisce la cremosità della mozzarella e rende il morso più pulito e digeribile. L’importante è evitare stili troppo morbidi o dosaggi elevati, che rischierebbero di appesantire l’abbinamento. Qui serve uno Champagne da tavola, diretto, con qualche anno sui lieviti e senza un uso marcato del legno: meno effetto, più equilibrio.

Con una pizza più ricca, come una quattro gusti con prosciutto cotto, funghi, carciofi e olive, meglio cambiare registro. Qui funziona uno Champagne brut con una buona presenza di Pinot Nero, capace di reggere la sapidità del prosciutto e la componente vegetale senza perdere slancio. Da evitare invece Champagne troppo taglienti o eccessivamente secchi, che rischiano di irrigidire l’insieme. Serve equilibrio: corpo sufficiente, dosaggio misurato e una struttura capace di tenere insieme ingredienti diversi senza sovrastarli.

Tutti gli Champagne non sono uguali (e non vanno bevuti allo stesso modo):

Champagne Brut Nature / Pas Dosé (0 g/l)
È lo Champagne della tensione, della verticalità, della precisione. Nessun dosaggio a mascherare il vino: qui parlano il suolo, l’annata, la mano del vigneron.

Abbinamento ideale:
👉 Crudi di mare (ostriche, gamberi rossi di Mazara, carpaccio di scampo)
La salinità naturale del piatto e l’iodio incontrano l’acidità affilata e la mineralità del vino. Un abbinamento di sottrazione, dove tutto è essenziale. Non aperitivo «per tutti», ma Champagne da palato consapevole.

Champagne Extra Brut (0–6 g/l)
Più flessibile del Pas Dosé, ma ancora molto secco. È lo stile che più facilmente dialoga con la cucina italiana contemporanea.

Abbinamento ideale:
👉 Spaghetti alle vongole
La cremosità dell’amido, la sapidità del mollusco e l’acidità dello Champagne si equilibrano perfettamente. Le bollicine puliscono, la freschezza rilancia il boccone.

Champagne Brut (6–12 g/l)
Lo stile più diffuso, ma anche il più frainteso. Non è «neutro»: è semplicemente equilibrato. Ed è proprio questo equilibrio che lo rende estremamente gastronomico.

Abbinamento ideale:
👉 Risotto alla milanese
La rotondità del riso, il grasso del burro, la speziatura dello zafferano trovano nello Champagne Brut una spalla acida e cremosa insieme. Un abbinamento che funziona meglio di molti bianchi fermi.

Champagne Blanc de Blancs (100% Chardonnay)
È lo Champagne della finezza, della verticalità elegante, spesso giocato su note agrumate, floreali e minerali.

Abbinamento ideale:
👉 Pesce bianco al forno con patate e olive
La delicatezza del Chardonnay rispetta il piatto senza sovrastarlo, mentre l’acidità mantiene viva una preparazione altrimenti morbida. Perfetto anche con cucina ligure o mediterranea sobria.

Champagne Blanc de Noirs (Pinot Noir e/o Meunier)
Più corpo, più struttura, più vinosità. È lo Champagne che smonta definitivamente l’idea che le bollicine non possano accompagnare la carne.

Abbinamento ideale:
👉 Vitello tonnato
Un piatto di grande complessità: carne, salsa grassa, acciuga, cappero. Il Blanc de Noirs regge il confronto, amplifica l’umami e ripulisce il palato.

Champagne Rosé
Spesso relegato all’estetica, in realtà è uno Champagne di carattere, soprattutto nelle versioni a base di Pinot Noir.

Abbinamento ideale:
👉 Culatello di Zibello con pane caldo
La dolcezza della carne, la sapidità, il grasso: il Rosé risponde con frutto, struttura e una freschezza che rende il boccone infinito.

Champagne Millesimato
Qui entriamo nel territorio della complessità e del tempo. Sono Champagne che hanno bisogno di piatti all’altezza.

Abbinamento ideale:
👉 Coniglio alla ligure
Erbe aromatiche, olive, struttura delicata ma profonda: il millesimato accompagna senza schiacciare, aggiungendo profondità aromatica.

Champagne Extra Dry (12–17 g/l)
Il nome trae in inganno: è più morbido di un Brut. Spesso sottovalutato, ma molto utile a tavola.

Abbinamento ideale:
👉 Tortelli di zucca mantovani
La dolcezza del ripieno dialoga con il residuo zuccherino del vino, mentre l’acidità evita qualsiasi stucchevolezza.

Champagne Sec (17–32 g/l)
Raro sulle tavole italiane, ma interessantissimo con piatti tradizionali «di confine».

Abbinamento ideale:
👉 Parmigiano Reggiano 36 mesi
Il contrasto tra dolcezza del vino e sapidità estrema del formaggio crea un equilibrio sorprendente.

Champagne Demi-Sec (32–50 g/l)
Non è un Champagne «da dessert qualunque». È un vino che va capito e dosato.

Abbinamento ideale:
👉 Crostata di albicocche
Frutta, acidità e dolcezza si rincorrono senza eccessi. Perfetto anche con dolci da forno non troppo zuccherati.

Conclusione: bere Champagne bene è un atto culturale

Bere Champagne bene non significa berlo poco, né berlo solo nelle grandi occasioni. Significa sceglierlo consapevolmente, rispettarne lo stile e inserirlo nel contesto giusto. La cucina italiana, con la sua straordinaria varietà regionale, è forse uno dei terreni più fertili per lo Champagne. Ma solo se smettiamo di trattarlo come un semplice simbolo e iniziamo a considerarlo per ciò che è davvero: un grande vino da tavola.

*Il testo di quest’articolo è anche l’autore di un libro dal titolo “Champagne – Passato, presente e futuro di un vino leggendario”. Qui trovate la nostra recensione.