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L'intervista

“Brunello di Montalcino, emblema di un modello che funziona”, il presidente del Consorzio Bindocci spiega il perché

25 Febbraio 2014
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La parola bellezza è stato il tam tam degli ultimi giorni e delle ultime ore, dal palco del Festival di Sanremo all’oratoria di ieri di Matteo Renzi al Senato.

Ma a parte il fascino demagogico di questa parola, la bellezza  è il valore di cui si fa carico, concretamente, il Brunello di Montalcino che in questo caso diventa Brunello ‘per’ Montalcino. Quattro mila magnum annata 2010 contribuiranno ai lavori di ristrutturazione del Teatro degli Astrusi, tradizionale location settecentesca dell’Anteprima, chiuso per inagibilità dopo il crollo di una parte del tetto. Un’alternativa al reperimento contributi. Tre litri per ogni ettaro piantato a Brunello saranno destinati ad una vinificazione ad hoc e il vino verrà commercializzato in giro per il mondo sotto l’egida della Fondazione Etica di Montalcino. Non è la prima volta che la comunità dei produttori ilcinesi si mobilita e dimostra attenzione per il bene naturalistico e culturale del proprio territorio, ma è la prima volta che decide di produrre un Brunello con questo proposito. Il grande rosso etico è l'immagine con cui il presidente del Consorzio Fabrizio Bindocci ha voluto chiudere idealemente il sipario dell’Anteprima Benvenuto Brunello in una nostra intervista sulle problematiche del sistema vino italiano, sul modello ‘Montalcino’ e gli scenari attuali e futuri. 
 
La 2009 non è stata promossa a pieni voti dai giornalisti e critici che hanno partecipato all’Anteprima.
“Non è paragonabile alla 2006 o alla 2007 ma siamo convinti che ci darà le sue soddisfazioni. Già ai primi di febbraio ha ottenuto buoni riscontri, i nostri produttori sono stati in America,a New York e Chicago. La critica, da parte di sommelier e delle persone che si occupano dell’acquisto dei vini per conto dei ristoranti, è stata positiva. Rispetto alle altre annate è più elegante e i tannini sono più morbidi e ha una bella struttura. Il Consorzio ha poi il termometro della situazione con la consegna delle fascette, i contrassegni Docg con cui vengono chiuse le bottiglie e il numero di fascette già ritirate è un numero importante, significa che il vino sta girando”.
 
Durante l’Anteprima è stata dichiarata la nuova formazione che andrà al governo, ha condiviso l'incarico che Renzi ha dato a Maurizio Martina?
“Come ministro che rappresenta l’Agricoltura ci vorrebbe un tecnico realmente preparato come De Castro, una personalità nel campo che conosce il vino, l’agricoltura e la legislazione che può realmente aiutare perché sa le leggi. Cosi, continuando ad avere un ministro dell’agricoltura politico e continuando ad avere cambiamenti continui non si fa altro che creare grossi problemi. Ci sarebbe la necessità di snellire leggi e burocrazia, chiediamo sempre le stesse cose da anni: leggi chiare, comprensibili. Citando le parole del sindaco Franceschelli, non è possibile che per fare uno scasso in vigna a Montalcino si debba fare una pratica edilizia. Siamo all’assurdo. Nel panorama del buon governo italiano non avrei visto male Oscar Farinetti ministro dell’Agricoltura”.
 
Le quotazioni della terra a Montalcino hanno toccato i 600mila euro e siete il vino più conosciuto al mondo, rappresentate un modello che funziona.
“Il Brunello di Montalcino è quello che è perché siamo stati tuti lungimiranti, è rimasta una denominazione di 2100 ettari a vigneti con 8, 9 milioni di bottiglie. Se avessimo concesso, come succede in Australia o in America, la possibilità di piantare vigneti la denominazione sarebbe cresciuta enormemente con problemi di venditasul mercato. Poi abbiamo come protettore San Brunello! Ho iniziato a lavorare nel ’76 a Tenuta il Poggione e già allora l’azienda produceva 70mila bottiglie, e c’erano molti operati che stavano relativamente bene, certo non come oggi. Nel tempo a Montalcino non è cresciuto solo il benessere dei proprietari, c’è stato un cambiamento importante sulla qualità della vita e sugli stipendi. Questo è stato il frutto di determinate scelte. La nostra formula è stata la riduzione della resa per ettaro. C’è una frase che cito sempre come insegnamento, la disse Enzo Ferrari: “Produco macchine, una in meno di quanto ne chiede il mercato”. Noi abbiamo deciso di fare lo stesso. E questa si è rivelata la strategia vincente e lo sarà per i prossimi anni. Abbiamo anche pensato ai mercati esteri in tempi non sospetti. Oggi destiniamo il 70% della produzione all’estero, e in momenti difficili continua ad esserci un trend positivo”.
 
A proposito di Australia, sono tanti i Nuovi Paesi del vino che stanno conquistando velocemente quote nel mercato internazionale, l’Italia per il retaggio che vanta avrebbe potuto iniziare la corsa molto tempo prima.
“Sono Paesi forti nel marketing e i loro governi li aiutano. Se pensiamo al classico confronto con i cugini d’oltralpe, quando andiamo a fare le manifestazioni l’Italia si presenta come un’armata Brancaleone, le denominazioni si muovono ognuna per conto proprio. Invece si parla di denominazione e sistema Francia sotto un unico ombrello, hanno la Sopexa e sovvenzioni dallo Stato, da noi non esiste un ente che mette insieme tutte le denominazioni”.
 
Non avete mai pensato voi come Consorzio a coinvolgere gli altri e a chiedere una Sopexa italiana?
“Ci abbiamo provato, però in Italia avere appuntamenti con gli interlocutori istituzionali è difficile. Ci sono tempi biblici per una richiesta banale, figuriamoci! Le risposte non arrivano mai o molto lentamente. Cito un esempio. Recentemente abbiamo espresso il dissenso sulla legge europea che ammette come tappo di sughero un tappo con il 40% di esso e chiesto chiarimenti sull’interpretazione, abbiamo dovuto attendere  tre mesi per sentirci dire che bastava procedere con una modifica del disciplinare. Le cose in Italia sono difficili, è difficile muoversi”.
 
Sta aumentando il numero degli investimenti stranieri nel settore agricolo e rurale italiano, a Montalcino avete riscontrato questa  tendenza? Dato il valore che ha acquisito il vostro territorio alcuni produttori temono che in futuro a investire da voi saranno solo i ricchi stranieri.
 “A noi non spaventa l’investitore straniero. Se rispetta il rigore delle regole di tutela del territorio, il disciplinare, può solo portare benefici. Dobbiamo prima di tutto noi volere che lo straniero non snaturi il territorio, siamo noi i primi custodi. Poi. la denominazione è chiusa, blindata, rimane a 2100 ettari”.
 
Come far ripartire il mercato del vino in Italia?
“Stiamo riscontrando che va bene l’acquisto diretto in cantina. Molti ci ordinano il vino per stapparlo in casa. Si va meno al ristorante. Stanno cambiando le abitudini di consumo. Questa è una strada, la gente preferisce rinunciare alla cena fuori ma non ad una bottiglia da condividere. I ristoratori, anche se comprendo le enormi difficoltà che vivono, dovrebbero andare incontro al consumatore e fare la loro parte nel rilancio dei consumi insieme a tutti gli altri attori del mercato, compresi noi produttori”.

Passando sul personale, ha solo il Brunello nel cuore? Ci dica la verità.
“Ho anche tanti altri vini. La mia cantina privata conta 1200 bottiglie, ci sono Chianti, Montepulciano d’Abruzzo e tantissime altre denominazioni. Quello che amo è il Monfortino di Giacomo Conterno. Bevendolo negli anni e degustando annate diverse lo trovo sempre con uno standard qualitativo elevatissimo, è poi un produttore che usa le grandi botti, la sua filosofia si avvicina alla mia, punta a fare grandi rossi all’insegna della tradizione”.
 
Tra i personaggi che hanno fatto la storia del vino moderno quali sono per lei i più grandi?
“Non posso che citare il compianto Franco Biondi Santi, grande personaggio e di grande signorilità, una persona con cui si stava benissimo, un Signore old style. Poi cito di nuovo Conterno. Angelo Gaja, Sergio Manetti, uomini che non hanno mai fatto pesare la  loro capacità verso gli altri, sono stati bravi a stare al loro posto, un pregio. I grandi personaggi non hanno bisogno di esternare quello che sanno fare”.
 
La più bella bevuta di Brunello?
“Proprio l’ultima. Con la 2009. Fatta con venti miei amici produttori, ognuno ha portato il proprio vino. E’ stato un bel momento di condivisione. E’ poi una cosa che amo fare spesso, organizzare cene con questo tipo di scambi”.

Guardando tutta l'Italia del vino qual è il territorio che sta operando meglio come sistema?
“Un territorio che negli ultimi dieci anni si è sviluppato e cresciuto molto è l'Abruzzo, una piacevole sorpresa. Da vendere tanto vino sfuso per altre denomianzioni ora, più che mai, sta facendo grandissimi vini. Hanno cambiato mentalità, vedo produttori motivati. C'è stata un'importante evoluzione, da vino di quantità a porta bandiera e immagine del territorio”. 

 
Il futuro?
“Lo vedo sempre come un bicchiere mezzo pieno, e deve essere così. Gestendo una grande azienda la vita sarebbe difficile altrimenti. Sono positivo, mi alzo la mattima con le preoccupazioni e  ci vado a letto. La razza degli a agricoltori è sempre stata forte, abituata ai problemi della vita, abbiamo sempre avuto un grosso fardello sulle spalle. Speravamo in un governo che cambiasse la vecchia politica, con un rinnovamento. Incrociamo le dita augurandoci che Matteo Renzi riesca a fare il miracolo, in questo momento visto la compagine che ha scelto sono dubbioso, ma diamogli tempo di provare, mai dire mai”. 

 

Manuela Laiacona