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L'intervista

Con Tanita Danese alla scoperta di Fongaro, produttore di spumante Lessini Durello

15 Giugno 2023
Tanita Danese Tanita Danese

Ci troviamo a Roncà, nella parte veronese della Lessinia: ha sede qui Fongaro, produttore storico di spumante Lessini Durello, tra i primissimi a intuire il grande potenziale della Durella, il vitigno autoctono di questo territorio. Nel 1975, molto prima che nascano la Doc e il consorzio di tutela, Guerrino Fongaro inizia a produrre con quest’uva i suoi spumanti metodo classico. Il resto è storia. Oggi alla guida della cantina c’è Tanita Danese, che l’ha presa ufficialmente in mano qualche anno fa, quando non aveva ancora trent’anni. Ci spiega che tutto nasce da tre scommesse: la Durella, il metodo classico e il biologico. La quarta scommessa della Cantina Fongaro è Tanita stessa. Ma questo lo diciamo noi.

Iniziamo da queste tre scommesse che sono diventate i cardini della vostra realtà…
Nel 1975 Guerrino Fongaro fa esattamente l’opposto rispetto altri contadini della zona: espianta la Garganega e pianta la Durella. All’epoca la si utilizzava solo produrre vino da tavola o da taglio, in pochi avevano già capito l’innata, enorme predisposizione della Durella alla spumantizzazione: Fongaro, Marcato (che oggi si chiama Gianni Tessari), Santi a Illasi, che oggi non produce più Lessini Durello, e Cecchin nella parte vicentina della denominazione. La seconda scommessa di Guerrino è il metodo classico. Un azzardo incredibile perché comporta vari anni di sosta sui lieviti. Sarebbe stato sicuramente più facile e più prudente iniziare con un metodo charmat (autoclave, ndr). Ancora oggi, a distanza di cinquant’anni produciamo esclusivamente spumanti metodo classico. La terza grande scommessa è il biologico. Guerrino lo abbraccia nel 1985, tra i primi in Veneto. All’epoca sembra pura follia.

Perché l’uva Durella è così adatta alla spumantizzazione?
Perché è una bomba, nasce per essere spumantizzata! Lo dice già il suo nome: è un’uva “dura” perché ha la buccia spessa, una notevole resistenza alle malattie e un’acidità spiccata, accentuata dal suolo vulcanico in cui affonda le radici. Durella è il vitigno, Durello è lo spumante, perché ha una personalità decisa, una bella sapidità, un’acidità importante. È uno spumante identitario, longevo, unico: non è comparabile con nessun’altra bollicina né italiana né estera. Forse nemmeno noi produttori ci rendiamo conto fino in fondo della fortuna, della ricchezza che abbiamo tra le mani. Di recente ho aperto una magnum di una nostra riserva dell’1987: il sorso era ancora una lama. Incredibile.

Quanto è difficile portare avanti una produzione completamente biologica?
Io sono nata nel bio, è l’unica agricoltura che so fare. Non ti puoi mai distrarre, quindi di positivo c’è che hai sempre il vigneto sotto controllo. Entri in modalità prevenire piuttosto che curare: se ti ritrovi con un problema serio di peronospera o di oidio è troppo tardi, non ci puoi fare più niente. Ma va bene così. Anzi, secondo me i prodotti ammessi nella certificazione biologica sono anche troppi, sia in cantina che in vigna. Prendiamo ad esempio la solforosa totale: noi stiamo tra i 30 e i 50 milligrammi per litro, il regime convenzionale ne ammette 300, il biologico 150. Ma è meglio non addentrarsi in certi meandri, altrimenti bisognerebbe parlare anche delle rese. Ti faccio un esempio: il disciplinare ammette di produrre 150 quintali di Durella per ettaro. Noi ne produciamo 70/80 al massimo. C’è una bella differenza!

Qual è stato il tuo percorso, come sei finita “nel vino”?
Sono cresciuta tra le vigne, poi mi sono laureata in Filosofia, ho studiato soprattutto logica. E lo rifarei mille volte. Non pensavo che mi sarei dedicata alla vitivinicoltura, più che altro non volevo. Per anni ho fatto tutt’altro, infatti. Ma si è creato il classico effetto molla per cui più spingi per andare nella direzione opposta, più vieni rimbalzato indietro. Morale della favola: a un certo punto ho sentito che il mio posto era qui, nella cantina in cui ero nata e cresciuta. Conoscevo già le pratiche di campagna ma non avevo le competenze enologiche e di gestione aziendale che mi servivano, per cui ho fatto un master in economia, poi uno in enologia e alla fine mi sono iscritta direttamente a enologia, che sto ancora frequentando.

Quanti ettari avete?
Dodici. Tutti di proprietà.

E la vostra produzione?
60-70 mila bottiglie. Solo spumanti metodo classico, frutto di un lavoro puramente manuale: abbiamo calcolato che mediamente ciascuna delle nostre bottiglie viene toccata, girata, afferrata dalle nostre mani almeno una quarantina di volte prima di lasciare la cantina. Abbiamo poche referenze che tradizionalmente si distinguono per il colore dell’etichetta: viola, verde, nera. La grande novità di quest’anno è la Cuvée Extra Brut (70% Durella, 30% Incrocio Manzoni e Chardonnay) che sostituisce le nostre due cuvée storiche, la bianca e la grigia, che non verranno più prodotte. Le altre referenze sono tutte prodotte con Durella in purezza.

Perché la scelta di ridurre le due cuvée a una sola?
Sono cambiati i tempi. Una volta quando proponevi il Durello in purezza le persone storcevano il naso. La cuvèe era quindi un modo per entrare dalla porta sul retro. Ha fatto da apripista ed è stata a lungo la tipologia più venduta. Poi per fortuna il mercato è andato nella direzione della purezza e noi ci siamo ritrovati ad avere addirittura due cuvée: erano troppe.

E parlando dei vostri spumanti in purezza, cosa differenzia l’etichetta verde, dalla viola dalla nera?
Gli anni di permanenza sui lieviti e il residuo zuccherino. La viola è brut e fa almeno 42 mesi sui lieviti. La verde è pas dosè e ne fa almeno 55. La nera è una riserva millesimata, esiste sia nella versione brut che pas dosè e fa almeno 84 mesi sui lieviti: significa minimo 7 anni.

In Veneto siete molto conosciuti, la Fongaro è sicuramente un nome. Fuori dai confini regionali che riscontro avete?
È vero, anche se siamo una piccola realtà siamo talmente conosciuti che molte persone ci credono una grossa azienda, anche in termini di numeri. Invece nel resto dell’Italia veniamo percepiti come la chicca, la nicchia, perché ovviamente a livello nazionale il Lessini Durello è una piccola denominazione ancora poco conosciuta.

Oltre alla nuova cuvée ci sono altre novità?
In azienda a fare il vino siamo io e Pierluigi Bornia, l’enologo storico della Fongaro: la cantina è nata con lui. Da tre anni ci supporta anche Nicolas Secondè, un enologo francese che, oltre a fare consulenza, ha una cantina in Champagne. È vero che noi siamo tra i produttori più storici e quindi tra quelli con più esperienza nel trattare la Durella, ma di passi avanti se ne possono fare ancora tanti. Mai porsi limiti! È molto stimolante confrontarsi con Secondè, apprezziamo molto il suo metodo, il suo rigore, ed è stato bello vedere come, nell’approcciarsi alla Durella, anche lui abbia dovuto cambiare tutti i suoi paradigmi: è un’uva particolarissima.

Prossimi obiettivi?
Vorrei aumentare leggermente la produzione, arrivare alle 90-100 mila bottiglie al massimo, in modo da avere le spalle belle large come azienda, continuando a lavorare sulla qualità, che per noi è imprescindibile.

In chiusura ci dici qual è il tuo più grande pregio?
Penso che sia l’umanità e riuscire a rimanere lucida nei momenti di difficoltà.

E il tuo più grande difetto?
Sono frenetica. Vado sempre veloce e, così facendo, mi accorgo che spesso faccio venire l’ansia agli altri (ride, ndr).