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L'intervista

Diego Cusumano: la Sicilia del vino vada oltre la qualità e punti su marchi e autenticità

28 Maggio 2014
Diego-Cusumano Diego-Cusumano

“Alziamo la guardia sull’offerta, troppa confusione. E attenti ai prezzi troppo bassi”

Diego Cusumano 14 anni fa era uno degli enfant prodige della vitivinicoltura italiana. Col fratello Alberto si è fatto conoscere al mondo con un tocco di allegria e tanta determinazione.

Di lustri ne sono passati tre ma Diego, che gestisce un'azienda con 517 ettari vitati e produce due milioni e mezzo di bottiglie, ha un entusiasmo che non conosce pause e non ha perso lo spirito giovanilistico di un tempo. Sarà il moto perpetuo. Perchè Diego, a sommare i chilometri effettuati, in questi anni ha fatto varie volte il giro del mondo. Per divulgare la “Sicilia da bere” attraverso il logo Cusumano. Lo blocchiamo qualche minuto prima di un nuovo viaggio. Ed infatti non è a Sicilia en Primeur, il momento celebrativo del vino siciliano con la partecipazione di 80 giornalisti da tutto il mondo che quest'anno fa tappa a Vulcano, nelle Eolie, dove invece è presente suo fratello Alberto. E ovviamente i loro vini.

Come sta il vino siciliano? E soprattutto in che direzione va?
“Per vedere come sta il vino siciliano dobbiamo vedere quello che è stato fatto: in meno di vent’anni il vino siciliano ha raggiunto traguardi importantissimi ma in questi ultimissimi anni ci siamo soffermati più sul valore del nome Sicilia che sui marchi. Quando viene però meno l’effetto moda iniziano i problemi, resistono le aziende che hanno investito sulla marca, resistono le aziende che hanno una riconoscibilità del proprio marchio. Oggi sul mercato vedo grande confusione sull’offerta, tanti prezzi e alcuni troppo bassi. Ma la crisi non si combatte così, si combatte valorizzando le persone che lavorano con te e trasferendo questi valori al cliente. Le regole nel vino sono semplici, come nella vita: quello che conta è il tuo marchio, la tua azienda, il tuo vino”. 

Ai tuoi clienti sparsi per il mondo come racconti la Sicilia del vino?
 “Oggi quello che bisogna fare è trasformare l’offerta da indiscriminata a offerta legata ai singoli territori. Abbiamo una varietà straordinaria, quando agli americani faccio vedere le foto della neve a Ficuzza o dei terreni bianchi di Butera sono stupiti, affascinati. Questo deve essere trasferito nel vino, è questo il punto di successo dei prossimi dieci anni. Oggi la Sicilia è la quarta regione d’Italia, dopo Toscana, Piemonte e Veneto, alla fine degli anni Novanta questo era impensabile. Fra il ’97 e il ’98 c’erano due o tre aziende riconosciute all’estero, quindici anni fa una manifestazione come Sicilia en Primeur era impensabile. Ora è il momento di vendere nel mondo le marche e i singoli territori, non facendo leva sul prezzo ma sulla marca e sull’autenticità del vino, la qualità è una condizione scontata. Il nostro Moscato dello Zucco ad esempio oggi è nella carta dei vini di Bouley a New York, un ristorante francese che ha una carta strepitosa. Perché ne è stata percepita l’unicità”.
 


Le vigne Cusumano a Ficuzza coperte dalla neve

I giornalisti, soprattutto stranieri, riescono a cogliere la complessità della Sicilia?
“I giornalisti percepiscono innanzitutto lo stile dell’azienda, ammira quando si intravede questo stile e riesce a crearsi un feeling. I più innamorati della Sicilia sono i giornalisti non siciliani, quelli che si stupiscono ogni volta. Un amico giornalista giapponese mi dice ‘arrivo in Sicilia e sono accolto dalla dolcezza dell’aria che è unica al mondo’, ecco come ci vedono. E poi hanno fame di informazione, sono curiosi e vogliono arrivare ad una conoscenza profonda. La complessità, il mistero, la diversità sono punti di forza”.

Oggi uno dei problemi prioritari è quello del valore medio della bottiglia del vino siciliano. Produrre qualità è sufficiente ad alzare il prezzo? O serve altro?
“Il prezzo è uno dei modi per comunicare, attraverso esso comunichi quanto vali. Non esiste un prezzo basso o alto ma quanto è il valore che attribuisce il consumatore. Se sei in sintonia allora è musica…viceversa un prezzo basso sarà sempre caro”.

Come viene percepita la Doc Sicilia? Oggi cosa rappresenta?
“Io credo che la Doc rischia di essere un’arma a doppio taglio. È chiaro che rappresenta un’opportunità in più ma il consumatore che prima acquistava un vino Igt deve percepire la differenza, deve avere chiaro che non si tratta solo di un cambio di nome. E dobbiamo essere bravi noi produttori nel trasmettere il messaggio destinando alla Doc solo la qualità migliore di ogni azienda, il top. Solo così il mercato percepirà la differenza”.

Intanto fra pochi giorni, il 3 giugno si decidono i nuovi vertici della Doc Sicilia. Tutti d'accordo sul nome di Antonio Rallo come presidente?
“Sarei felice se Antonio Rallo facesse il presidente, perchè alla guida di Assovini ha dimostrato di essere molto bravo. Oggi siamo coscienti che la Doc è lo sprint necessario. Siamo come una barca a vela, che ha navigato, ha vinto ora però dobbiamo andare a cercare di nuovo il vento”.

Mercati del futuro da sondare o da approfondire?
“Ho sempre diffidato dei cosiddetti mercati emergenti, credo invece che il futuro sia già scritto nella storia. Noi investiamo su tutti i mercati ma concentriamo i nostri sforzi sui Paesi tradizionali, da quelli europei come la Russia al Giappone, agli Usa. La Cina per noi è un mercato piccolo, c’è una scarsa conoscenza del prodotto vino e indubbiamente i francesi sono arrivati prima”.

Sull'Etna l'ultima vostra tenuta: come sta andando? E quali altre sorprese ci riserverete?
“L’Etna sta andando molto bene, i lavori procedono al ritmo da noi voluto e la cantina sarà pronta a fine anno. Intanto abbiamo già il primo bianco, il primo rosso sarà pronto a fine anno, il primo cru l’anno prossimo. Ma ci concentreremo su poche cose per non disperdere le energie. Oltre all’Etna stiamo poi lanciando il Grillo, Shamaris si chiama. Dicono sia molto buono…”.

Stefania Giuffrè