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L'intervista

Fulvio Bressan: “Troppi radical chic tra i produttori: il vino è coerenza, onestà e pulizia”

08 Luglio 2020
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di Giorgio Vaiana

Avvertimento ai lettori: quello che leggerete di seguito potrebbe non piacere a tutti.

Ma si sa. Fulvio Bressan titolare della cantina Bressan Mastri Vinai a Farra d’Isonzo in provincia di Gorizia è uno che le cose le dice senza troppi giri di parole. Il “Bressan-pensiero”, dunque, è schietto e diretto. Insomma se ti deve mandare a quel paese lo farà. Statene certi. Sulla sua pagina facebook si scatenano spesso i dibattiti, “lanciati” da qualche post “politically incorrect” dello stesso produttore che scrive sempre quel che pensa. Nel 2017 un post contro l’allora ministro Cecile Kyenge lo fece, di fatto, estromettere dalla guida Slow Food. Se ne fece presto una ragione. Nel mirino dei suoi argomenti, è finita la questione caporalato. “Sono molto arrabbiato – dice Bressan – Ma non è nemmeno per quello che è successo”.

A cosa si riferisce Fulvio?
“La questione dell’arresto di Settimio Passalacqua in Puglia (leggi questo articolo>). Ma la mia critica non è a lui o alla figlia Valentina. Loro risponderanno prima alla magistratura, poi a Dio. La cosa che mi fa arrabbiare è il silenzio del mondo del vino su questa storia”.

Spieghi meglio
“Quando fai il radical chic o l’intellettuale sinistroide e chiudi gli occhi davanti ai problemi che riguardano i nostri connoazionali per me sei zero. Eppure si stracciano le vesti magari per chi arriva con un barcone e poi va a lavorare nei campi a tre euro”.

Ma che c’entra il paragone?
“C’entra. Perché poi quando una persona italiana va a chiedere lavoro nei campi, gli viene detto “o lo fai a tre euro o te ne vai”, perché il mercato è quello. Non tollero chi fa il purista a convenienza. Come quelli che fanno biologico”.

Spieghi il nesso
“Ma dai, per favore. Si vantano di essere un’azienda biologica e magari hanno 400 ettari. Ma voi lo sapete che vuol dire fare biologico? La mia è stata un’azienda biologica e poi me ne sono andato (si riferisce a ViniVeri, ndr). Credo che oggi fare biologico è un modo per rifare la verginità a chi ha ormai ha perso tutto. E così non ne verremo fuori”.

Sì, ma qui stavamo parlando di lavoro nero…
“Contro il lavoro nero si fanno le leggi al Sud, ma si applicano al Nord. Non dico che qui non esiste il problema. Ma è molto ridotto. Ho sempre avuto elicotteri e droni nei miei vigneti a controllare il personale”.

E questo la fa arrabbiare…
“Certo. Non sopporto chi è falsamente buonista. E ce ne sono tanti di finti buonisti che buonisti non sono. La critica è rivolta al sistema vino”.

Bressan, cambia argomento ancora?
“Ovvio. Siamo arrivati al punto tale da considerare vino naturale un vino difettato, un vino che puzza, che sa di volatile. Io sono stato sempre coerente e me ne sono andato da ViniVeri”.

Ricordano tutti il suo intervento in una riunione…
“Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Ma alla fine dissi le cose che pensavo, come sempre. Dissi ai miei colleghi di aver assaggiato qualche vino con spunto acetico. Apriti cielo… Ma alla fine era la verità”.

In realtà aggiunse altro…
“Ah certo. Che questo modo di interpretare i vini alla fine si ritorcerà contro. Io sono stato uno dei fautori del movimento ViniVieri. Ma agli associati ho detto che saranno gli artefici della fine di questo movimento e soprattutto di questo modo di pensare”.

Prevede il futuro?
“No. Diciamo che guardo la realtà delle cose. Un giorno a pranzo in un ristorante stellato sono entrate tre coppie. Gente con tantissimi soldi. E si vedeva. Gli hanno proposto la carta dei vini naturali e uno dei tre signori ha detto testuali parole: “Vini naturali? Ma che naturali. Io lo voglio sofisticato. Sono stufo di spendere tanti soldi per bere vini non buoni”. Ecco questo è il gioco perverso a cui mi riferisco”.

Ma insomma i vini naturali esistono o no?
“Parlo con i numeri. Come fai a fare vini naturali su 400 ettari? Alla fine la grande industria prenderà il sopravvento. Io faccio 35 mila bottiglie su 20 ettari. C’è chi le fa su 3 ettari. Rendiamoci conto. Le parole sono parole e molti produttori continuano con questo falso buonismo e falsa comprensione”.

Non ha risposto alla mia domanda…
“Il vino è per definizione naturale. Hanno aggiunto il termine “naturale” per ipocrisia. E’ un po’ come dire è un “biondo biondo”. Mi pare ovvio. Se è vino è naturale. Il vino è quella magia che ogni anno estrae i caratteri più profondi di una terra che produce questa uva. E il tuo compito è uno solo: non rovinarla. Io uso certi sistemi biodinamici, ma non dico ai quattro venti che sono biodinamico. Io rischio l’osso del collo quando comincio a vendemmiare a ottobre e a volte anche i primi di novembre. Ma quanti hanno il fegato di rischiare? Che se dovesse arrivare la pioggia, io sono nella merda. Eppure lo faccio”.

Quindi gli altri sbagliano?
“Non raccolgono il frutto quando dovrebbero. E nessuno assaggia più il vinacciolo. Io lo faccio. So con certezza quando l’uva è matura. Quando il vinacciolo è asciutto e sa di legno ed è marrone. Ho vendemmiato il Pignolo anche l’1 e il 2 novembre. Lì ti rendi conto che la Natura è perfetta, siamo noi che siamo stronzi. Noi uomini siamo la conferma che Dio non è perfetto, perché ha creato noi”.

Insomma il vino nasce in vigna…
“Ovvio. C’è la questione lieviti che mi fa imbestialire. Chi ha il frigo nella cantina automaticamente non può essere naturale. Ve lo dico io. Un lievito naturale sotto i 13 gradi muore. Quando vedi un sistema di raffreddamento puoi star certo che tutti i lieviti tangenti alla parete della vasca sono morti. Io raffreddo, certo, ma con l’acqua del mio pozzo. Se vado sotto una certa temperatura so che faccio del male, che ho ammazzato i lieviti. E poi come faccio a far progredire la fermentazione?”.

E lei che lieviti usa?
“Quelli che fanno le mie piante. E badate bene. Ogni pianta fa un suo lievito. Ci possono essere dieci lieviti diversi in dieci piante. Ecco per me fare il vino è un po’ come il concetto di un’orchestra. Ogni lievito è uno strumento. E per fare il vino perfetto hai bisogno di sinfonia e di tutti gli strumenti. Se usi un solo strumento e sei monotematico, come tanti vini al giorno d’oggi, che senso ha? Noi dobbiamo essere bravi a portare il lievito al limite e lasciarlo andare. E poi, ogni anno il lievito è diverso”.

E quindi, che fare?
“La vite ti parla, ti fa capire tante cose. Sei tu produttore che non sai cogliere i messaggi o non hai il tempo per coglierli. La natura è perfetta e il 90 per cento dei grandi vini nasce in vigna. E invece molti produttori sono sempre in giro a fare manifestazioni per dimostrare di essere buonisti. Ma allora quando pensi al tuo lavoro? Quando vai in vigna? Mi sono stufato di tutto questo. E mi sono stufato di questo buonismo che accetta le cose più assurde come una cantina che ha 400 ettari di vigneti e dice di avere una conduzione familiare. Ma fatemi il piacere”.

Parole pesanti…
“Chi non sa fare vino poi alla fine imbottiglia puttanate. Il vino, però, ti punisce sempre. Da un errore della scelta vendemmiale, fino alla fermentazione lasciata andare a 32 gradi. E poi c’è chi fa i bianchi senza il passaggio sulle bucce. Eppure sono lì i sapori. E allora mi viene da chiedere questi vini gli aromi da dove li prendono. Insomma se dentro un vino devi mettere una farmacia, che senso ha. Di solito il medico uno lo chiama se sta male, non quando sta bene”.

E i suoi vini sono buoni?
“I vini li faccio così perché a me piacciono così. Non ho detto che sono buoni”.

E lei che vini beve?
“Devo dire che odiavo il vino Amarone, per me marmellate al gusto di legno. Eppure mi sono ricreduto quando ho conosciuto la cantina Monte dei Ragni di Zeno Zignoli. La pensiamo allo stesso modo. E questa cosa si vede anche nei vini che produce. Lui non fa il buonista. Anzi. E poi Josko Gravner. Sono stato super critico con lui. Dicevo che nelle anfore si mettono i fiori e non i vini. Eppure una sera di un natale, mi ha fatto bere una Ribolla del 2011 affinata in anfora. Premetto che non sono amante della Ribolla. Ma ho bevuto quel vino e ho visto la Madonna e tutti i Santi insieme. Quando bevi un vino del genere puoi solo toglierti il cappello davanti al produttore. Cosa che ho fatto”.

Qual è il suo concetto di vino?
“Il vino non è tendenza, è cultura. Invece ne abbiamo fatto un fenomeno di moda che dura un tempo intrinseco, ha il carattere della transitorietà. E non può essere questo. Il vino non deve essere transitorio. Deve durare almeno 40 anni, perché io ho il diritto di berlo quando voglio. Eppure nessuno dice niente. C’è sempre silenzio attorno a questa storia. Ho imbottigliato il mio Nereo che ha fatto 20 anni di botte e che non sa di legno. Ho imbottigliato il 1997 in mille magnum. Questo vuol dire qualcosa… Questo vuol dire che i protagonisti del vino sono le uve, le vigne. Io sono servitore delle mie viti e devo fare una sola cosa: farle stare al meglio”.