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L'intervista

Gagliardo, presidente Accademia del Barolo: “In Cina il grande passo lo abbiamo fatto. In Italia non c’è ripresa”

28 Aprile 2014

“I grandi vini italiani si accingono a vivere una nuova, grande era. Il successo sta nella logica sana con cui si sono mossi nel mercato internazionale. Possiamo sperare in un futuro positivo”.

Rasentano l’ottimismo le parole di Gianni Gagliardo, presidente dell’Accademia del Barolo. A pochi giorni dall’asta internazionale, di cui è il papà, che si terrà l’11 maggio al Castello di Barolo, il produttore di La Morra ci dice come sta viaggiando il Made in Italy nel mondo e il Barolo nella veste di rappresentante enologico. Lo definisce un momento di gloria quello che sta sperimentando il Bel Paese fuori dai suoi confini. L’analisi la fa proprio da Dubai, via Skype. Da una distanza geografica e soprattutto “economica” che lo costringe anche ad una valutazione del sistema Italia e delle sue sorti interne che esprime con inevitabili toni amari.
 
Nelle case d’asta più prestigiose il Piemonte conquista consensi superando anche la Francia. A cosa si deve questo successo?
 “I vini francesi sono oramai visti come vini da investimento. Tutti gli altri, tra cui quelli italiani in testa, per rifornire la cantina privata. La flessione dei vini francesi è legata ad una sorta di dinamica che ha drogato le aste. A furia di pompare il prezzo, perché ricordiamo che c’è di mezzo la finanza, si è arrivarti al punto di cedimento, alla caduta. I Baroli, anche se sono saldi in una piccola parte delle aste mondiali, hanno mantenuto una logica sana. Chi li compra se li porta a casa, se li beve. Certo i francesi sono e resteranno un riferimento di  valore e di penetrazione dei mercati, ma adesso il Barolo, per esempio, si vende più facilmente. C’è un’evoluzione in atto. I consumatori abituali amanti dei blasoni francesi stanno avendo un ripensamento, vogliono scoprire altro. E dopo avere bevuto un Bordeaux di migliaia di euro ora vogliono capire come è un Barolo”.

Perché convince il Barolo, quale il suo punto di forza?
“Il Barolo è una certezza. Anche dal punto di vista qualità/prezzo. Assicura un'altissima qualità. Chi lo sceglie non sbaglia mai. E poi, un palato che è partito da determinate scelte orientate sullo status una volta approdato al Barolo non lo lascia più. E’ il punto finale di un percorso naturale, ecco possiamo definirlo il vino di arrivo”.

Come sta andando il Made in Italy?
“Aprono da tutte le parti grandi ristoranti  italiani e si vendono grandi vini italiani dove l’economia cresce ed è forte. Viviamo un momento felice che ci fa sperare in un futuro positivo. Nei nuovi mercati cresce la domanda di qualità”.

E l’Italia?
“Non dobbiamo aspettarci di tornare ai tempi di una volta. Ed è inutile sperare di riprenderci più di tanto. Personalmente, spero solo che si fermi la discesa. Tutti gli altri Paesi la crisi l’hanno superata. Noi rimaniamo impantanati. Non vedo come si possa risalire, non ci sono le condizioni. Alla base c’è una mentalità che non consente la ripresa. Siamo ancora l’unico Paese che vede l’impresa come una realtà che sfrutta. L’imprenditore o è uno sfruttatore o un evasore per il sentire comune, e prende legnate da tutte le parti. Altrove si corteggiano gli investimenti. Si fa di tutto affinché le aziende crescano e creino posti di lavoro. Da noi si è soffocato tutto. Il sistema Italia così come è alla fine fa da deterrente all’investimento e alla crescita. Quanti ragazzi italiani stanno arrivando qui a Dubai! Di 20, 25 anni e trovano posti di lavoro anche se non strapagati!”.

La Grande Cina è il mercato del futuro ma molti invitano alla cautela.
“Sono d’accordo. Dobbiamo tenere anche conto che queste culture così diverse da quelle europee, occidentali, sono state comunque contaminate. Il vino lo hanno scoperto da grandi. Pensiamo a quanto è difficile per noi assimilare i loro tè. Il vino è un gusto che non rientra nelle loro abitudini. Penso che siamo fortunati ad avere avuto la possibilità di penetrare in questo mondo. Dobbiamo procedere un passo per volta. Non possiamo pretendere di avere davanti tutti specialisti e amanti del vino. Il passo grande comunque lo abbiamo compiuto. Il più è fatto. Adesso, piano piano dobbiamo fare conoscere loro il vino e i suoi territori”.

E’ prematuro comunicare ai consumatori dei mercati emergenti la molteplicità dei territori del vino italiani?
“No. I francesi lo hanno fatto sin da subito. La regionalità è il nostro punto di forza. Solo che fino ad ora non l’abbiamo saputa comunicare, non c’è stato nessuno che lo ha fatto, poi il pubblico si sà come va. Alla fine sono gli imprenditori stessi che adesso stanno cercando di comunicare tantissimo. Abbiamo  fondato l’Accademia del Barolo  proprio per questo motivo. Affinché i 12 produttori in giro per il mondo stimolassero l’appeal del Barolo. Ma quello che si sta facendo oggi da più parti è comunque pochissimo ancora, mancano iniziative a livello nazionale”.

L’Expo, secondo lei, è una carta che l'Italia saprà giocare?
“Non si capisce bene cosa succederà. Da un lato lo stiamo vendendo bene dall’altro regna la confusione. E’ una grande opportunità, per l’Italia capita a fagiolo in questo momento. Dobbiamo sfruttarla al meglio. Comunque la nostra specialità è saper gestire le situazioni di emergenza”.

Ritornando al Barolo, dice che il vino si accinge a vivere una nuova era, che intende?
“Gli italiani lo stanno riscoprendo. Si stappa di più. Sta cambiando veste, non in termini qualitativi ma di appeal, sta diventando più friendly. Non è più visto esclusivamente come il vino da grandi occasioni. Con la quindicesima edizione dell'asta internazionale speriamo di portare in tal senso, in questo cambio di tendenza, un contributo”.

Manuela Laiacona