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L'intervista

Prosecco, tutte le cifre di un boom. “Vi spiego i segreti del successo”

14 Maggio 2014
presidente_Innocente_Nardi presidente_Innocente_Nardi

Nardi: l'introduzione della Docg ci ha aiutato moltissimo, ora pensiamo all'Unesco…

di Francesca Ciancio

La bollicina più venduta al mondo. Punto. Poi seguono i discorsi e le riflessioni, ma il Prosecco vince con i numeri: oltre 300 milioni di bottiglie vendute in 80 Paesi, dove il mercato italiano costituisce ancora la fetta preponderante. Quello che fu il “miracolo delle fabbriche del Nord Est” oggi parla soprattutto la lingua di un vino, piacevole, poco alcolico, di pronta immissione sul mercato, dal prezzo ragionevole. Il Prosecco Doc ricade su nove province tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Di Glera – l'uva del Prosecco – ce n'è tanta soprattutto nella bassa. Dieci anni fa, quella che era la zona  storica, viene promossa a Docg Conegliano Valdobbiadene e diventa il fiore all'occhiello della bollicina veneta.

Siamo nella Marca Trevigiana, seimila ettari suddivisi in 15 comuni e 43 sottozone, chiamate Rive. Il top di gamma, in fatto di spumante, è il Cartizze, un pentagono d'oro di 106 ettari, fatto di colline ripide e fatica: qui servono fino a 600 ore di lavoro per ettaro di vigneto contro le 150 della pianura. L'altro primato di queste zone è il valore della terra vitata, un ettaro di Cartizze arriva anche a un milione di euro. Un territorio così piccolo che ha conquistato il mondo e che concorre al riconoscimento come Patrimonio dell'Unesco, è un unicum o può diventare un paradigma a cui ispirarsi? Ne abbiamo parlato con Innocente Nardi, presidente del Consorzio del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore.

Oltre che contenti, stupiti da tanto successo?
“Non direi. Il successo in termini di numeri del Prosecco risale agli anni '80. Prima di allora prevaleva la tradizione locale legata ad aziende spumantistiche come Carpenè Malvolti o Mionetto. Un cambiamento dello stile di vita a livello europeo ci ha dato una grossa mano: meno tavola, più finger food, meno alcolicità e meno corpo, più bevibilità. Nel frattempo affinavamo le tecniche di produzione e di cantina. Abbiamo la scuola enologica più antica d'Italia – 1876 – e un Istituto Sperimentale per la Viticoltura, anno 1923, entrambi a Conegliano. Pensi che negli anni '70 il Prosecco era l'anti-vino…”.

Ora il prossimo traguardo si chiama Patrimonio dell'Unesco…
“A noi piace parlare soprattutto di “paesaggio culturale”, dove la bellezza dei posti non è disgiunta dal capitale umano. Il Prosecco ha una valenza sociale importante dal punto di vista economico, i nostri 3.000 viticoltori stanno bene e la coltivazione anche di poca uva Glera può rappresentare un'ottima integrazione al reddito. Inoltre la sana competizione tra le grandi cantine sociali e le aziende private ha permesso di tenere alti sia i prezzi delle uve che delle bottiglie, queste vanno dai 4 ai 4,50 euro più Iva. È un buon prezzo di vendita se si pensa che i costi di produzione del Prosecco sono più bassi rispetto a quelli dell'80 per cento dei vini italiani”.

La regolamentazione della Doc vi ha favorito o svantaggiato?
“È stata una manna dal cielo! Dai primi anni “90 fino al '98 eravamo come su di un'altalena: avevamo un competitor che giocava la partita con regole fasulle, l'Igt Prosecco veniva prodotto in tutta Italia. Mi ricordo il prosecco a mille lire in spiaggia. La nuova Doc, per quanto estesa su due regioni, ha creato una competizione trasparente. Anche la viticoltura nella bassa trevigiana è cresciuta in termini di qualità. Una serie di coincidenze politiche poi –  e penso al governatore Zaia in veste di ministro – hanno dato un'accelerata importante al riordino del mondo del Prosecco. Siamo consapevoli che per la Docg non abbiamo scelto una strada semplice, a cominciare dal nome, che ha in sé due comuni, ma il nostro vino deve raccontare proprio questo, un Prosecco più di corpo a Conegliano, uno più elegante a Valdobbiadene. Il nostro territorio, in nome della tutela ambientale che ci siamo prefissi, non può più espandersi, quindi i produttori devono fidelizzare sempre più i clienti sul valore dei vini. Discorso comunque che vale anche per la Doc, tant'è che in pianura sono stati messi a riserva gli eccessi di produzione, proprio per stabilizzare i prezzi sia del vino che delle uve”.

Come vorrebbe arrivare il Prosecco, Docg e Doc, all'appuntamento dell'Expo 2015?
“Credo sia giusto presentarsi all'interno di un panorama spumantistico italiano, unico per varietà e qualità. Tuttavia è anche opportuno individuare dei prodotti trainanti e il Prosecco è la bollicina italiana nel mondo, uno stile di vita e un ottimo portabandiera. Facciamo da tempo azioni congiunte: siamo andati negli Stati Uniti con il Chianti Classico e a breve saremo in Canada con il Valpolicella. Crediamo nel sistema vino del Paese, ma – e a molti potrà suonare presuntuoso – ci teniamo a sottolineare che la bollicina italiana fuori dai confini ha soprattutto un nome, si chiama Prosecco!”.