Giornale online di enogastronomia • Direttore Fabrizio Carrera
L'intervista

“L’ecommerce del food&wine ha un futuro, solo se ci si mette la faccia”

24 Giugno 2013
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Decollerà mai l'ecommerce per il food&wine in Italia?

Gianluca Diegoli, uno dei guru dell'ecommerce e anche docente a contratto alla Iulm dove insegna questa materia, ci spiega lo scenario attuale e i modelli vincenti. Si affacciano nuove formule ma ancora sono tante le problematiche che frenano la crescita di questo canale. 

Che portata ha l'ecommerce per il mercato del food nel nostro Paese?
“Purtroppo è rimasto un tipo di mercato sottodimensionato. Non è stato tenuto nemmeno in grande conto dai gruppi della distribuzione organizzata che avrebbe potuto approfittare di questa piattaforma. Rappresenta ancora l'1% rispetto a tutti gli altri prodotti venduti in rete. Ma evidentemente perché in tale segmento ci sono  difficoltà per le quali ancora non sono stati individuat sistemi risolutivi”.

Quali sono le  problematiche?
“Quella che incide di più è la logistica. Rappresenta una vera e propria barriera. Un conto è spedire un telefono, un altro una cassa di frutta. Ci sono problemi reali per garantire un prodotto fresco. E il rischio di perdere una parte del prodotto è alto. E poi ci sono anche le normative che pongono non pochi limiti. Per il confezionato invece lo scenario è diverso, è più facile venderlo attraverso questo canale”. 
 
Sta allora decollando la vendita on line del vino?
“Diciamo che il vino va molto meglio, effettivamente la spedizione è più semplice . E sono nate poi tantissime iniziative. Adesso c’è molta offerta nella rete. Ma rimane un fenomeno circoscritto praticamente all’Italia stessa. Per l’export sussistono diversi problemi legali, di regolamentazioni  e di accise a diversi livelli, che non consentono lo sviluppo dell’ecommerce dall’Italia verso il resto del mondo”.
 
 Come si sta evolvendo la formula dell’ecommerce?
“Ci sono diversi livelli di maturazione. Sicuramente chi ha avuto successo è chi ha integrato l’ecommerce con altre iniziative di vendita, in azienda o piuttosto che con i gas. Diciamo che sin da subito è stato visto come una opportunità ma non tutti hanno capito come funziona. Il punto di forza dell’ecommerce è raccontarsi e raccontare il prodotto, promuoverlo. E’ sbagliato considerarlo come un supermercato on line dove si arriva per caso e si compra. E’ fondamentale invece metterci la faccia, a differenza delle grandi imprese del food che questo non possono farlo. Bisogna mostrare la propria specificità, come vengono fatti i prodotti. Per esempio, cito un caso. Un produttore di salame ha cominciato a vendere attraverso un blog, non aveva il carrello on line, alla fine raccoglieva le richieste via mail o fax, però ha avuto successo perché raccontava la sua attività, la sua vita, i suoi salami”.

Qual è il modello migliore?
“Non credo ci sia un modello unico. Sicuramente non vanno i portali con tanti prodotti dove manca l’identità, con un’aria da catalogo dove non c'è la passione, proprio questo sarà il modello che avrà sempre più problemi. Comunque oggi vi sono tendenzialmente due tipologie di ecommerce. Quello digitale che valorizza il chilometro zero, che vede utenti acquistare prodotti dalla provincia che non passano dalla gdo, e poi c’è l’ecommerce per collezionisti, attirano persone che sarebbero disposte a pagare tantissimo per un certo tipo di prodotto.  La migliore strategia però è avere una visione a 360 gradi, presentarsi con una identità forte, vendere attraverso gas o altre iniziative,  partecipare a progetti collettivi sul territorio. Inoltre nuovi intermediari del food potrebbero dare un impulso, nuovi grandi investitori come Eataly”.  
 
L’utenza varia a seconda del background culturale?
“No, il tasso dell’ ecommerce segue quello del maggiore uso della tecnologia. In questo momento il centro nord ha ancora un vantaggio ma, per esempio, la Sardegna è molto digitale, tanti comprano on line”.
 
Il Paese dove si acquista di più on line?
“La Gran Bretagna. Lì l’ecommerce è più consolidato che negli Usa o rispetto al resto del Nord Europa. Le percentuali di vendita retail raggiungono il 20%, in Italia non siamo neanche al 5%”. 

Manuela Laiacona