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Lutto

E’ morto Franz Haas, il papà del Pinot Nero altoatesino

13 Febbraio 2022

Un malore improvviso si porta via Franz Haas, il papà del Pinot nero altoatesino.

Ed è una notizia che ci lascia basiti. Anche perché lo avevamo sentito qualche tempo fa, insieme a Walter Massa, per parlare di tappo a vite. Haas portava avanti con passione e impegno la cantina di famiglia, che iniziava a muovere i primi passi nel lontano 1880. Una vita, la sua, dedicata al Pinot Nero, vitigno nobile e versatile, che Franz trattava con grande rispetto, con i piedi saldamente piantati nella tradizione, ma guardando al futuro con il gusto della sperimentazione e la curiosità di chi sa che non ci si deve mai fermare nell’andare verso il nuovo. Haas era sempre alla ricerca della perfezione nei suoi vini. “Dopo quarant’anni di domande e venti di sperimentazioni e confronti, ho fatto la mia scelta. Perché desidero che tutto il nostro lavoro, i giorni e le notti che dedichiamo al nostro prodotto, si concludano sempre con un vino all’altezza del nostro impegno e delle vostre aspettative. Questo è il mio cerchio perfetto, dalle viti fino all’ultimo giro di vite”. Così si legge sul sito dell’azienda, che riassume una filosofia, e racconta la piccola grande rivoluzione messa in opera da Haas scegliendo il tappo a vite. Una scelta che, insieme a tate altre, ha pagato in termini di qualità e di riconoscimenti: quelli dei clienti che quotidianamente scelgono i vini di Franz Haas, e quelli dei tanti premi vinti. E ha anche dato modo a tanti colleghi, a tanti enologi e produttori, di seguire il suo esempio e di provare a cambiare gli schemi prefissati, imparando a lavorare il vino sapendo che cosa non fare, conoscendo a perfezione la tecnica e usandola per creare qualcosa di unico.

Ci piace ricordarlo con l’intervista che ci aveva rilasciato solo qualche tempo fa e che vi riproponiamo di seguito: 

di Fabrizio Carrera e Giorgio Vaiana

Prendete due personaggioni del mondo del vino e fateli parlare di tappo a vite. Noi lo abbiamo fatto. Da un lato c’è Walter Massa, signore del Timorasso. Dall’altro Franz Haas, una vera istituzione in Alto Adige. Entrambi credono in questa chiusura così ancora poco popolare nel nostro paese. Il tappo a vite, ancora oggi, viene visto come qualcosa utilizzato per il vino scadente e non di qualità. Invece, Massa e Haas spiegano perché i loro colleghi farebbero meglio a seguire il loro esempio. Li abbiamo coinvolti in una sorta di intervista doppia. E il risultato è il testo che potete leggere appena qui sotto.

Quante etichette fa e quante di queste hanno il tappo a vite?
Walter Massa: “In totale faccio 12 etichette. Il tappo a vite lo uso in 8 miei vini in commercio e uno in prova che uscirà a breve. Dal 2019 anche per i bianchi in formato magnum”.
Franz Haas: “Una quindicina di etichette. E tutte hanno il tappo a vite”.

Perché ha scelto il tappo a vite?
W.M.: “Beh, intanto perché una bottiglia va tappata. Oggi si va in auto elettrica e io non capisco perché dobbiamo utilizzare sistemi utilizzati 200/300 anni fa”.
F.H.: “Nel 1996 ho partecipato a una degustazione diciamo alternativa in Sardegna. E sono rimasto sorpreso dalla varie tipologie di chiusure proposte. Tra le tante mi sono interessato al tappo a vite. Ho iniziato a studiarlo e usarlo per ricerca e studio. Ma da due anni lo uso su tutti i miei vini. Anche per quelli che fanno lunghi invecchiamenti. Perché in base alle prove che ho fatto, i benefici del tappo a vite non sono solo per i bianchi, ma anche per i rossi che, anzi, ne godono di più”.

Ma allora perché il tappo a vite in Italia non prende campo?
W.M.: “Gli italiani hanno il difetto di pensare di essere dei grandi esperti di vino. Un grande vino deve sempre essere pulito. E’ inutile avere una cantina pulita ed etica e poi quella bottiglia la chiudi con un tappo che interagisce con la materia. Ecco, se riusciamo a mettere il vino in un materiale inerte, non capisco perché dobbiamo farlo rovinare da questa interferenza che purtroppo non è naturale. Perché il tappo comunemente utilizzato è super elaborato dai produttori per tentare di ovviare a dei problemi che crea. Ma con l’utilizzo di fisica e chimica non si possono evitare i problemi dovuti al sentore di tappo, quelli causati dal Tca (tricloroanisolo).
F.H.: “Non credo che sia il tappo a vite a non avere successo. Credo che il problema sia un errore di fondo nella giusta comunicazione. Anche noi all’inizio abbiamo avuto qualche difficoltà a far comprendere le differenze. Ma oggi posso affermare che il tappo a vite è la chiusura migliore per la qualità del vino”.

Eppure all’estero non hanno tutti questi problemi…
W.M.: “All’estero il vino viene visto come un qualcosa che migliora la propria vita. Invece in Italia il consumatore è ancora all’epoca dei guelfi e ghibellini, del rito del tappo. Il vino è una cosa seria. Lo si produce da 4 mila anni. Adesso bisogna stare al passo con i tempi. Non è che ancora pigiamo l’uva con i piedi per fare il vino. Ci sono delle attrezzature che lavorano le uve in un certo modo e allora abbiamo bisogno di contenitori che possano mantenere a lungo il vino nel migliore dei modi possibile”.
F.H.: “All’estero i consumatori sono più curiosi, soprattutto nei paesi nordici e in quelli del Nuovo mondo. Paesi come Cina e Giappone, però, sono ancorati alle tradizioni e sono molto selettivi. Lì non vogliono per niente il tappo a vite. Loro preferiscono il sughero”.

Ma un tappo a vite costa meno?
W.M.: “Sono dettagli. Il tappo a vite ha un suo costo industriale. Ma ha delle garanzie sul prodotto finale. Aziende come la mia, quella di Franz e altre centinaia che conosco, non hanno scelto il tappo a vite per il costo. Anche perché la bottiglia per il tappo a vite costa di più di quella normale. E poi i soldi che risparmi nel tappo a vite, li usi per comprare la tappatrice, che costa davvero tanti soldi. E quando si imbottiglia non bisogna distrarsi un solo secondo. Il processo è delicatissimo e va seguito con precisione”.
F.H.: “E’ vero che il tappo a vite costa meno del tappo di sughero, ma se confrontiamo i prezzi di una tappatrice per il tappo a vite e quella per il sughero i costi sono molto diversi. Il guadagno? Non dobbiamo più sostituire le bottiglie che sanno di tappo”.

Ma alla fine è vero che il tappo a vite permette una conservazione migliore del vino?
W.M.: “Si conserva molto meglio. E il vantaggio è anche sull’utilizzo della solforosa. Con il tappo a vite io sono sceso sotto i 40 milligrammi per litro”.
F.H.: “Non solo si conserva meglio, ma invecchia benissimo”.

Ma avrà o no un limite il tappo a vite? Possono essere tappati tutti i vini?
W.M.: “Il limite riguarda solo le piccole aziende che devono strutturarsi con un tappatore e l’investimento è importante. Oltre che una fornitura di tappi a vite di solito è di 50 mila pezzi. Ecco perché le aziende che producono poco, quelle di nicchia, ma che sono poi quelle che fanno bella la nostra Italia del vino, sono molto penalizzate. Vengono favoriti i grossi numeri. Se un rosso tappato con il tappo a vite può durare 20 anni? Certo che sì. Il tappo a vite è composto da materiali sintetici che permettono la permeabilità e la microossigenazione dosata”.
F.H.: Io ho solo 16 anni di esperienza con i tappi a vite. Ma ho confrontato i miei vini imbottigliati nel 2005 sia con tappo a vite che con tappo a sughero. Non c’è confronto. Vince il tappo a vite”.

E allora, come spiegherebbe ad un suo collega produttore di utilizzare il tappo a vite?
W.M.: “Leggetevi l’intervista di Cronache di Gusto”.
F.H.: “Lo invito in cantina e gli faccio assaggiare le prove che abbiamo fatto negli ultimi anni. Chi la fa, poi, non esce più con la stessa idea”.

Ma quante aziende in Italia ci sono che utilizzano il tappo a vite e con cui vi confrontate?
W.M.: “Circa il dieci per cento delle aziende italiane, direi 500. Non dico che fanno tutta la loro produzione con i tappi a vite come Franz, ma più del 50 per cento sì. Soprattutto nel Triveneto. Tra queste cito quella di Matilde Poggi, anche lei pioniera in questo campo”.
F.H.: “A dire i numeri italiani faccio fatica. In Alto Adige, su 135 aizende, circa 40 lavorano con il tappo a vite. Sono piccolissime, ma ci sono”.

E oggi quante aziende forniscono i tappi a vite?
W.M.: “Io ne conosco almeno 4. Ma collaboro solo con 2”.
F.H.: “Ho fatto prove con 6 aziende diverse per tanti anni. Alla fine ne ho scelto una. E’ la più cara, ma è anche quella che, secondo me, produce i tappi a vite più sicuri”.

Ma il tappo a vite con le bollicine è impossibile…
W.M.: “C’è il tappo a corona. E si fa un prodotto migliore di quello che è”.
F.H.: “Sotto i 3 bar a bottiglia il tappo regge. Uiv ci ha bocciato le tappature con tappo a corona per il metodo classico. Ma credo che sia la scelta perfetta per non mettere a rischio il prodotto”.

E l’aspetto sentimentle dello stappare?
W.M.: “Bisogna bere il vino, mica il tappo…”
F.H.: “Beh sulla nostalgia della tradizione di stappare vi do ragione… Ma è anche bello sciabolare una bottiglia con il tappo a corona”.