Indagare sul rapporto tra Cagliari e caffè specialty significa ammettere che il capoluogo sardo si affaccia ancora timidamente sull’offerta di alta qualità, non diversamente dalla maggioranza delle città italiane. C’era stato chi aveva iniziato, in solitaria e con coraggio, ad aprire un varco in un mercato tradizionalista, e creato una sua clientela. Qualcun altro, in seguito, ha provato a offrire selezioni industriali in bar e pasticcerie senza osare di più. Ma Cagliari è una città curiosa, troppo spesso modaiola, eppure dotata di uno zoccolo duro di appassionati in crescita.
La novità
Ecco che, a neanche un mese dall’apertura, conta su consensi già solidi il sogno diventato realtà di due ragazze appassionate di chicchi seguiti dalla coltivazione sino alla tazza. Per questa ragione, alla fine di un viaggio all’estero, portavano a casa caffè pregiati che qui non trovavano, presi direttamente dai produttori. In una delle vie dello shopping del centro città, fra tante serrande abbassate, hanno inaugurato la loro microtorrefazione e caffetteria specialty L’Atypica. Qui Ludovica Ladu e Carol Mello hanno creato un posto dove fare cultura del caffè, con un nome che gioca sull’antica varietà di Arabica originaria dell’Etiopia, appunto la Typica, da cui derivano molte altre. In tazza restituisce dolcezza e acidità, anche note floreali quando coltivato in altitudine. Inoltre L’Atypica è un nome perfetto qualora siano poco gradite le facili etichette. “Siamo atipiche rispetto al consumo normale del caffè veloce e senza pensarci”, riferiscono a Cronache di gusto.
La filosofia
L’approccio? Sostenibile in tutta la filiera. Tra le selezioni c’è per esempio la Fazenda Vila Boa, una delle poche in Brasile con la certificazione di Carbon neutral. L’azienda infatti è circondata da un migliaio di ettari di foresta e assorbe più carbonio di quanto ne emette attraverso la raccolta e la lavorazione, contribuendo così alla lotta contro il cambiamento climatico. Le titolari hanno, quindi, selezionato cosa trattare attraverso una ricerca di gusto e produttori che hanno cura e rispetto del territorio di origine. A Cagliari eseguono loro stesse una tostatura media. Per i clienti che entrano la scelta diventa multipla: si possono comprare miscele di Arabica macinate sul momento da portare a casa – con tanto di consiglio musicale sulla confezione per accompagnare la degustazione – o consumare là un espresso o un caffè filtro, ma senza guardare troppo l’orologio. “Caffè senza fretta”, avverte un cartello, tra pause lente e chiacchiere e scoperte.
La microtorrefazione
Questo è un luogo di consumo ma anche di produzione. “Abbiamo scelto di mettere la macchina in fondo, vicino al banco, e chi entra si trova davanti una torrefazione a vista già dall’ingresso”, spiega Ludovica Ladu, cagliaritana e mediatrice linguistica che si è appassionata al caffè nel periodo in cui lavorava in Brasile, tanto che quando scopriva un produttore andava a trovarlo. In realtà nutriva da sempre un’attenzione per il mondo alimentare e un anno fa ha deciso per il cambio di vita: si è formata ed è diventata una torrefattrice. Una delle poche donne in un mondo fondamentalmente maschile. “Abbiamo capito che davanti a una tazzina di caffè possiamo formulare tanti pensieri di vita: il caffè è un filo per sviluppare quello che vogliamo fare”, aggiunge Carol Mello, musicista di origine brasiliana ma che viveva a Porto sino a quando, otto anni fa, è venuta a Cagliari per un concerto e ci è rimasta. “Mi sento a casa”, afferma, spiegando i piani: “Vogliamo creare uno spazio dove fare convivialità, che ci piace molto, condividere la nostra filosofia. Qui succederà di tutto, da momenti musicali a dibattiti”.
Un pubblico di giovani e meno giovani
Quando hanno parlato del proprio progetto in famiglia, hanno trovato innanzi tutto il sostegno delle nonne e zie, che ricordano le torrefazioni cagliaritane oggi scomparse. “Avevano un macinino a casa e soprattutto un contatto con l’odore del caffè appena tostato e venduto sfuso, perché non lo si comprava al supermercato ma in torrefazione”, raccontano le titolari. L’Atypica attrae sia giovani che adulti. Può essere difficile, se si è abituati a un caffè molto tostato, avvicinarsi a uno di acidità spiccata, che però si cerca di nuovo una volta incontrata. “Ci sorprendono molto i ventenni che chiedono direttamente il filtro – considerano sulla clientela che arriva e torna perché si trova bene –. C’è un mercato non soddisfatto e speravamo di incuriosire chi non è appassionato di specialty ma è sensibile alla qualità del prodotto e desideroso di capirne di più”. Il pubblico è trasversale e include una fascia sopra i 70 anni, di chi ha conosciuto le torrefazioni cittadine, che ama ritrovare questa dimensione.
Quando si domanda loro se per Cagliari il momento è giusto per lo specialty, ammettono di aver trovato tanto entusiasmo in chi ha capito il progetto. “Ma ci vuole tempo e pazienza, senti di tutto e devi essere pronta a cogliere in maniera non giudicante ogni commento”, proseguono. La loro attitudine è di pensare “alla relazione a 360 gradi con i clienti e con i fornitori”. Lo spiegano: “La gente ha bisogno di relazione e di andare in spazi dove ci si senti accolti. C’è chi fa specialty pensando principalmente ai turisti ed è una scelta legittima, ma per noi una delle questioni è essere luogo di vicinato. Se poi vengono anche gli stranieri va benissimo”.
L’offerta
Il luogo, aperto dalle 9 alle 19, è perfetto anche per una colazione con prodotti locali, come paste e pani a lievito madre e marmellate ben abbinate. Ai caffè, tutti con metodo di lavorazione naturale, hanno dato dei nomi. Per esempio “Stravanau” (in lingua sarda “incredibile” ma anche “strano”), da un produttore etiope, che regala raffinate note aromatiche fruttate di pesca, pompelmo e fragola, cambiando sorso dopo sorso. Poi c’è “Dengo”, del produttore keniano che coltiva la varietà Batian, che sprigiona le aromatiche di miele, lime e un cioccolato non amaro. Quindi “Boboi” della produttrice brasiliana, caratterizzato da cioccolato fondente, nocciola e caramello. “Spantu” è per chi vuole sorbire un caffè di montagna colombiano, scoprendo accanto al cioccolato anche l’aroma di susina, mandorla, amarena. E per chi predilige il Dek esiste “Manso” (cioè “calmo”, in portoghese), da una miscela di brasiliani naturali che dona sentori di cioccolato, nocciola e mandorla.
Il piacere dei tempi lenti
Il caffè si sorseggia tenendo in mano le tazze rosse senza manico, come le coppe da degustazione, e così scelte sempre nella voglia di rompere gli schemi. “Ci piace l’idea di destrutturare per avere qualcosa che porti a relazionarsi in modo diverso”, sottolineano. L’idea è di un servizio lento, lo ripetono. “Ci vuole un po’ di tempo per riflettere sulle cose e un gesto veloce toglie tanto, sia di riflessione sul prodotto che di rapporto umano. Noi teniamo molto a questa dimensione di relazione e la vogliamo curare. Per chi ha fretta ci sono altri posti dove andare”.